Missionari dal cuore “convertito”

Missionari dal cuore “convertito”

In occasione della Giornata missionaria mondiale, la riflessione – che parte dal tema delle convivialità – di un missionario del Pime che ha vissuto a lungo in Bangaldesh e ha incontrato molte volte Madre Teresa in India

I giorni scorsi la liturgia ci proponeva la pagina evangelica dell’invio dei settantadue discepoli (Luca 10,1-9), mentre in alcune versetti precedenti ci aveva parlato dell’invio dei dodici. Quasi a dirci che tutti i battezzati sono coinvolti nella missione. L’evangelista elenca ciò che realmente serve per la missione: la possibilità del rifiuto e la prova da superare…

Ciò che personalmente mi ha colpito della lettura è che per ben due volte viene detto che all’inviato verrà dato da mangiare e bere: «Restate in quella casa, mangiando e bevendo di quello che hanno…» (v.7) e «quando entrerete in una città e vi accoglieranno, mangiate quello che vi sarà offerto…» (v.8).

Il mangiare e il bere sono simbolo di una comunione con le persone che incontriamo, con la cultura nella quale gradualmente ci troviamo immersi. Se sappiamo ascoltare ed apprezzare ci si renderà conto di trovarsi di fronte a una realtà positiva e bella che si trova già sul posto, non la si deve portare. A questa realtà ho dato un nome: «quei semi del Verbo» che sono quella misteriosa presenza di Cristo salvatore, di cui aveva parlato il Concilio Vaticano II.

Trattandosi di un “seme, è qualcosa che non è a portata di mano ed è subito riconoscibile. Ma non è detto che sia introvabile!

Per porsi alla sua ricerca, a mio avviso, c’è una domanda che all’improvviso sale dal profondo, un interrogativo che inizia a mettere in crisi quello che si sta facendo, un dubbio che si chiarirà solo mettendosi in cammino… Trovare il “seme” non è frutto solo di una ricerca personale, ma si viene portati: è Grazia! Incontrerai delle persone che ti aiutano e quello che ti propongono sulle prime ti sconcerta un po’: ti chiede di fare un primo passo per staccarti dalla tua storia personale, dal tuo modo di vivere lo stesso rapporto religioso. Si tratta di cambiare religione? Niente affatto! Quel “seme” si presenta come una realtà che arricchisce la tua storia personale e la tua stessa tradizione religiosa che ti ha accompagnato per tutta la tua vita.

Ma come ogni cosa nuova, sulle prime ti scalda il cuore, ma poi, come è il caso della perla preziosa trovata, devi vendere tutto per entrarne in possesso. E per fare questo, occorre attraversare il deserto e fare i conti con le “bestie selvatiche” che vi abitano. Siccome si tratta di un cammino che non si è iniziato di volontà propria, ma su iniziativa di Qualcuno che ti conosce più di te stesso, anche in questa occasione ti trovi accanto persone che ti aiutano. Posso ben dire che alla fine di questo cammino straordinario della durata di qualche anno, mi sono trovato a essere in grado di “trafficare” i miei talenti pur con i miei limiti. Se non avessi avuto tale possibilità, se non mi fossi trovato in un altro Paese e se non avessi avuto un contatto esperienziale con un’altra tradizione religiosa che è stata in grado di darmi ciò che non si trova nella nostra, non sarei ciò che sono.

Di che cosa mi sento arricchito personalmente? È ben sintetizzato in una affermazione che ho trovato nel libro “Silent music” di Johnston, che mi era stato proposto per la mia meditazione: «San Giovanni della Croce non chiede mai distacco da Dio, ma dai pensieri, idee e sentimenti che riguardano Dio. Egli è sopra ogni cosa: idee, idoli, immagini e parole di ogni genere. La tentazione perenne dell’uomo è quella di porre Dio in una definizione o in una categoria, e così di essere in controllo…» (Cap. XI, p.131).

Si può concludere che non si può stabilire alcuna relazione umana e tanto meno con Dio con la sola razionalità. Tutta la persona deve essere coinvolta. I profeti del Primo Testamento e Gesù stesso hanno sottolineato quanto sia importante la conversione del cuore.

Tornando al bravo evangelico, si chiede di pregare Dio perché mandi sempre più operai nella sua messe. A mio avviso, è tempo che tali “operai” siano pronti a iniziare e a portare avanti un processo di inculturazione del messaggio evangelico. Questo presuppone che l’inviato sia in grado di ascoltare prima di operare, senza alcun tentativo di esportare ciò che propone la Chiesa dalla quale proviene.