Quei dieci secondi di umanità

Quei dieci secondi di umanità

È il tempo che, secondo Mireille Yoga, direttrice del Centro Edimar di Yaoundé, è necessario per restituire uno sguardo di dignità a un ragazzo di strada. Una testimonianza di impegno personale e sociale sulla scia di padre Maurizio Bezzi

«Sono Mireille Yoga, direttrice del Centro Edimar di Yaoundé e madre di quattro figli adottati e cinque in affido». Si presenta così questa sorridente donna camerunese che, in realtà, di “figli” ne ha e ne ha avuti molti di più. Sono tutti quelli che sono passati dal Centro Edimar dove lavora sin da quando padre Maurizio Bezzi, missionario del Pime, lo ha creato nel 2002, di fronte alla stazione della capitale camerunese per offrire un punto di riferimento a tutti quei bambini e ragazzi che sono costretti a vivere nelle strade.

Mireille è lì sin dall’inizio e ne ha preso la guida quando padre Maurizio è stato trasferito in Algeria. È l’anima di questo centro e di tutte le attività che vi si svolgono attorno, perché quello che la spinge è una fede profonda e un profondo senso di prossimità. Che si è tradotto anche in scelte personali molto forti.
«Io e mio marito non riuscivamo ad avere figli – racconta con pudore, ma anche con grande trasparenza, affrontando un tema che in molti contesti africani è ancora un tabù perché la sterilità è spesso sinonimo di maledizione -. A un certo punto ero veramente ossessionata dal desiderio di dare un figlio a mio marito. Per fortuna è una persona aperta e comprensiva. Mi ha detto: “Non piangere. Per me tu vali più di dieci figli. Ti risposerei anche subito”».

È così che il percorso personale e quello professionale di Mireille si sono ancora più strettamente intrecciati, l’uno e l’altro illuminati dalla fede che l’incontro con padre Maurizio aveva contribuito a rivitalizzare. «“Può essere che il Signore ti chiami a una maternità spirituale” – mi aveva detto -. Ho sentito che quello che mi stava proponendo non era solo un lavoro. Era qualcosa di molto più grande che rispondeva a un mio bisogno e a un mio dolore». Qualcosa che ha aperto le porte a un’accoglienza che è diventata famiglia e comunità, impegno personale e sociale. E che si è tradotto in una miriade di incontri e di amicizie che continuano, a loro volta, a creare nuove possibilità di costruire dal basso un’umanità nuova.

Lo stesso Centro Edimar oggi è davvero qualcosa di molto grande e speciale, non solo perché ha aiutato – e continua a farlo – centinaia di bambini e ragazzi di strada, ma perché ha inoculato nella società camerunese tanti segni di speranza. «È una pianta che continua a crescere e a dare frutto e che ci dà una forza incredibile. Il Centro Edimar è un grande albero, il cui primo seme è stato piantato da padre Maurizio nella terra camerunese per fare maturare un’umanità diversa. Un’umanità per tutti coloro che sono stati abbandonati o che si sentono abbandonati, che si sono rifugiati nelle strade e nei luoghi dove nessuno osa andare. Edimar è la possibilità di scoprire la bellezza del loro cuore e la capacità di vedere che c’è una speranza».

Non è facile. E non è per tutti. In Camerun, questi ragazzi molti non li vogliono neppure vedere. Li chiamano nanga boko, che significa letteralmente «quelli che dormono fuori», ma il termine ha assunto un significato molto dispregiativo. La gente e le autorità li considerano come la feccia della società e li trattano come criminali, ladri, bugiardi. Forse è più facile così, piuttosto che guardarli come vittime di quella stessa società di cui fanno parte e che mette ai margini i più deboli e indifesi e li usa come capri espiatori delle colpe degli adulti. Ed è più facile così piuttosto che trattarli come persone, con pregi e difetti, con risorse e potenzialità che spesso sono state tradite.

Padre Maurizio, che è rimasto in Camerun dal 1987 al 2018 si era fatto ispirare da frère Yves Lascanne, un Piccolo Fratello, pioniere nel lavoro con i ragazzi di strada e vittima di uno di loro; aveva collaborato prima con il Foyer de l’Espérance, la Casa della Speranza, e poi aveva creato lui stesso, nel 2002, il Centro Edimar con un obiettivo preciso: contrapporre l’amicizia alla violenza,la fiducia alla diffidenza.
«La sua presenza in Camerun – ricorda Mireille – ha fatto sì che oggi ci sia tutta una generazione di ragazzi che hanno lasciato la strada e di loro figli che non l’hanno mai conosciuta, che non vi hanno mai dormito, mangiato, rubato o subìto abusi. Una nuova generazione che va a scuola. E questa è una cosa incredibile e bellissima».

