Algeria e Marocco: col Covid stretta alla libertà d’espressione

Algeria e Marocco: col Covid stretta alla libertà d’espressione

La denuncia: «Dalla diffusione del Coronavirus in Algeria, oltre 60 attivisti sono finiti in carcere». E anche in Marocco una legge sull’emergenza sanitaria prevede il carcere per chi viola le disposizioni delle autorità con «testi, pubblicazioni o fotografie»

 

Si chiama Khaled Drareni. È un noto giornalista algerino: corrispondente da Algeri dell’Ong Reporters sans frontières, impegnata nella difesa della libertà di stampa nel mondo, lavora anche per l’emittente TV5 Monde e dirige il sito Casbah Tribune, dove campeggia in apertura il messaggio: “Vergogna – Un giornalista in prigione”. Drareni è stato fermato dalla polizia il 7 marzo scorso, mentre stava filmando una manifestazione, è stato rilasciato, ma è stato nuovamente arrestato il 27 marzo. Le accuse sono di “incitamento a manifestazione non armata” e “danno all’integrità territoriale della nazione”, per le quali rischia una condanna fino a 10 anni di carcere. La sua colpa, probabilmente, è quella di essere vicino al movimento Hirak, che ha seguito fin dalla sua nascita nel febbraio 2019. La libertà di fare informazione non gode, di questi tempi, di buona salute in Algeria. Secondo Amnesty International, altri due portali web indipendenti e un sito d’informazione sono stati bloccati nell’aprile scorso per “diffamazione” e “offesa” al presidente Abdelmadjid Tebboune.

Il nuovo capo di stato algerino è al potere dal 12 dicembre 2019. La sua nomina doveva rappresentare un tentativo di voltare pagina, dopo 20 anni e quattro mandati presidenziali di Abdelaziz Bouteflika. È stata la candidatura di quest’ultimo a un quinto mandato, malgrado l’età e le gravi condizioni di salute, a far scendere pacificamente i giovani per strada per la prima volta nel febbraio 2019. Non si sentivano più rappresentati da un’élite politica che da anni pensava a perpetuare se stessa, e non affrontava i problemi reali del Paese e la crisi economica. A marcare una netta differenza con il passato – contrassegnato negli anni Novanta da una sanguinosa guerra civile fra autorità e islamisti, che ha provocato 150 mila vittime – il movimento Hirak ha scelto la via della protesta pacifica. In piazza, senza mai fare uso della violenza.

Tebboune, 74 anni, ha cercato di strizzare un occhio ai manifestanti nominando Yacine Walid, 27 anni, ministro per le start-up, un segnale interessante in un Paese dove la disoccupazione giovanile è alta. Ma resta il fatto che un terzo dei politici inclusi nel nuovo governo, annunciato nel gennaio scorso, avevano già ricoperto incarichi sotto Bouteflika, come lo stesso Tebboune.

A metà marzo, le autorità algerine hanno imposto misure restrittive per impedire la diffusione del Coronavirus. Non ci sono più state manifestazioni di piazza: gli stessi manifestanti hanno volontariamente interrotto il consueto appuntamento del venerdì. Eppure non sono mancati casi di arresto. Come riporta Middle East Monitor, il Comitato Nazionale per la Liberazione dei Detenuti (CNLD) ha dichiarato che “a partire dalla diffusione del Coronavirus in Algeria, oltre 60 attivisti sono finiti in carcere. La maggior parte di essi è stata arrestata per le opinioni che hanno postato su Facebook”. Nel frattempo il Parlamento nello scorso aprile ha adottato degli emendamenti al codice penale aggiungendo un articolo che punisce chi diffonde “bugie” che danneggiano “l’ordine pubblico e la sicurezza nazionale” con il carcere fino a tre anni e multe salate.

Qualcosa di simile sta accadendo anche in Marocco. La legge n. 2.220.292 ha sancito l’emergenza sanitaria, stabilendo condanne a tre mesi di carcere e sanzioni pecuniarie per chi violi “ordini e decisioni presi dalle autorità pubbliche “ o le ostacoli attraverso “testi, pubblicazioni o fotografie”. Secondo Amnesty International, in due mesi dall’entrata in vigore di questa legge sono state perseguite oltre 91 mila persone. Tra di essi ci sono anche giornalisti e attivisti per i diritti umani. Come Mohamed Bouzrou e Lahssen Lemrabti, amministratori della pagina Facebook Fazaz24. La loro colpa? Aver pubblicato, per esempio, un post con un video in cui un tassista di Khenifra cercava disperatamente aiuto dalle autorità locali, perché il lockdown gli aveva impedito di lavorare e guadagnare. Omar Naji, esponente dell’Associazione Marocchina per i Diritti Umani (AMDH), è stato invece fermato per aver preso le difese su Facebook di alcuni venditori ambulanti nella sua città, la cui merce era stata confiscata dalla polizia durante le restrizioni per il Covid-19.

«Amnesty International chiede alle autorità marocchine di rilasciare immediatamente le persone detenute esclusivamente per aver espresso il proprio punto di vista», ha dichiarato Amna Guellali, vice direttrice di Amnesty International per il Medio Oriente e l’Africa del Nord. Aggiunge Yasmine Kacha, ricercatrice per la stessa organizzazione: «In questo momento, in cui la salute e la vita delle persone sono a rischio, gli Stati non dovrebbero usare la diffusione di “fake news” e la crisi provocata dal Covid-19 come una scusa per reprimere le critiche espresse online», ha dichiarato.

Nel frattempo, in Marocco è in corso di approvazione una nuova legge, la 22-20, che allineerà il Paese nordafricano agli standard internazionali contro il cybercrimine, le estorsioni e i reati commessi ai danni di minori attraverso il web. Fin qui, un ottimo provvedimento. Ma il rischio, secondo Amnesty International, è che la norma contenga “una criminalizzazione della nozione poco chiara di notizie false”, impedendo ulteriormente la libera espressione sui social-

 

Foto: il mercato di Constantine durante l’emergenza Covid (Flickr / International Labour Organization)