Il ritorno dei mercenari

Il ritorno dei mercenari

La compagnia Wagner fondata da Yevgeny Prigozhin, morto in un incidente aereo, gestisce una vasta rete di operazioni all’estero, soprattutto in Africa. Una “guerra non convenzionale” al servizio degli interessi di Mosca, destinata a continuare

A fine luglio, dopo che in Niger un inaspettato colpo di Stato aveva destituito il presidente della Repubblica Mohamed Bazoum, le manifestazioni antifrancesi e inneggianti alla Russia colpirono l’opinione pubblica internazionale. In quei giorni, si diffusero le voci di una presenza nel Paese dei mercenari del gruppo Wagner a sostegno della giunta golpistaCerto è che ormai da anni gli “istruttori russi” hanno un ruolo consolidato nella regione.

La Compagnia militare privata (Pmc) fondata dallo “chef di Putin” Yevgeny Prigozhin, morto il 23 agosto in un incidente aereo nei cieli di Kuzhenkino, è nota al grande pubblico per il suo protagonismo sui campi di battaglia ucraini, fino all’eclatante ammutinamento dello scorso 24 giugno. Ma è da tempo attiva anche ben al di fuori dei confini europei. E se in patria il suo ruolo era stato nettamente ridimensionato dopo la ribellione contro i vertici dell’esercito regolare, all’estero anche dopo la scomparsa di Prigozhin i miliziani russi non hanno smesso di portare avanti le loro attività e i loro affari. Che quasi sempre coincidono con quelli del Cremlino.

Il gruppo Wagner, impiegato per la prima volta durante la guerra del Donbass a sostegno delle forze separatiste, comparve in Siria a fine 2015, dopo che Mosca era venuta in aiuto del dittatore Bashar al-Assad contro le milizie antigovernative, e arrivò a contare fino a 5.000 effettivi nel tormentato Paese mediorientale. Ma è in Africa che, negli ultimi anni, l’ascesa della Compagnia non ha conosciuto sosta. La porta d’accesso al Continente è stata la Libia, dove la brigata sbarcò per sostenere l’ex signore della guerra Khalifa Haftar, uomo forte della Cirenaica, e nel 2019 partecipò alla sua offensiva verso Tripoli (poi fallita). L’anno dopo, secondo un report dell’Onu, nella regione orientale libica erano dispiegati tra gli 800 e i 1.200 miliziani (nei cui ranghi figuravano anche combattenti siriani).

Qui il gruppo Wagner cominciò a sperimentare il modello che avrebbe poi consolidato in altri Paesi africani: fornitura di servizi di sicurezza, addestramento e supporto logistico fino alla partecipazione attiva a scontri armati, e parallelamente coinvolgimento in business e traffici più o meno legali, come il contrabbando di risorse. Se in Libia si trattava del petrolio, oggi in Centrafrica gli “istruttori russi” puntano prima di tutto all’oro. Arrivati nel 2018 per aiutare il regime del presidente Faustin-Archange Touadéra a respingere un’offensiva dei ribelli, in questi anni hanno creato un’estesa rete di attività estrattive in tutto il Paese. Attraverso compagnie affiliate, come Lobaye Invest, Midas Ressources e Diamville, hanno ottenuto licenze e autorizzazioni all’esportazione e utilizzato le proprie reti tra Sudan, Camerun e Madaga­scar per mettere in piedi un sistema di commercializzazione al riparo dai controlli. Secondo diversi analisti, la milizia avrebbe spedito diamanti centrafricani ad acquirenti negli Emirati Arabi e in Europa attraverso la società Industrial Resources, eludendo così le sanzioni imposte a Mosca dopo l’invasione dell’Ucraina. Tra i business avviati anche lo sfruttamento delle foreste pluviali nel Sud del Paese africano e persino la produzione di birra e alcolici.

Per raggiungere i loro obiettivi, sul campo di battaglia o sul fronte degli affari, i mercenari russi usano gli stessi metodi violenti per cui sono stati accusati a più riprese da Onu e organizzazioni per i diritti umani in diversi teatri. Human Rights Watch ha parlato di «torture, abusi e omicidi di civili». Se – come rivela un recente rapporto dell’organizzazione investigativa statunitense The Sentry – «il motto del gruppo Wagner nelle sue incursioni fuori da Bangui è “non lasciare traccia”, in altre parole uccidere tutti, compresi donne e bambini», anche quando si tratta di oro e diamanti la legione segreta di Putin, come è stata definita, non esita a mettere in atto «violente campagne militari per allontanare i civili dalle aree minerarie».

