Quel realismo di Francesco e Kirill sulle ferite della Siria

Quel realismo di Francesco e Kirill sulle ferite della Siria

Nella dichiarazione comune l’appello a non confidare nella forza e a scegliere la via negoziale. Con un invito a esercitare «responsabilità» nella lotta al terrorismo chiaramente rivolto a Putin. Il tutto mentre il rischio di un allargamento della guerra a Turchia e Arabia Saudita è tutt’altro che teorico

 

Di fronte a fatti come l’incontro di ieri sera tra papa Francesco e il patriarca Kirill a Cuba la tentazione di crogiolarsi solo nella retorica dell’evento storico è grande. Senza vedere che il vero fatto più eccezionale sta proprio nella concretezza estrema della dichiarazione comune firmata da questi due grandi leader religiosi, che entra dritto nella drammatica cronaca di oggi. È il frutto dell’incontro tra due Chiese che hanno preso talmente sul serio il dramma che si sta consumando in Medio Oriente da decidere di andare oltre un millennio di incomprensioni e divisioni. E c’è un senso generale di urgenza che balza agli occhi scorrendo il testo firmato da papa Francesco e dal patriarca Kirill.

Senza voler sminuire tutto il resto, la parte della dichiarazione dedicata al Calvario della Siria e dell’Iraq appare centrale. E da oggi diventa un punto di riferimento significativo per chi vuole guardare con gli occhi della fede al dramma dei cristiani del Medio Oriente. Sono parole molto significative sia sia per il momento che il conflitto siriano sta vivendo – con nuove sofferenze e il rischio concretissimo di un ulteriore allargamento – sia per la prospettiva che il Papa e Kirill propongono.

Che cosa c’è allora di così importante sul Medio Oriente in questo testo? Intanto è il frutto di un incontro che va al di là delle caricature. Se avevano fatto il giro della rete le immagini dei pope russi che benedivano gli aerei in partenza per bombardare la Siria, questa dichiarazione restituisce un’immagine decisamente più complessa della posizione dei cristiani rispetto al conflitto. Quella firmata all’Avana non è la Santa Alleanza tra il Vaticano e la Russia di Putin. Al contrario: la franchezza di cui papa Francesco e il patriarca Kirill hanno parlato commentando il colloquio di Cuba, fa sì che in quel testo ci siano affermazioni per nulla scontate se lette con gli occhi di Mosca. L’appello al ricorso alla via negoziale e non alla soluzione di forza è quanto mai chiaro in un momento in cui troppi guardano ai raid aerei russi cullandosi nell’illusione di un «arrivano i nostri» liberatorio. Quando nella dichiarazione si legge «facciamo appello a tutti i Paesi coinvolti nella lotta contro il terrorismo, affinché agiscano in maniera responsabile e prudente», non si può non pensare alle 300 mila persone che vivono dentro Aleppo e alla propaganda di chi ripete che l’avanzata militare delle truppe fedeli ad Assad oggi colpisce solo «i terroristi».

Non è così e il Papa e il patriarca di Mosca mostrano di saperlo bene. Con la stessa chiarezza – inoltre – dicono un’altra cosa importante: le Chiese sono preoccupate e addolorate per la sorte dei cristiani in Medio Oriente; ma sanno che la loro difesa può passare solo attraverso una pace che dia risposte alle sofferenze di tutti. «Nell’elevare la voce in difesa dei cristiani perseguitati – scrivono – desideriamo esprimere la nostra compassione per le sofferenze subite dai fedeli di altre tradizioni religiose diventati anch’essi vittime della guerra civile, del caos e della violenza terroristica». Non è un contentino alle altre comunità, ma il realismo di chi sa che il settarismo è il vero male che ha fatto precipitare nel baratro la Siria e l’Iraq.

Di qui l’invito a non lasciar cadere quel tavolo negoziale che proprio in queste ore, con grandissima fatica, la comunità internazionale sta cercando di tenere aperto. Un invito, anche in questo caso, al realismo; perché l’alternativa è davvero un ulteriore salto di qualità in questo conflitto. Si può discutere se sia già in atto o no la «terza guerra mondiale»; ma è un fatto che dopo gli aerei russi in queste ore anche le truppe della Turchia e dell’Arabia Saudita stanno per entrare in Siria. È molto probabile che nei prossimi giorni prendano posizione a Raqqa, ammainando le bandiere dello Stato islamico ma anche mettendosi di traverso alla riconquista delle truppe fedeli ad Assad, ampiamente rimpinguate da milizie sciite iraniane e libanesi. Tenere aperto un tavolo negoziale che porti davvero alla tregua promessa è vitale in questo momento, per evitare conseguenze gravissime per tutta la regione e probabilmente per il mondo intero.

Un tavolo negoziale non significa però un luogo dove cinicamente spartirsi le macerie della Siria. E allora diventa importante anche l’appello per i due vescovi Yohanna Ibrahim e Boulos Yazigi, rapiti ormai quasi tre anni fa. Diventano importanti le parole sulla necessità di «assicurare un aiuto umanitario su larga scala alle popolazioni martoriate e ai tanti rifugiati nei Paesi confinanti». Diventa importante l’affermazione per cui «la pace in Medio Oriente è il frutto della giustizia», e chiede dunque che «si rafforzi la convivenza fraterna tra le varie popolazioni, le Chiese e le religioni che vi sono presenti, per il ritorno dei rifugiati nelle loro case, la guarigione dei feriti e il riposo dell’anima degli innocenti uccisi».

C’è molta più profezia di quanto sembri nello sguardo sul Medio Oriente di papa Francesco e Kirill. Un desiderio sincero di tenere insieme il bene di tutti, in un contesto in cui centinaia di migliaia di morti sono il frutto della politica cinica di governi che sulla pelle dei siriani hanno cercato solo il proprio interesse. C’è la volontà di indicare a tutti la strada per uscire dalle proprie contraddizioni e ambiguità, per guardare finalmente al bene della Siria.

«Esortiamo tutti i cristiani e tutti i credenti in Dio a pregare con fervore il provvidente Creatore del mondo perché protegga il suo creato dalla distruzione e non permetta una nuova guerra mondiale. Affinché la pace sia durevole ed affidabile, sono necessari specifici sforzi volti a riscoprire i valori comuni che ci uniscono, fondati sul Vangelo di nostro Signore Gesù Cristo».

È un invito concreto quello che Francesco e Kirill affidano ai cristiani di tutto il mondo in queste ore delicate. Non lasciarlo cadere è il primo passo per uscire dall’indifferenza.