“Più attenzione ai missionari nella Cooperazione”

“Più attenzione ai missionari nella Cooperazione”

L’intervento di padre Livio Maggi, missionario del Pime e responsabile di New Humanity a Yangon, alla Conferenza dei missionari italiani nel mondo promossa nei giorni scorsi dal ministero degli Esteri. “I missionari entrano in contesti dove spesso le ong non riescono, non possono o non ce la fanno ad entrare. Una maggiore attenzione al mondo della faith based organizations farebbe bene a tutti”.

 

Il 28 ottobre a Roma su iniziativa del ministero degli Esteri italiano si è tenuta la Prima Conferenza dei missionari italiani nel mondo. Un momento di confronto e di ascolto tra il mondo della diplomazia e quello dei missionari italiani che svolgono il proprio ministero ai quattro angoli del mondo. All’incontro ha portato il suo contributo da Yangon anche padre Livio Maggi, missionario del Pime da quasi trent’anni ormai in Asia. Pubblichiamo qui sotto il testo del suo intervento, nel quale ha sollecitato il mondo della Cooperazione italiana a comprendere e valorizzare meglio il contributo specifico che anche i missionari portano allo sviluppo e alla cooperazione tra i popoli.  

 

Ringrazio gli organizzatori per questa occasione, in cui si vuol dare voce ai missionari italiani nel mondo. Ringrazio l’Ambasciata per la collaborazione e il supporto offertomi anche in questa occasione.

Sento la responsabilità di dire parole che non riguardino solo me, ma un mondo più ampio (per quanto ne sono capace); un mondo che riguarda la presenza dei missionari italiani in Asia (missionari: laici, laiche, religiosi e religiose). Un mondo vastissimo, difficile e culturalmente ampio, una presenza davvero ardua da riassumere. Vorrei includere in questo mondo più ampio le popolazioni con cui lavoriamo e i loro diritti ad una vita adeguata, ad un’educazione e impiego.

Mi presento brevemente: ho 63 anni, originario della provincia di Udine; appartengo al Pime, Pontificio Istituto Missioni Estere; ho vissuto quasi 17 anni in Thailandia, al nord, fra le popolazioni etniche minoritarie (un tempo si parlava di tribù dei monti); dopo un periodo in Direzione Generale, da sette anni mi trovo in Myanmar, come responsabile di New Humanity International, una Ong nata proprio dal Pime, per intervenire in contesti dove la cooperazione allo sviluppo rende la nostra presenza più adeguata.

New Humanity è entrata in questo modo in Cambogia nel 1990, quando Pol Pot era ancora presente e faceva sentire la sua voce… ed i suoi cannoni … In Cambogia abbiamo lavorato nell’ambito della disabilità e dello sviluppo agricolo. Con una presenza costante di laici italiani dedicati: un esempio è Cristina, a tutt’oggi presente in Cambogia dove ha speso oltre 20 anni della sua vita, impegnata nei progetti per i bambini con disabilità …

Questo per dire cosa? Che la missione non è opera sociale solamente, ma non è nemmeno “predicazione” solamente… Ma da ché missione è missione, l’impegno a guardare l’uomo nella sua realtà, nei suoi bisogni… è sempre stato presente. E forse parlandone apertamente aiuterà a guardare ai missionari cattolici con meno retorica e sospetto.

Quello che abbiamo fatto e facciamo: interessarsi degli altri, delle loro sofferenze, del loro desiderio di crescere, di integrarsi, di entrare in contatto con gli altri, uscendo dalle morse della povertà e della mancanza di educazione … Questo è quello che si fa prima di tutto.

Penso alla nostra presenza qui in Myanmar, una presenza che dura da 153 anni: sosteniamo attualmente centinaia di studenti; di ogni età. L’educazione è uno dei primi interventi della missione: si aiuta a crescere, ad uscire dalla povertà offrendo strumenti, conoscenza, educazione… che è la chiave per costruire il futuro. Un maestro mi diceva tempo fa: non possiamo non essere riconoscenti; ci avete dato la cultura (che vuol dire: dignità di sentirsi un popolo, che vuol dire coscienza sociale, che vuol dire identità …). Questo solo perché i nostri missionari del passato avevano messo per iscritto la lingua di queste popolazioni che fino al secolo scorso era solo parlata. Perché avevano una tipografia dove stampavano libri in tre/quattro lingue locali …

C’è stato un momento (1970-80), per continuare in questo aspetto della educazione, in cui un nostro padre (p. Armando Rizza) era addetto culturale preso l’ambasciata italiana a Yangon, ed ha aiutato a far partire la facoltà di lingua italiana presso l’Università di lingue estere di Yangon (YUFL);

Fra parentesi, per dire come le relazioni con l’Ambasciata sono sempre state vive: mi ricordo a proposito alla fine degli anni ’90, l’Ambasciatore appena giunto a Bangkok in uno dei suoi primi gesti, aveva invitato ad una cena tutti i missionari in Thailandia … Sicuro che avrebbe potuto sapere una parola più certa circa la situazione da chi viveva lì per 5, 10, 20, 30 anni …

Non solo l’educazione; c’è anche l’attenzione al corpo, alle malattie …
Tornando a noi qui in Myanmar, p. Colombo, di Lecco, dottore, ha avviato negli anni ’50-’60 un lebbrosario che era diventato un vero esempio a Kyaing Tong (in un angolo di mondo ai confini fra Thailandia e Cina), così pure p. Perego, a Loilem, dove si offriva cura ed anche l’opportunità di essere autonomi coltivando un pezzo di terreno;

