Io e Annalena storia di un incontro

Io e Annalena storia di un incontro

Una nuova raccolta di lettere rivela l’impegno radicale e la profonda spiritualità di Annalena Tonelli. E racconta anche gli anni più bui della Somalia. Con una piccola apertura all’India, dove ritrova un missionario del Pime…

«Due donne mi hanno convertito alla non-violenza: Maria Luisa Cazzaniga, segretaria di “Mani Tese” che mi ha dato da leggere i libri di don Primo Mazzolari e don Lorenzo  Milani. E Annalena Tonelli che, mentre studiavamo assieme la lingua inglese a Londra, mi ha regalato il libro di Gandhi, Antiche come le montagne, il primo libro che ho letto del Mahatma. Era la fine del 1965. Quel libro è ancora con me».

Così ricorda padre Carlo Torriani, missionario del Pime, tra i fondatori dell’associazione “Mani Tese” in Italia e poi dell’ashram “Swarga Dwar” (“Porta del Cielo”), in India, vicino a Mumbai. Dove Annalena Tonelli andò in visita il 22 dicembre 1995, trent’anni dopo. «Carissima mamma – scriveva allora Annalena Tonelli – siamo a “Swarga Dwar”, l’ashram (è un luogo di ritiro, di preghiera e di lavoro in comune) di Carlo Torriani». Sembra una lettera “leggera” quella che invia dalla missione di padre Carlo: inizia con il racconto di un venticello delizioso e della notte fresca, per poi virare rapidamente ai toni e ai temi che sono tipicamente suoi: la malattia e la sofferenza, ma anche e soprattutto il desiderio e la necessità di amare. «Se morissi senza avere amato di più?»

Si chiude con questa domanda, con questo grido quasi disperato, il libro Lettere dalla Somalia. 1985-1995 pubblicato da EDB. Un grido che attraversa tutto questo ampio e ricchissimo volume, che rende finalmente accessibile a tutti l’intensa corrispondenza di Annalena durante il periodo più duro, violento e atroce della storia della Somalia e della sua vita. Vita donata sino al sacrificio estremo, nell’ottobre del 2003, quando venne uccisa da un sicario nel suo ospedale anti-tubercolosi di Borama, in Somaliland. «Pare che finirò martire dell’odio religioso – scriveva già nel 1992 -. Maria Teresa (l’amica di sempre, che ha condiviso molto del percorso di vita di Annalena e che ha curato insieme al fratello Bruno e a Enza Laporta questo libro – ndr) direbbe che sto per coronare un’aspirazione di sempre».

In questo volume – che fa seguito alle Lettere dal Kenya. 1969-1985 (sempre di EDB, 2014) – c’è l’essenza più vera, profonda, tragica e visionaria di Annalena Tonelli, laica missionaria che ha dedicato gran parte della vita ai “suoi” somali, prima in Kenya e poi in Somalia. Ma c’è anche la storia di quel Paese, nei suoi anni più bui, quelli della caduta di Siad Barre nel 1991, dell’inizio della guerra civile e della gravissima carestia che colpì soprattutto la regione di Merca. «La Somalia è precipitata in un baratro di violenza, di odi, di indifferenza assoluta all’altro, di ignoranza abissale, di assenza di valori morali da cui forse è un puro sogno anche solo bramare una rinascita».

Ma c’è soprattutto lei, una donna straordinaria, che aveva donato tutta se stessa, ben prima di essere uccisa, secondo quello che era il fine ultimo di tutte le sue scelte: «essere per Dio e per i poveri in Dio».

«So che non mi pentirò mai di aver vissuto così – scrive – perché non potrei vivere in modo differente. È un bisogno del mio essere intero vivere così. Sono saldamente convinta che ciò che conta è amare. […] È come se Dio mi avesse già donato troppo, perché troppo mi ha fatto capire e sentire. […] Sono profondamente serena, pronta ad accettare tutto, proprio tutto».

«Già quando l’ho conosciuta in Inghilterra – racconta padre Torriani – mi aveva fatto un’impressione enorme. Era molto giovane, allora, aveva poco più di vent’anni. Eppure esprimeva già tutto quello che sarebbe diventata: la sua idea di povertà assoluta, il desiderio di consacrarsi interamente a Dio e ai poveri, di essere per gli altri. Era una giovane donna estremamente decisa e molto radicale nelle sue convinzioni e nelle scelte. Già si vedeva che era una persona fuori dall’ordinario».

Padre Carlo la incontra di nuovo qualche anno più tardi a Roma, entrambi in attesa di ricevere il visto, Annalena per il Kenya e lui per l’India. Lei partirà per prima, e le loro strade si separeranno per lungo tempo, ma il legame resta.

Lascia l’Italia nel gennaio del 1969, dopo sei anni di servizio ai poveri di uno dei bassifondi di Forlì, ai bambini del locale orfanotrofio, alle bambine con handicap mentale e vittime di grossi traumi di una casa famiglia, ai poveri del terzo mondo grazie alle attività del Comitato per la lotta contro la fame nel mondo che aveva contribuito a fondare. «Credevo di non potermi donare completamente rimanendo nel mio Paese… – scriveva a quei tempi -; i confini della mia azione mi sembravano così stretti, asfittici … Compresi presto che si può servire e amare dovunque, ma ormai ero in Africa e sentii che era Dio che mi ci aveva portata e lì rimasi nella gioia e nella gratitudine. Partii decisa a gridare il Vangelo con la vita sulla scia di Charles de Foucauld, che aveva infiammato la mia esistenza. Questa la mia motivazione di fondo assieme ad una passione invincibile da sempre per l’uomo ferito e diminuito senza averlo meritato al di là della razza, della cultura e della fede».

Sono anni difficili ma anche esaltanti quelli trascorsi a Wajiir, nel deserto del Kenya, dove Annalena impara a conoscere i “suoi” somali, con i loro valori e le loro durezze, e condivide con le compagne la fatica e il senso di un servizio, di una donazione e di un amore per Dio e per gli altri, vissuti in modo assoluto e quotidiano al tempo stesso.

Ne proverà grande nostalgia quando, sola e in un contesto molto più violento e degradato, avrà a che fare con “altri” somali, quelli strapazzati e abbrutiti dalla guerra, dalla fame e dai soprusi.

Si aggrapperà una volta di più alla sua fede rocciosa, che come un filo di acciaio ha tenuto in piedi questa donna esile e apparentemente fragile che ha attraversato i momenti più tragici e raccapriccianti della storia della Somalia. Mantenendo – anche in questo caso straordinariamente e con grande tenacia – i rapporti con i suoi cari e con i suoi amici, fatti di una corrispondenza quasi quotidiana.

È così che trent’anni dopo quel giovane missionario del Pime, conosciuto a Londra, torna nella vita di Annalena che decide di visitarne l’ashram durante il suo viaggio in India del dicembre del 1995. «Era venuta insieme a Maria Teresa Battistini e Pina Ziani – ricorda padre Carlo -. Conoscevo bene e da molti anni soprattutto Pina, da quando avevano promosso il Comitato lotta contro la fame nel mondo a Forlì e io avevo realizzato una mostra proprio sul tema della fame. L’avevo fatta stampare in un formato che potesse entrare nella mia Renault 4 per poterla portare in giro in tutta Italia. Ricordo bene Annalena a quel tempo. E la ricordo quando è venuta in India. Aveva portato con sé solo due vestiti. Ne usava uno e lavava l’altro per il giorno dopo. Povera tra i poveri. Per lei era una cosa assolutamente normale. Credo abbia vissuto così sino alla fine».