Inviati perché amati

Inviati perché amati

Esempi che cambiano la vita, ricerche ininterrotte e un amore che non smette di portare frutti sorprendenti. Ecco le storie dei nuovi sacerdoti del Pime che verranno ordinati lunedì 15 giugno a Monza dall’arcivescovo di Milano, mons. Mario Delpini

 

«Noi amiamo perché egli ci ha amati per primo». È tratta dalla prima lettera di Giovanni (1Gv 4,19) la frase scelta per la loro ordinazione dai diaconi che lunedì 15 giugno diventeranno sacerdoti e missionari del Pime a tutti gli effetti. E dalle loro storie emerge proprio come le loro vocazioni siano sorte in questo modo, grazie ai semi lasciati da altri nelle loro vite. Dall’Italia all’Asia – da dove proviene la maggioranza dei nuovi sacerdoti – le persone che hanno incrociato le strade di questi giovani hanno lasciato loro l’esempio di un modo diverso di vivere la vita, attirandoli verso il cammino che li ha portati al sacerdozio.

Per la prima volta, a causa delle restrizioni imposte dal Coronavirus, le ordinazioni si tengono non nelle loro diocesi di provenienza o nel Duomo di Milano, ma nel Seminario teologico internazionale di Monza, con il rito presieduto dall’arcivescovo di Milano monsignor Mario Delpini, alla presenza del Superiore generale del Pime, padre Ferruccio Brambillasca. Con l’eccezione di padre Joseph Samaniego Briones, di origini filippine, che già un anno fa era stato destinato alla Thailandia per vivere una prima esperienza missionaria, ed è lì che verrà anche ordinato.

Sei in tutto, i nuovi sacerdoti dell’Istituto comprendono due studenti italiani del Seminario di Monza, Ivan Straface e Mauro Pazzi, l’indiano Sravan Kumar Koya, dallo stato del Telangana; poi Joseph Briones e Fel Catan dalle Filippine e infine Nathi Lobi, thailandese, primo missionario del Pime di etnia akha.

La sua storia, forse più di tutte, è rappresentativa di come gli incontri con testimoni della fede siano capaci di portare frutti spesso sorprendenti se non inaspettati. Nato tra i tribali nel Nord della Thailandia, Nathi Lobi ha incontrato la religione cattolica attraverso i missionari betharramiti che gestivano la parrocchia vicino al suo villaggio. Solo a 14 anni, senza sapere che cosa avrebbe significato per il suo futuro, ha incrociato la strada del Pime, andando a studiare all’ostello della missione di Mae Suay. Lì ha iniziato anche a dare una mano nel lavoro pastorale, con attività di catechismo e supportando i sacerdoti. «A quei tempi non avevo capito che lavoro faceva il Pime» racconta padre Nathi. «La vocazione missionaria non mi ispirava tanto, e a dire il vero nemmeno quella sacerdotale in generale. Ma avevo il forte desiderio di capire che cosa volevo essere veramente». Un desiderio che si è tradotto prima di tutto in un’esperienza con i camilliani, presso un centro che aveva bisogno di un educatore per gli orfani.

Dopo quattro anni, un nuovo cambio di congregazione e un nuovo spostamento: a Firenze, presso i focolarini, approfondendo ancora di più una chiamata che iniziava a spingerlo verso il sacerdozio. Solo a quel punto, capita la direzione, il Pime è tornato all’orizzonte. «L’ispirazione mi è venuta ricordando padre Corrado Ciceri in Thailandia. Come il Pime aveva fatto del bene alla mia tribù, io volevo farlo per un altro popolo. Così ho scritto a padre Maurizio Arioldi (il superiore in Thailandia – ndr) che volevo diventare missionario del Pime e subito padre Luigi Bonalumi (il rettore del seminario – ndr), che era in Italia, è venuto a trovarmi a Firenze e mi ha dato il primo ok».

Storia diametralmente opposta quella di Fel Catan: «A Zamboanga, nel sud delle Filippine, i parroci della mia parrocchia sono sempre stati del Pime» racconta, e suo zio Romeo Catan è stato il primo missionario del Pime delle Filippine. Non solo: Fel e i suoi cinque fratelli sono anche entrati nel programma di Sostegno a distanza della Fondazione Pime, e sono stati «adottati» da famiglie italiane che hanno permesso loro di studiare. Nessuna sorpresa che Fel sia sempre stato presente in parrocchia, fino anche ad andare a vivere nella casa del Pime.