Questi crimini sarebbero riconducibili a un distaccamento di combattenti che sovrintende anche al contrabbando di oro (e molto altro) in Sudan, dove il gruppo Wagner ha stretti contatti con le Forze di supporto rapido (RSF) di Mohamed Hamdan Dagalo “Hemeti”, attualmente in guerra con l’esercito regolare. Il Sudan è considerato uno dei Paesi africani che più subisce l’influenza di Mosca e la milizia privata di Prigozhin vi è attiva già da quando era a fianco del dittatore Omar al-Bashir.

Nel mirino, ancora una volta, l’accesso ai preziosi depositi di oro, manganese, silicio e uranio: fino allo scoppio dei combattimenti tra le fazioni rivali a Khartoum lo scorso aprile, gli agenti Wagner dalla capitale inviavano lingotti negli Emirati Arabi e a Mosca da vendere sui mercati internazionali. E nemmeno il conflitto avrebbe del tutto interrotto le operazioni nel Paese, grazie alla collaborazione con gli stessi paramilitari delle RSF.

Anche la giunta del Mali, al potere dal 2021 grazie a un colpo di Stato, lavora con la Compagnia militare privata finanziata dal Cremlino, i cui membri sono stati in gran parte reclutati nelle carceri russe. Il gruppo di lavoro delle Nazioni Unite sull’uso dei mercenari ha chiesto indagini sui crimini commessi dai combattenti Wagner insieme alle forze governative maliane in seguito a «resoconti persistenti e allarmanti di orribili esecuzioni, fosse comuni, atti di tortura, stupri e violenze sessuali, saccheggi, detenzioni arbitrarie e sparizioni forzate».

I dividendi di tanta brutalità si contano sul piano operativo – gli Usa ritengono che la Compagnia in Mali abbia utilizzato documenti falsi per nascondere l’acquisizione e il transito di mine, veicoli aerei senza equipaggio, radar e sistemi di controbatteria da impiegare in Ucraina – ma anche su quello politico. A luglio, il Consiglio di sicurezza dell’Onu ha accettato la richiesta maliana di ritirare la propria missione di peacekeeping dopo un decennio, lasciando il Paese sempre più esposto all’influenza di Mosca.

Dal Mali al Centrafrica al Burkina Faso, il gruppo Wagner è stato funzionale alla strategia del Cremlino di scalzare le truppe francesi sostituendole con i propri mercenari, attraverso il sostegno a regimi golpisti o a governi che hanno contenziosi con Parigi. Più in generale – come sottolinea il rapporto di The Sentry – «il modus operandi di Wagner ha mirato a espandere l’influenza russa, a scapito degli interessi occidentali».
Una strategia che non è limitata al Continente africano. I mercenari di Prigozhin, ad esempio, erano a Caracas nel 2019 per fornire sicurezza al presidente venezuelano Maduro dopo le proteste contro la sua leadership e hanno addestrato unità combattenti d’élite nel Paese, ricco di petrolio, con cui Mosca ha stretti legami sia militari che economici. Secondo vari think tank, la Pmc russa è attiva anche in Asia, ad esempio in Sri Lanka. Non sempre è possibile tracciare con precisione le diramazioni delle Compagnie militari private – che in Russia sono in crescita pur essendo illegali – poiché formalmente agiscono indipendentemente dal governo e dalle forze armate convenzionali.

Tuttavia, gli analisti ritengono che il gruppo Wagner sia probabilmente presente in oltre 30 Paesi in tutto il mondo. E vista la sua convergenza con l’agenda del Cremlino, è improbabile che la scomparsa del controverso fondatore ne pregiudichi l’efficienza all’estero. Già dopo l’ammutinamento di giugno, il ministro degli Esteri russo Lavrov aveva rassicurato gli alleati in Africa che i combattenti nel Continente non sarebbero stati ritirati. In Centrafrica, anzi, ci sarebbe il progetto di una nuova grande base, con una capacità di 5.000 effettivi, che fungerebbe da trampolino di lancio per gli interessi geopolitici di Mosca nella regione. Nell’o­biettivo, il Ciad e soprattutto la vasta e ricca Re­pubblica Democratica del Congo.
Insomma, cadrà qualche testa e cambierà qualche nome, ma Putin non rinuncerà certo a sfruttare la redditizia rete di centinaia di società costruita da Prigozhin. La guerra non convenzionale dei nuovi mercenari è destinata a continuare.