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Il nuovo umanesimo deve essere missionario

L’EDITORIALE
Dal 9 al 13 novembre la Chiesa italiana fa tappa a Firenze per il Convegno ecclesiale nazionale sul tema «In Gesù Cristo il nuovo umanesimo». Un tema che non conosce più confini geografici, né classificazioni etniche, politiche, sociali o religiose
La Chiesa italiana che si riunisce a Firenze (9-13 novembre) per il quinto Convegno nazionale sul tema In Gesù Cristo il nuovo umanesimo tutto può permettersi tranne che ignorare il tema della missione. Il contesto sociale e culturale sempre più pluralistico, la crisi economica e del lavoro con la conseguente povertà di molte famiglie, l’arrivo dei migranti scuotono la quiete e la tranquillità sia delle città che di remote comunità di montagna. Papa Francesco ha supplicato famiglie, parrocchie, comunità religiose e monasteri di aprire le porte ai bisognosi; ma ancora troppo poco sarebbe offrire un tetto, magari da noi inutilizzato, e non il calore dell’accoglienza e della comprensione. A chi si lamenta delle condizioni attuali dell’Italia suggerisco, senza nemmeno il bisogno di riferirmi a ciò che di peggio ho visto in giro per il mondo, di pensare a come stavano le cose meno di un secolo fa: una guerra mondiale, i giovani al fronte a dover uccidere e farsi massacrare, milioni di poveri in fuga verso il Nord e il Sud America, la nostra popolazione essenzialmente contadina ridotta a pura sopravvivenza. Oggi, quindi, l’atteggiamento giusto è forse quello della fiducia. La crisi ci ha fatto soffrire, ma ci ha anche costretti a riflettere, ci ha purificato, ci ha resi più essenziali. In definitiva, più umani. Non so se ci ha un po’ riportati a Dio, ma certamente almeno a noi stessi. Non esiste il progresso illimitato. Né la totale sconfitta della povertà. Né la vittoria definitiva sul limite e sulla morte. Ora lo abbiamo capito. La sobrietà è condizione della solidarietà e delle forme più alte di carità, mai da confondersi con l’assistenzialismo o il paternalismo. La persona che ha perso tutto, a causa della guerra, di una calamità o dei ladri (compresa la finanza internazionale), è quella che mi rivela la mia stessa fragilità. Solo il caso o la fortuna di essere nato altrove mi ha permesso di non essere al suo posto. Questa persona io non posso evitare di accoglierla, mentre riprende in mano i cocci della propria vita e di nuovo ritesse una tela di dignità, vita familiare e onesto lavoro. La missione ai vicini e ai lontani, l’annuncio del Vangelo, non tanto con le parole, le riunioni e i convegni, ma con fatti di accoglienza, solidarietà e giustizia, l’approccio gioioso e generoso alla gente comune e soprattutto ai poveri sono strategie tanto ordinarie e tradizionali quanto efficaci per dire la pienezza d’umanità possibile per ogni uomo di buona volontà e tanto più per il cristiano. Il carattere italiano, per quanto a volte apparentemente contraddittorio in alcune sue espressioni mediatiche e politiche, è caratterizzato da raro senso di solidarietà, equità sociale e solidarietà internazionale. È forse questo il principale valore da trasmettere, senza esitazioni e senza sconti, ai giovani che saranno protagonisti e artefici di un “nuovo umanesimo”, che non conosce più confini geografici né classificazioni etniche, politiche, sociali o religiose. Su questo, il Convegno di Firenze ci dia una direzione pratica oltre al solito testo di riflessioni, buone intenzioni e vivaci discussioni.

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