Le Chiese ripartano dal Mediterraneo

Le Chiese ripartano dal Mediterraneo

Conflitti, migrazioni, ma anche la trasmissione della fede in un contesto dove la categoria della “minoranza” non riguarda più solo la sponda Sud: i vescovi riuniti a Bari lanciano una sfida anche alla missione


dalla nostra inviata a Bari

I campi profughi delle isole greche dove migliaia di disperati bussano alle porte chiuse dell’Europa, i centri di detenzione libici, Idlib con il martirio dei civili siriani. Ma anche le piazze dei giovani arabi che chiedono dignità, dal Libano all’Iraq all’Algeria, e ancora le città – quelle europee come quelle mediorientali – colpite al cuore dal fondamentalismo e dalla xenofobia. Sono moltissimi i luoghi la cui presenza si percepisce forte a Bari in questi giorni in cui una sessantina di vescovi del Mediterraneo si sono dati appuntamento in occasione dell’evento organizzato dalla Cei nello spirito dei Dialoghi di pace inventati dal sindaco santo Giorgio La Pira.

“Mediterraneo, frontiera di pace”, che si concluderà domenica con la visita di Papa Francesco, rappresenta in assoluto la prima occasione che ha visto incontrarsi personalmente, e dialogare faccia a faccia, i pastori di questa complessa e cruciale area del mondo. Una chance che ha messo in luce anche la mancanza di conoscenza reciproca tra le Chiese delle due sponde del grande mare. “È ora che intensifichiamo i nostra scambi per maturare poi una voce unitaria e soprattutto elaborare una sensibilità condivisa”, ha sottolineato a questo proposito il vescovo di Acireale monsignor Antonino Raspanti.

Le sfide sul piatto sono innumerevoli. In primo luogo l’assenza della pace: i conflitti, le tensioni politiche, i contesti di discriminazione. Le Chiese sono chiamate ad offrire una testimonianza concreta di inclusione – per esempio attraverso l’esperienza delle scuole multiconfessionali, come hanno ricordato tra l’altro l’arcivescovo di Sarajevo Vinko Puljić e il custode di Terra Santa padre Francesco Patton -, di carità senza limitazioni settarie – un’esperienza quotidiana, dalla Turchia al Libano al Marocco -, ma anche di attenzione al rispetto dei diritti umani: un’urgenza richiamata a Mondo e Missione dal cardinale Louis Raphael Sako, patriarca caldeo di Baghdad. “Dobbiamo testimoniare la priorità del perdono in un contesto dove spesso prevalgono logiche di vendetta”, ha affermato il cardinale iracheno.

C’è poi il grande tema delle migrazioni, che sono “un problema comune a tutti noi, non foss’altro che perché il nostro mare è diventato un luogo di morte, in cui si stima che abbiamo perso la vita, durante le traversate della speranza, oltre 19mila persone tra il 2013 e il 2019”, ha sottolineato il prof. Adriano Roccucci, relatore del secondo giorno di lavori.

Mentre da Paesi come la Grecia, la Turchia e il Libano sono giunte le voci – e gli appelli – di comunità in prima linea nell’accoglienza di centinaia di migliaia di rifugiati, il mea culpa della sponda nord del Mediterraneo è arrivato dal cardinale Jean-Claude Hollerich, presidente della Commissione delle conferenze episcopali dell’Unione Europea (Comece): “Noi in Europa parliamo tanto dei valori, ma poi facciamo in fretta a dimenticarci delle sofferenze delle persone quando non si tratta della ‘nostra gente’”, ha ammesso il prelato. “Siamo invece chiamati a usare tutti i mezzi a nostra disposizione per venire in aiuto a questi disperati ed essere così fedeli al Vangelo. In particolare tutte le forze sociali devono rilanciare lo strumento dei corridoi umanitari, a cominciare dalle diocesi e dalle stesse parrocchie”.

Ne va della fedeltà al messaggio evangelico, ma anche allo spirito intrinseco di un’area geografica che si è sviluppata sull’apertura e la convivenza: “Dobbiamo trasformare la xenofobia in xenofilia, in amore per il diverso, un valore questo che ha radici molto antiche qui nel Mediterraneo”, ha ricordato monsignor Charles Jude Scicluna, arcivescovo di Malta, che a fine maggio riceverà la visita di Papa Francesco: un viaggio che verterà proprio sul tema dell’accoglienza. Nell’ottica della promozione di una cultura che bandisca l’odio, monsignor Scicluna ha richiamato le Chiese ad “essere presenti nelle piattaforme digitali per formare cittadini radicati nella pace”.

