Una risata amara

Una risata amara

Dal Messico sempre più gravemente alle prese con il Coronavirus il racconto di padre Alessandro Maraschi, missionario del Pime: «Lo stile di comunicazione del governo è sempre sorridente e promette un futuro rampante. Peccato che il domani sia sempre domani e l’oggi appare sempre più preoccupante»

 

Due giorni fa ho ricevuto un messaggio da padre Rogerio:
È morto un signore qui a la Concordia. Pare sia di coronavirus. Lo conoscevo bene, vorrei andare a trovare la famiglia.

Padre Rogerio è un missionario del Pime e la Concordia è il nome della parrocchia immersa tra le colline della Costa Chica, nello stato di Guerrero, nel Sud del Paese. È una parrocchia che abbraccia una trentina di villaggi indigeni, quasi tutti mixtechi, uno degli antichi popoli preispanici messicani.

Sale subito la preoccupazione. Casi accertati finora non ve ne sono stati. Si dice che qualcuno della comunità che per lavoro si trova ad Ayutla, la cittadina più vicina, si sia ammalato; un altro che era andato a lavorare nelle coltivazioni a Nord del Paese pare sia deceduto…
I condizionali e le ipotesi sono di casa in questi mesi tra i villaggi.

È stato avvertito il dottore?
No. È andato via giovedì scorso e non è ancora tornato. – Il medico, come i maestri, passano qualche giorno a settimana tra i villaggi e poi ritornano in famiglia per il resto della settimana.

Come fanno a dire che è morto di Coronavirus?
Era giovane, fino ad una settimana fa stava bene e poi è peggiorato sempre più. Mi preoccupa il fatto che molti stanno andando a trovare la famiglia.
L’impotenza si percepisce scottante.

Penso che andrò in ogni caso. Lo conoscevo bene.
Mi raccomando prendi precauzioni e se puoi, cerca di stare fuori all’aria aperta.
I saggi consigli della nonna sembrano i dispositivi più efficaci.

Vuoi saperne una bella? Quando sono arrivato alla casa del morto, il morto non era morto, anzi sta già meglio. Mi chiedo chi abbia messo in giro la voce!
Ci facciamo una risata, ma è amara.
In Messico le zone rurali come quelle della Concordia, sono piccole realtà che sommate contano milioni di persone e che in questi mesi hanno continuato la vita di sempre, forti solo dei propri rimedi e delle proprie preghiere e speranze.

Questo semplice racconto stride con la narrazione che qui in Messico quotidianamente viene proposta dal Palazzo Nazionale, sede della presidenza della Repubblica.
Il Presidente Andrés Manuel Lopez Obrador con una mano accarezza il popolo, complimentandosi per il magnifico comportamento durante la pandemia. Lo sprona a non aver paura, ad uscire. Lo incoraggia a camminare con retta coscienza e a lottare contro la corruzione, perché così facendo il Messico riuscirà a puntare al futuro con grande forza e ottimismo.
Con l’altra mano condanna duramente i nemici della trasformazione del Messico, che si muovono nell’ombra e pensano solo al proprio tornaconto.
Scava quotidianamente una divisione manichea tra chi è a favore o contro la trasformazione, la Quarta Trasformazione come ha chiamato il suo programma politico.
Chi siano questi nemici è difficile dirlo. Il governo ha ottimi numeri per governare e l’opposizione politica non ha in questo momento volti forti di riferimento. Sorprende e preoccupa, soprattutto il fatto che i nomi e cognomi contro i quali si scaglia il presidente, spesso sono quelli di giornalisti e intellettuali.

La colpa in questi mesi sembra quella di porre al centro del dibattito la mancanza di un piano economico per gestire la situazione: i dati parlano di una perdita di più di un milione di posti di lavoro da inizio anno, senza contare quanti hanno perso il perso un lavoro informale, che non rientra nei conteggi, e di una contrazione del PIL di oltre il 10%. Il presidente sorride e intanto chiude il discorso dicendo che le stime di crescita al 6% verranno rispettate, che lui segue “altri dati” e che – ancora una volta – il popolo è meglio che ascolti chi li ha davvero a cuore.

Si alzano le voci che denunciano lo stato di violenza e di insicurezza. Domenica scorsa si è battuto ancora una volta il triste record di omicidi in un giorno, 114. Nei giorni delle proteste contro la violenza dei corpi di polizia negli Stati Uniti, sono emersi anche qui due omicidi sospetti da parte delle forze dell’ordine, uno a Guadalajara e uno a Oaxaca. In Messico l’emorragia della violenza è un buco nero che continua divorare i figli della nazione: una media di 90 omicidi al giorno, di cui in media 10 donne e anche 1,5 uomini delle forze dell’ordine. Il 90% dei delitti rimangono impuniti.
Bruciano come sale sulle ferite le parole del governatore di Puebla, che afferma che la maggioranza delle donne scomparse, sono «in realtà fughe d’amore con il fidanzato» o quelle ancora una volta del Presidente, quando dice che molte chiamate al numero contro la violenza domestica, «sono in realtà false». La sua politica di “abrazos y no balazos”, abbracci e non pallottole, risulta essere rincuorante nelle parole, ma francamente inadeguata nei fatti.

Nel frattempo dopo oltre 90 giorni di distanziamento sociale Lopez Gatell, il sottosegretario della Segreteria della salute e volto simbolo delle conferenze serali sul coronavirus, annuncia per la quarta volta che il picco sarà raggiunto la prossima settimana.
I numeri dei contagi sono ancora in fase espansiva e anche i decessi si avvicinano progressivamente alle vittime dei Paesi europei come la Spagna, la Francia, l’Italia.

Lo stile di comunicazione è sempre sorridente e promette un futuro rampante. Peccato che il domani sia sempre domani e l’oggi appare sempre più preoccupante.

A rompere questa cortina di notizie oscure ci pensa una spiccata propensione tutta messicana a fare satira e ironia praticamente su qualsiasi situazione.
Il Presidente, questo martedì, ha presentato un documento complottista ai suoi danni senza specificare firmatari e provenienza. Si presentano come Bloque Opositor Amplio, la sigla B.O.A. lo tramuta subito in un animale dal sapore losco e misterioso, “la boa” (in spagnolo il boa è femminile). Vengono azzardati una manciata di nomi e la ricetta per spostare l’attenzione dalle questioni incombenti sul Paese sembra essere servita.
Arriva il colpo di genio: viene tirata fuori una canzone della musica di banda proprio con il titolo “la boa”. I volti dei cantanti vengono sostituiti con quelli dei supposti complottisti, in tipici abiti “rancheros” e il complotto si affloscia sotto il mare di fotomontaggi e video della rete.
Ci facciamo una risata, ma anche questa è amara.