Ragazze in bilico tra tradizione e modernità

Ragazze in bilico tra tradizione e modernità

Il film «In Between» di Maysaloun Hamoud racconta il desiderio di libertà delle giovani arabe palestinesi di nazionalità israeliana

 

Layla è una giovane avvocatessa, vive con la sigaretta perennemente accesa e ha molti amici, ma non ha ancora trovato l’anima gemella. Salma è una dj, che fa la barista per mantenersi. E poi c’è Nour, studentessa di informatica, che sogna di diventare insegnante. Potrebbero essere tre ventenni qualsiasi in una città europea o americana, tre giovani donne alla ricerca della propria identità e dei propri spazi di affermazione. Ma si tratta di tre palestinesi di nazionalità israeliana – una cristiana, due musulmane – che condividono un appartamento nella vivace e frenetica Tel Aviv.  Tutte e tre vengono dalla provincia: Layla è di Nazareth, Salma di Tarshiha e Nour di Umm Al-Fahm. Villaggi palestinesi tradizionalisti e conservatori, dove hanno lasciato alle spalle famiglie sensibili all’onorabilità delle figlie, con genitori che sognano per loro un matrimonio combinato con un buon partito. Ma la grande città, con le sue mille tentazioni, le seduce con una vita fatta di discoteche, di spinelli, cocaina e alcol, segni tangibili di una ribellione che passa attraverso la voglia di trasgredire e di costruirsi un futuro diverso rispetto alle generazioni dei genitori.

Vincitore di numerosi premi internazionali ai festival di Toronto, San Sebastian e Haifa, il film d’esordio In Between di Maysaloun Hamoud arriva il 6 aprile prossimo anche nei cinema italiani per proporci una storia a metà tra una commedia e una vicenda drammatica. Il titolo scelto in italiano (Libere, disobbedienti e innamorate) può essere fuorviante: non si tratta dell’ennesimo Sex and the city in salsa mediorientale. Con le vicende di queste tre giovani, che finiscono per diventare amiche malgrado le differenze di personalità, la regista ci racconta come sta cambiando la società palestinese relativamente alla minoranza che vive in Israele. In un contesto dove la sharia e le tradizioni patriarcali pretendono di controllare soprattutto le donne e il loro corpo, è inevitabile che il mutamento sociale passi in primo luogo attraverso le giovani generazioni femminili.

È un tema particolarmente interessante perché, quando si parla di palestinesi, si è abituati a pensare alla Cisgiordania o a Gaza, agli attentati suicidi e alle madri velate che piangono i figli morti. Queste tre ragazze, invece, sono arabe israeliane, una minoranza di circa un milione e mezzo di persone che oggi vive nello stato di Israele e che spesso preferisce definirsi palestinese. Come fa Salma in una scena del film: parla in ebraico con un giovane israeliano, che le chiede se è sudamericana. E la ragazza, che ha un look un po’ hippy, con lunghi capelli e un piercing al naso, gli risponde “palestinese”. La regista attinge alla sua esperienza personale per raccontare queste vite in bilico fra due mondi e due culture. Anche lei, infatti, è cresciuta da araba israeliana fra Be’er Sheva, Gerusalemme e Jaffa.

Per i ragazzi, tutto sembra più semplice. Possono divertirsi, trasgredire e poi aspirare ugualmente a un matrimonio con una ragazza scelta dalla famiglia e rispettosa della tradizione. Per le giovani, invece, l’esperienza della libertà si traduce in un punto di non ritorno. «Ho cercato di raccontare il complicato dualismo della loro quotidianità, stretto tra la tradizione da cui provengono e la sregolatezza della metropoli in cui abitano, e il prezzo da pagare per la libertà di lavorare, far festa, scegliere», ha dichiarato la regista.

A Tel Aviv, Salma può finalmente essere se stessa: mentre la famiglia cerca a ogni costo di procurarle un marito, lei trova l’amore con un’altra giovane donna. La disinvolta e spregiudicata Layla, invece, si innamorerà, scontrandosi con le regole che condizionano anche i giovani palestinesi apparentemente più aperti. Diversa la storia di Nour: la studentessa, che porta il velo ed è molto religiosa, è destinata a vivere l’esperienza più drammatica per mano del suo pio fidanzato, a riprova che l’Islam può diventare il paravento per giustificare una mentalità aggressiva e maschilista.

Ciascuna a modo suo, le tre ragazze reclamano il diritto di scegliersi la propria vita. Persino la remissiva Nour, con il sostegno delle amiche, darà una svolta alla sua esistenza, pur restando nel solco della fede religiosa che vuole rispettare e che fa parte della sua identità.

Interessante la scelta di aver ambientato la storia a Tel Aviv, città giovane e aperta, in cui gli ebrei ortodossi vivono concentrati in un solo quartiere, Bnei Brak. È una metropoli dove oggi convivono anche coppie miste, che nel film, però, non si vedono. L’unica battuta che Mahmoud sceglie di inserire, fra Layla e un avvocato ebreo che la corteggia, non lascia troppo spazio alla speranza. Palestinesi ed ebrei possono vivere insieme, ma il peso della condanna sociale è ancora troppo forte, tanto da schiacciare l’amore.