Ma non solo educazione e sanità: oso dire che oggi seguiamo lo stesso pattern, forse con una professionalità maggiore. Identifichiamo i bisogni, prepariamo programmi: abbiamo programmi dedicati per giovani con passati difficili, legati magari alla delinquenza o alla droga; programmi che ci permettono di entrare in ambiti anche molto delicati. Abbiamo impegni per le fasce più deboli; l’attenzione ai bambini con disabilità; l’offerta di un avviamento al lavoro in contesti dove nessuno scommetterebbe nulla …

Come vedete è la stessa missione che si ripete da 2000 anni. Ripeto: da sempre la missione/i missionari hanno visto che non si può annunciare Cristo se non ci si interessa alla vita delle persone. Una attenzione senza altri fini. Una “carità” come la chiama la Chiesa, che non ha secondi scopi. “Chi esercita la carità in nome della Chiesa non cercherà mai di imporre agli altri la fede della Chiesa. Egli sa che l’amore nella sua purezza e nella sua gratuità è la miglior testimonianza del Dio nel quale crediamo e dal quale siamo spinti ad amare. Il cristiano sa quando è tempo di parlare di Dio e quando è giusto tacere di Lui e lasciar parlare solamente l’amore” (Benedetto XVI, Deus Caritas est).

Non solo educazione: ma una vita vissuta fianco a fianco. C’è un lavoro che ai più sfugge: la presenza costante e fedele in ambiti che precedono tutti i proclami di dialogo e di fraternità: a Dinajpur in Bangladesh, al St. Vincent Hospital, della Diocesi, guidato dai nostri missionari, opera un p. saveriano, chirurgo, un friulano DOC, in un ospedale per lo più frequentato da donne … musulmane… Tale è ormai la fiducia.
Penso a p. Piero e p. Francesco, loro dottori, ma anche a p. Gianbattista, missionario semplice … che per anni, decenni, hanno accompagnato il loro lavoro pastorale con una attenzione tutta particolare per la prevenzione e la cura della tubercolosi. Sempre in Bangladesh…
Penso a p. Giulio che ha lavorato per decenni facendo nascere e accompagnando le Credit Union nelle comunità indigene del Bangladesh, insegnando (questo sì lo possiamo dire) un modo nuovo di sostenibilità, di solidarietà, di indipendenza, di integrazione, di sviluppo …
Penso alle scuole che, sempre in Bangladesh, fr. Massimo ha avviato per introdurre molti giovani nel mondo del lavoro: scuole professionali, oggi portate avanti dal laico Alberto Malinverno.

Voglio aggiungere, forse con una piccola provocazione: come tutto questo è fatto senza praticamente alcuna attenzione della Cooperazione … naturalmente parlo in generale. Voglio dire: la Cooperazione Italiana guadagnerebbe in immagine, offendo una maggiore attenzione a questo mondo che ormai poco si conosce … se non all’interno di canali cattolici e sostenuti da questi stessi.

Grazie dunque per questa iniziativa di oggi. Questo mondo delle “faith based organizations” (come si dice in “gergo da ong”), merita forse più attenzione; da parte di tutti. Certo, l’impressione a volte è che ci si interessi a questo mondo più per gli scandali, o raramente per qualche missionario rapito: gli scandali fanno vendere più giornali e fa più colpo sulla opinione pubblica uno scandalo di qualche prete o monsignore. Poca voce (pochissima) hanno i laici, religiose, missionari che lavorano nel mondo in ambienti a volte davvero duri.

Certo, sono convinto che abbiamo bisogno ancora di essere aiutati “a fare bene il bene”: il controllo, la giustificazione dei dati, la pianificazione, la rendicontazione… sono tutte cose su cui certamente dobbiamo lavorare per evitare scandali, per renderci più credibili, per evitare ambiguità … affinché il bene sia fatto bene.

Mi permetto anche aggiungere che i missionari/e … entrano in contesti/ambienti che spesso le ong o il mondo della cooperazione non riesce, non può, non ce la fa ad entrare … per tante ragioni, non per cattiva volontà.
Oso dire che fra le ong italiane quasi tutte hanno radici che escono dal mondo cattolico/missionario; questo non per dare etichette, o dare immagini che possono esse rifiutate, quanto piuttosto per dire che c’è un terreno comune, una radice comune che potrebbe aiutare una maggior apertura all’interno della Cooperazione, che farebbe bene a tutti: ai missionari, ed alla Cooperazione stessa.

Concludendo vorrei insistere su due punti rompendo un po’ lo stile di presenza silenzioso dei missionari:
– La nostra esperienza di missionari ci porta ad evidenziare una reale ingiustizia che continua a protrarsi del mondo. Le promesse dei vari Paesi nel raggiungere gli obbiettivi dello sviluppo sostenibile sappiamo che fanno parte della retorica. A me pare che in questo contesto di pandemia forse abbiamo perso una grande occasione: che è quello di spingere per l’abolizione temporanea dei brevetti sui vaccini per renderli maggiormente disponibili alle popolazioni povere. Questo avrebbe certamente dato a tutti noi maggiore credibilità.
– Come sopra menzionato proporrei un coinvolgimento più diretto dei missionari nelle iniziative di cooperazione, soprattutto per quelle “faith based”. Qualche linea di budget dei programmi “faith based” potrebbe essere dedicata specificamente a questo ed i missionari potrebbero farsi carico di stabilire della priorità e valutare proposte.