La vocazione sacerdotale in lui è nata da bambino: «Se non ci fossero stati tutti quei problemi sarei entrato subito in seminario, ma sul mio desiderio vinceva sempre la preoccupazione per la mia famiglia, la necessità di aiutare i miei genitori e i miei fratelli». Fel ha continuato perciò gli studi nella difficile e pericolosa zona di Zamboanga, vivendo la sua esperienza all’interno della Chiesa locale. Solo dopo la laurea e quella dei suoi fratelli ha potuto entrare in seminario con tranquillità. «Sono andato da padre Sandro Brambilla e gli ho detto che volevo diventare prete. Quando lui mi ha chiesto che tipo di prete volevo diventare sono rimasto sorpreso: non pensavo ci fossero diversi tipi di prete. Per me il sacerdote e il missionario erano due figure che coincidevano. Li avevo sempre visti come uomini senza paura, pieni di zelo, che non pensavano a se stessi e non volevano tornare a casa nemmeno per i pochi mesi delle loro vacanze. Perciò ho risposto a padre Brambilla che volevo diventare come lui».

La politica del Pime è quella di non accettare direttamente candidati sacerdoti per l’Istituto, ma di indirizzare i giovani verso i seminari diocesani, per formare i sacerdoti dei Paesi di missione. Ma la motivazione di Fel era tale che i superiori decidono di mandarlo subito nel seminario del Pime di Tagaytay, dove ha studiato fino alla chiusura e prima di arrivare in Italia. E dopo di lui anche suo fratello Feljun ha intrapreso la strada del missionario, e ora studia l’italiano a Monza. «Così, con noi due e mia sorella che è suora, tre fratelli su sei hanno preso gli ordini» racconta Fel. «Merito di mia mamma, che ha sempre pregato perché tutti i suoi figli diventassero preti…».

Joseph Briones, il secondo filippino ordinato quest’anno, ha invece vissuto un percorso atipico. Proveniente dalla diocesi di Legazpi, una piccola città sull’isola di Luzòn, Joseph ha studiato a Monza per qualche anno, ma ha presto sentito il bisogno di un’esperienza missionaria durante la formazione. Dall’ottobre del 2016 è quindi stato inviato in Thailandia dove, oltre a proseguire gli studi sotto la guida di padre Arioldi, ha studiato la lingua thailandese e ha svolto un servizio in parrocchia a Ngao. Lì era stato ordinato diacono nell’ottobre del 2019 e lì è stato destinato dopo l’ordinazione sacerdotale.

Anche il percorso del nuovo sacerdote provenienti dall’India è frutto dell’esempio di altri missionari. La parrocchia di padre Sravan Kumar Koya a Bhemanapalli era gestita dal Pime, che lui ha conosciuto fin da bambino. «Ho visto il lavoro dei missionari nella scuola cattolica diocesana, dove permettevano a tanti bambini e giovani di studiare, e volevo fare come loro». Finiti gli studi il desiderio di entrare in seminario era già forte; su consiglio di un altro sacerdote Sravan ha frequentato uno dei campi vocazionali organizzati anche dal Pime ed è stato preso nel seminario di Pune.

E veniamo agli italiani, che con la loro ordinazione lasciano il Seminario di Monza senza nostri connazionali. Vengono da due percorsi molto diversi: il cammino di Ivan Straface prende avvio da un allontanamento dalla fede dopo l’iniziazione cristiana. «Mi sono riavvicinato grazie a degli amici che mi hanno riportato in parrocchia per l’oratorio estivo, e poi mi hanno invitato a fare Giovani e Missione» racconta. «Sono andato in Guinea Bissau da padre Zè Fumagalli e sono tornato a casa senza il desiderio di fare il missionario, ma con tanti interrogativi sulla missione. Avevo capito che la missione, in qualche modo, doveva far parte della mia vita perché mi faceva vivere la fede, era il mio modo di essere cristiano». Da lì in poi, Ivan non si è allontanato più dal Pime nel suo percorso di discernimento che lo ha condotto in seminario, dove ha iniziato a condividere gli studi con Nathi e poi anche con Mauro, Fel e gli altri.

Mauro Pazzi, invece, ha vissuto la fede sin da bambino in parrocchia e in oratorio, interrogandosi anche sulla missione grazie a qualche viaggio in Paesi come Haiti, Romania e Albania. «Però ero appassionato anche di religione e religioni, così ho iniziato a studiare iscrivendomi all’Istituto superiore di Scienze religiose di Bologna» racconta. Dividendosi tra il lavoro, l’amore per la montagna e la teologia, Mauro ha trovato anche il tempo per il servizio, con i bambini e con persone con disabilità, capendo che quella è una parte imprescindibile. Solo a 38 anni Mauro ha incontrato il Pime e, nella sua ricerca, decide di iniziare una nuova esperienza con l’Istituto. Ha trascorso un anno al Centro missionario di Milano, per poi entrare in Seminario e confermare la sua scelta per la missione, quella che chiama “il suo modo di amare”: «Ho capito che l’amore che provavo non era un amore “esclusivo”, ma un amore “inclusivo”, più universale, fraterno, sempre come dono, ma orientato soprattutto a coloro che il Vangelo chiama i “piccoli”».