La pandemia di Coronavirus e le misure restrittive che sono state applicate pure in Camerun hanno rischiato di infliggere un duro colpo anche al Centro Edimar. Ma soprattutto ai ragazzi che vi fanno riferimento e che sono circa 200 ogni giorno per varie attività soprattutto educative, ma anche per fare una doccia o farsi curare una ferita. «Abbiamo dovuto chiudere il Centro per diversi mesi, ma la cosa più grave è che hanno chiuso le scuole per molte settimane. La dispersione scolastica è stata enorme e le conseguenze le vediamo drammaticamente ancora oggi», dice Mireille. In questi ultimi anni, poi, sono iniziate ad aumentare pure le ragazze di strada e la loro situazione è ancora più drammatica perché subiscono molti abusi, spesso rimangono incinte e i loro bambini nascono e crescono sulla strada. Non solo: ci sono sempre più “famiglie” sulla strada, spesso ovviamente disfunzionali. Le difficoltà economiche e la perdita di valori hanno aggravato la situazione. Si sono create delle società “parallele”.

Mireille e il suo staff, tuttavia, non si sono scoraggiati, anzi. Se i ragazzi non potevano andare al Centro sarebbero andati loro in strada. «Con i nostri educatori abbiamo cercato di seguire specialmente i più piccoli nei luoghi in cui si ritrovano. Quando è stato possibile, li orientavamo a tornare al villaggio o a raggiungere qualche parente». Con la collega, amica e compagna di molte battaglie, Marthe, hanno intensificato la presenza in strada, cercando di raggiungere anche i ragazzi più “difficili”, quelli che fanno uso di alcool e di droghe: ragazzi che, quasi sempre, si rivelano anche come i più vulnerabili perché esposti a tutto. «Con gli operatori di Edimar – continua Mireille – siamo tornati più frequentemente in strada. Abbiamo cercato di fare sensibilizzazione perché si proteggessero dal contagio e da tanti altri rischi. E poi abbiamo avviato una specie di scuoletta in strada, insegnando a leggere e a scrivere per terra, nella sabbia e nella polvere. La cosa ha funzionato così bene che abbiamo deciso di andare avanti anche dopo la fine dell’emergenza. Oggi Marthe torna in strada regolarmente, vicino al mercato delle mucche dove quasi tutti sono musulmani. È arrivata ad avere sino a 160 “studenti”. E così, dopo un po’, la gente del posto le ha offerto due stanze nella vicina scuola coranica. E sono cominciati anche alcuni piccoli corsi professionali. È un primo passo, ma è importantissimo perché i ragazzi si rendano conto dell’importanza dell’istruzione per il loro futuro e possano un giorno essere inseriti in una vera scuola. Per questo, abbiamo avviato anche la costruzione di alcuni dormitori, un po’ fuori dal centro, perché possono avere un luogo semplice ma tranquillo dove concentrarsi negli studi».

La scuola in strada, così come molte altre attività, non sono solo un’occasione di apprendimento, ma innanzitutto un “pretesto” e una possibilità di incontro, di stringere la mano ai ragazzi, di guardarli negli occhi per dieci secondi. «Dieci secondi di dignità! – sottolinea con forza Mireille -. Dieci secondi che, come ci ha sempre ricordato padre Maurizio, sono diventati una storia». Alcuni dei ragazzi che hanno incontrato quello sguardo oggi sono tornati come volontari ad aiutare quelli che sono ancora in strada. «È bellissimo constatare che chi ha incontrato una mano tesa ora voglia fare lo stesso con altri. L’amicizia e l’educazione possono far emergere il desiderio e la capacità di dare oltre che di ricevere. In questo modo il cerchio non si chiude mai».

«Prego e ringrazio ogni giorno per tutto ciò che Cristo mi permette di realizzare intorno a me attraverso il mio cuore e il mio sguardo», conclude Mireille. E così quei dieci secondo carichi di umanità permettono a una bellissima storia di continuare a essere scritta.


La Fondazione Pime di Milano sostiene il Centro Edimar di Yaoundé con il progetto K620. Per donare:
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