In ricordo di padre Ciceri, per oltre trent’anni in Bangladesh

In ricordo di padre Ciceri, per oltre trent’anni in Bangladesh

«Un santo che è salito in Cielo pochi giorni fa». Il ricordo di padre Paolo Ciceri, missionario del Pime per oltre trent’anni in Bangladesh, nelle parole del confratello Pierfrancesco Corti

«Ho trascorso i miei primi tre anni in Bangladesh e poi gli ultimi cinque con padre Paolo Ciceri. Otto anni con un santo!». È così che padre Pierfrancesco Corti ricorda il confratello padre Ciceri, entrambi missionari del Pime: «Un santo che è salito in Cielo pochi giorni fa».

Padre Paolo Ciceri, infatti, è deceduto nella casa di Rancio di Lecco, lo scorso 9 novembre, poco prima di compiere 80 anni: era nato a Monte Siro, in provincia di Milano, il 25 novembre 1942. Ordinato presbitero per l’arcidiocesi ambrosiana il 28 giugno 1967, dopo cinque anni di servizio, nel 1971 entra nel Pime per iniziare la sua formazione missionaria, considerato che da sempre la missione era stata la sua aspirazione. Fa il giuramento il 25 gennaio 1973, dopo un periodo di “prova” a Cervignano. Destinato – come era suo desiderio – al Bangladesh, parte quello stesso anno, dopo un periodo trascorso a Londra per lo studio dell’inglese. Là è rimasto sino al 2017, sempre impiegato nel ministero parrocchiale. Per motivi di salute, era rientrato nel 2017 in Italia e, da allora, aveva risieduto nella comunità Pime di Rancio di Lecco.

«Negli anni in cui sono stato con lui – continua il suo racconto padre Corti – ho visto la sua fede in quel Gesù che lo aveva chiamato a essere sacerdote e missionario. Quanta passione metteva nella preghiera, nell’Eucarestia, nella confessione, nella preparazione delle omelie, nei ritiri che in ogni occasione organizzava prima a Milano nel suo oratorio e poi in Bangladesh con la sua gente. Vedevo come la sua fede diventava “carne”, visibile e palpabile nell’amore verso chi aveva bisogno».

A Milano aveva cominciato a occuparsi dei migranti che negli anni Settanta arrivano dal Sud; infaticabile, riusciva a trovare casa e lavoro a tantissima gente. «Con la sua 500 – ricorda padre Corti – caricava i mobili per quelle persone e glieli portava a casa. Se fosse stato in salute, in questi anni sarebbe stato su una nave ad aiutare i migranti che attraversano il Mediterraneo».

In Bangladesh, invece, aveva accompagnato soprattutto i tribali che migravano nella città di Rajshahi ed erano malvisti e disprezzati. «Finita la preghiera, partiva con la sua moto verso i villaggi, dove comprava la terra per accogliere queste persone, costruiva scuole e curava le persone ammalate. Negli anni successivi poi aveva cominciato a costruire case in mattoni più salubri, per evitare che si contagiassero di febbre nera. Il problema di una persona bisognosa diventava il suo problema e faceva di tutto per risolverlo. Quanta gente ha aiutato, quanta gente ha salvato, quanta gente ha ricevuto il suo stesso sangue che donava come fosse acqua, quanti bambini e bambine hanno potuto studiare e trovare un lavoro per merito suo».

Sono stati anni di gioie e dolori, rammenta oggi padre Pierfrancesco. Perché non tutto è stato facile, anzi: «Otto anni a vedere le sue gioie, ma anche otto anni a vedere le sue lacrime. E sì, quanto ha sofferto quest’uomo. Ma ho visto anche cosa può fare una persona che crede in Gesù Cristo».

«Padre Paolo – conclude Corti – ora che sei in Paradiso, convinci il Signore a farmi guarire e a farmi tornare in Bangladesh. C’è tanta gente che continua ad avere bisogno di te; intercedi per loro presso Dio come hai sempre fatto qui. E sempre grazie, padre Paolo, per avermi fatto vedere la gioia di essere prete e missionario!».

 

Padre Paolo Ciceri e padre Pierfrancesco Corti, in Bangladesh, consegnano le lamiere per riparare il tetto delle case distrutte dal tifone del 2015