AL DI LA’ DEL MEKONG
La missione: qualcosa di irrinunciabile

La missione: qualcosa di irrinunciabile

Missione e teologia, missione e cultura, missione e società: tre snodi irrinunciabili per un pensiero e una prassi futuri da ritrovare in questo Mese missionario straordinario

 

«Se nascessi mille volte, mille volte tornerei in missione» (1)

La recente inaugurazione del nuovo Centro di Animazione e Cultura Missionaria Pime a Milano, mi offre l’occasione per riflettere sulla missione.

Padre Gheddo comincerebbe da una vibrante citazione di padre Clemente Vismara, modello di ogni missionario. «La vita è fatta per esplodere, per andare lontano»!, scrisse padre Clemente. Morto in Birmania a 91 anni, la sua è stata una vita esemplare che, passando, guadagnava in giovinezza e stupore di fronte alle cose. Fu un grande uomo. Un grande padre. E quindi… un grande missionario! Con due gambe: carità e santità.

Quanto al Centro di Animazione appena inaugurato, esso è stato ripensato all’interno di un cammino di riduzione delle strutture e delle presenze missionarie del Pime in Italia. La stessa Direzione Generale dell’istituto ha lasciato la sua storica sede romana per trasferirsi a Milano. E nondimeno, questa razionalizzazione dell’impegno vuole essere allo stesso tempo un rilancio in un tempo storico nel quale il crollo delle vocazioni sembra irreversibile quanto generale. L’Italia sta perdendo anche su questo fronte. Per quella mortale denatalità che svuota le famiglie, le scuole, le chiese, i seminari e… i cuori!

Tornando alla missione, mi sembrano tre gli snodi irrinunciabili per un pensiero e una prassi futuri.

Anzitutto lo snodo missione e teologia. La missione è di Dio, ma non di un Dio qualsiasi, bensì di un Dio Uno e Trino. È a partire da questa imprepensabile originalità del monoteismo trinitario che si deve continuare a pensare la missione. Ché se poi tocca da vicino il confronto con altre tradizioni e culture religiose, è solo auspicabile. Non per un confronto-scontro, quanto per raccogliere la domanda attorno alla verità di Dio e dell’uomo. Domanda che va riportata tra le vie, le piazze, le scuole, le istituzioni della grande Milano, dell’Italia e del mondo intero. Tanto più in questi tempi di crisi antropologica, per i troppi idoli che gli uomini si impongono. La domanda attorno alla verità di Dio deve dunque misurarsi con l’originalità del monoteismo trinitario e con la sua rivelazione in Cristo. Perdere questa originalità, significherebbe perdere la ragion d’essere non solo della missione, ma anche del mondo intero! Non a caso, negli ultimi decenni la riflessione teologica si è intensificata attorno alla plausibilità di un’ontologia trinitaria. Se è vero che tutto «porta nel proprio “genoma” la traccia profonda della Trinità, di Dio-Amore» (2), allora, per un Dio così, che solo Cristo ci dà, «se nascessi mille volte, mille volte tornerei in missione»!

Un secondo snodo, il rapporto tra missione e cultura, secondo la logica dell’incarnazione. L’esperienza missionaria in quanto incontro con altre culture, studio perseverante di altre lingue, contatto diretto con altre persone, produce naturalmente cultura. Una cultura del dialogo e della stima reciproca, della conoscenza intima e della ricerca di un sentire comune, pur in contesti plurali. La missione è incontro-incarnazione. Gesù per primo ha affrontato lo spessore dei sensi e, con essi, ha fatto di ogni incontro un autentico culto a Dio. Incarnandosi, ha caricato i sensi di senso e resistendo a qualsiasi commercio, li ha liberati da catene invisibili. Diremmo oggi, digitali! Per questo dovremmo aggiungere al decalogo un comandamento nuovo, “più volti e meno video”! Che mirabile apporto può offrire l’esperienza missionaria così carica di sensi, al formarsi di una cultura, nella famiglia come nella scuola. Niente di astratto, anzi: per un Dio così “sensato”, che vede, che ascolta, che tocca, che gusta tutto ciò che è umano e gli restituisce senso, «se nascessi mille volte, mille volte tornerei in missione»!

E da ultimo, il rapporto fra missione e società. Se un tempo i missionari partivano per salvare le anime, poi per realizzare il Regno di Dio in terra secondo un’ideale di giustizia sociale, ora ci vorrebbe ancora un sogno parimenti affascinante che persuada a partire. Ebbene, questo snodo implica l’inserzione della “giustizia di Dio”, del sogno di Dio, in ogni aspetto della vita. Non come sentenza o verdetto, ma come compimento di ogni persona e del mondo intero. Come giustificazione per la fede attraverso l’opera dello Spirito, direbbe San Paolo. Perché tutti possano essere giustificati, cioé resi giusti-degni-figli, e possano dire, ovunque si trovino, «sia grazia essere qui, nel giusto della vita, nell’opera del mondo» (M. Luzi). Un prospettiva così dovrebbe ispirare una politica conseguente. Una finanza, un mercato del lavoro, una conoscenza, un’informazione, una scienza, un’ecologia, … secondo questa giustizia. Quella di Dio. Per la quale, «se nascessi mille volte, mille volte tornerei in missione»

 

  1. Parole di p. Alfredo Cremonesi, martire in Myanmar e prossimo agli onori degli altari
  2. Benedetto XVI, Angelus, Solennità della Santissima Trinità, 7 giugno 2009

 

Foto tratta da: catholicmission.org.au