L’Afghanistan oltre la guerra

L’Afghanistan oltre la guerra

Il 18 giugno al Centro Pime di milano un convegno per riscoprire la ricchezza umana, artistica e culturale del Paese che da quarant’anni è martoriato da conflitti

Dici “Afghanistan” e immediatamente, quasi come un riflesso condizionato, ti scorrono davanti agli occhi immagini di guerre, attentati, donne velate, burqa, distruzioni, monumenti abbattuti… il luogo più desolato e sfortunato del mondo. Da oltre quarant’anni, purtroppo, è la triste realtà. Ma è sempre stato così? Reperti e testimonianze provenienti da un passato neppure troppo lontano rendono più che lecito porsi questa domanda e la Biblioteca del Centro Pime, in collaborazione con l’Istituto di Cultura per l’Oriente e l’Occidente (Icoo), ha coinvolto studiosi ed esperti in un convegno proprio con l’obiettivo di dare una risposta.

L’idea è nata qualche mese fa, sfogliando – neanche a dirlo! – libri conservati in biblioteca. Descrizioni di luoghi carichi di storia, immagini di monumenti splendidi, vecchie foto seppiate di bazar brulicanti di persone e di merci, descrizioni di oasi ridenti e di interminabili carovane lungo la Via della Seta… un mondo che pare agli antipodi rispetto al desolante stato di crisi che oggi occupa il nostro immaginario.
E infatti… i relatori che sabato 18 giugno al Centro Pime parteciperanno al convegno “Afghanistan, crocevia di culture” ci parlano di una realtà molto diversa, fatta di popoli che si incontrano lungo le antiche vie commerciali fin da epoche remote. Culture diverse che si confrontano e si influenzano a vicenda. Incontri fecondi, con scambi di merci e conoscenze, condivisione di saperi e incroci di arte e di pensiero, in un continuo flusso di persone e di idee che mette in dialogo Est e Ovest. Un ruolo non da poco, come evidenzia il professor Michele Brunelli dell’Università di Bergamo, ricordando come l’Afghanistan sia sempre stato al centro di una rete di vie di comunicazione che interconnettevano Oriente e Occidente. Questa posizione ha finito per esporlo a un continuo stato di conflittualità e tuttavia è proprio da qui che si dovrà partire per la ricostruzione.
La storia dell’Afghanistan pre islamico sarà sintetizzata da Alessandro Balistrieri, studioso delle antiche civiltà, che ricorderà che il Paese fu interessato dalle più precoci espressioni dello sviluppo culturale indo-iranico, da imponenti apporti delle culture zoroastriana e vedica e poi dalle fiorenti sintesi buddhiste dei regni del Gandhara e Kushana, nonché quelle ellenizzanti delle monarchie indo-greche.

Uno speciale approfondimento sulla storia e l’arte del Gandhara sarà svolto dalla professoressa Maria Angelillo dell’Università degli Studi di Milano, che ricorderà come questo originalissimo stile, di contenuto prettamente buddhista, adottò modelli espressivi di chiara derivazione ellenica, dando vita a un fenomeno di estremo interesse. La professoressa Anna Maria Martelli focalizzerà invece l’attenzione su importanti autori della letteratura persiana vissuti tra il X e il XIV secolo, nativi di quella provincia dell’allora impero persiano chiamata Khorasan, di cui oggi una parte (le province di Herat, Balkh e Ghazni) si trova in territorio afghano. In particolare presenterà l’opera di importanti figure di poeti sufi. Sarà accompagnata dalla recitazione di alcuni componimenti di mistici, affidata ad attori del Centro Pime.
Padre Filippo Lovison, barnabita, professore ordinario della Pontificia Università Gregoriana, ricorderà, a settanta anni di distanza, l’esperienza missionaria dei confratelli Caspani e Cagnacci che, durante la loro missione, negli anni Trenta e Quaranta del Novecento visitarono l’Afghanistan, illustrandone vari aspetti e realtà diversificate e ne lasciarono un’affascinante descrizione in un bel volume edito nel 1952 del quale la Biblioteca Pime costudisce una copia.
Una sessione speciale del convegno è riservata ai collezionisti di arte afghana, che illustrando i pezzi più significativi delle loro collezioni contribuiranno a rendere tangibile la grandezza e la raffinatezza della tradizione artistica locale. Potremo ascoltare Vanna Scolari Ghiringhelli, celebre collezionista di armi bianche orientali, con le sue daghe del Khyber; Giuseppe Solmi che mostrerà antichi manoscritti afghani; Renzo Freschi, noto gallerista milanese, che illustrerà la sua collezione di arte del Gandhara; Vittorio Bedini, con i suoi “tappeti di guerra”, descritti nel volume Tap­peti delle guerre afghane (cfr box).

Dall’insieme di tutti gli interventi, emergono chiaramente l’importanza e il significato della presenza, nell’am­bito del popolo afghano, di numerose etnie portatrici di culture, tradizioni e abilità artistico-artigianali molto differenziate tra loro. È il tema messo in evidenza dall’ultima sessione del convegno, introdotta e moderata da Chiara Zappa, giornalista di Mondo e Missione, nel corso della quale interverranno Emanuele Giordana, direttore di atlanteguerre.it e profondo conoscitore della realtà afghana per avervi soggiornato a lungo, e Gholam Najafi, scrittore e poeta di etnia hazara, autore di libri in cui racconta la sua esperienza di rifugiato e ricorda l’Afghanistan della sua infanzia.
Il convegno è arricchito da coinvolgenti iniziative collaterali, quali appunto l’esposizione di alcuni oggetti d’arte portati dai collezionisti, un book corner fornitissimo di libri sul tema (e in particolare i volumi scritti dai relatori), un momento musicale per ricreare le atmosfere di quelle remote regioni dell’Asia Centrale lungo la Via della Seta, una visita guidata al museo Popoli e Culture.

Info: centropime.org

 

IL LIBRO: Tappeti e kalashnikov

Due esperti collezionisti, Vittorio Bedini e Luca Brancati, raccontano nel volume Tappeti delle guerre afghane (Luni Editrice, Icoo, pp. 158, euro 34), riccamente corredato di immagini, la storia dei “war rugs”, apparsi nel Paese dopo l’invasione sovietica del 1979, quando elicotteri, carri armati e mitragliatori sconvolgevano una realtà immutata per secoli. Per la prima volta, antichissime tecniche di tessitura venivano applicate alla realtà della guerra e le armi diventavano oggetti decorativi, suscitando reazioni disparate.