Avere una voce forte all’interno della società, dunque. Ma c’è un’altra sfida cruciale a cui le Chiese mediterranee non possono sottrarsi, in un contesto dove la categoria dell’essere minoranza non riguarda più solo le comunità mediorientali e nordafricane, immerse in un mare d’islam, ma anche quelle europee, in cui, se da una parte la religione assume valenze identitarie, dall’altra la fede praticata nella vita coinvolge ormai un “piccolo gregge”. Come parlare all’Europa secolarizzata, come essere credibili “di fronte a una società delusa dalla Chiesa, a causa della piaga degli abusi e degli scandali economici?”, come ha notato il cardinale Juan José Omella, arcivescovo di Barcellona. Come trasmettere la fede a giovani che “paiono disillusi e lontani dal sacro, ma che nel profondo hanno una forte esigenza di senso?”.

I vescovi riuniti a Bari hanno concordato sul fatto che si debba “ripartire dall’amicizia e dalla testimonianza”. “Non servono i grandi teologi ma testimoni di fraternità, di comunione, di gioia, che facciano percepire al mondo il tesoro di Gesù Cristo”, ha sintetizzato Omella. In questo, una lezione importante può venire dalla sponda sud del Mediterraneo, dove “si vive una fede di popolo, dove le Chiese sono vive anche se minoritarie”, come ha sottolineato il “padrone di casa” monsignor Francesco Cacucci, vescovo di Bari-Bitonto. Chiese che sanno immergersi nella vita concreta dei loro popoli. Una ricchezza che è ora di riscoprire: “Noi andiamo in Medio Oriente o in Nord Africa per turismo, ma non conosciamo le comunità cristiane locali, ecco perché in questi giorni è emersa l’idea di i intensificare i gemellaggi tra diocesi, ma anche di inviare in modo più sistematico missionari fidei donum dal Nord al Sud del Mediterraneo. In questi anni, infatti, abbiamo privilegiato l’America Latina o l’Africa subsahariana, perché rispetto al mondo arabo sentiamo a volte una certa distanza culturale, ma è il momento di invertire la rotta”, ha affermato Cacucci.

Una frequentazione che potrebbe aiutare anche l’Europa a vivere una fede più a dimensione di popolo, all’insegna dei valori di “affettività, ospitalità, relazioni”, che per la prof.sa Giuseppina De Simone, relatrice del primo giorno di lavori, “appartengono all’animo mediterraneo”. A fianco, naturalmente, alla familiarità con la pluralità. Non solo. Siamo chiamati – hanno notato sia il custode Patton sia il patriarca Sako – a “unire le ricchezze della Chiesa occidentale, che per la trasmissione della fede punta soprattutto sulla catechesi, e di quella orientale, abituata a comunicare la spiritualità attraverso la liturgia”.

C’è molto da imparare anche dal modo in cui, in Oriente, la fede viene vissuta confrontandosi quotidianamente con il mondo musulmano. “Qui la richiesta di avvicinarsi al messaggio di Gesù va al di là di ciò che possiamo immaginare”, ha testimoniato tra gli altri il vicario di Anatolia monsignor Paolo Bizzeti. L’evangelizzazione passa anche attraverso la carità senza distinzioni settarie: un’esperienza quotidiana che accomuna l’Egitto, la Siria, l’Iraq e molti altri contesti. Contesti difficili, dove i cristiani conoscono in prima persona anche la discriminazione e persino il martirio. Eppure i pastori riuniti a Bari hanno rivendicato la volontà di “non vivere la sofferenza da vittime, ma rialzarci con coraggio e fiducia”.

In mezzo alle fatiche, d’altra parte, non manca l’esperienza del dialogo, quello della vita, quello che, nello spirito della dichiarazione sulla fratellanza umana di Abu Dhabi, si costruisce sui comuni valori e sull’impegno condiviso per affrontare le priorità della nostra Casa comune, a cominciare dall’emergenza ambientale, di cui proprio l’area mediterranea rappresenta oggi uno snodo cruciale. Senza dimenticare il grande tema dello sfruttamento delle risorse naturali. “Molte nazioni guardano al bacino del Mare nostrum, toccate da ingenti interessi economici. I quali però, come ben sappiamo, non sempre sono in armonia con i diritti umani”, hanno sottolineato i vescovi riuniti a Bari. Le Chiese locali, dunque, unite in una rete di solidarietà, sono chiamate a farsi garanti di questi diritti. Nel nome del Vangelo.