Costa d’Avorio: dopo le elezioni serve riconciliazione

Costa d’Avorio: dopo le elezioni serve riconciliazione

Unire il paese è la sfida per il presidente Ouattara, riconfermato con percentuali altissime (83%) da elettori mossi dal desiderio di pace. Un compito al quale anche la Chiesa, col Giubileo della Misericordia alle porte, può contribuire.

«A vincere davvero le elezioni è stata la voglia di pace, il desiderio di andare avanti». Padre Dario Dozio, sacerdote della Società delle Missioni Africane, è sollevato mentre risponde alle domande di Mondo e Missione da Abidjan, principale città della Costa d’Avorio. Il 25 ottobre, giorno della chiamata ai seggi per l’elezione del presidente della repubblica, è passato senza portare con sé scontri o tensioni: timori, questi, ancora presenti nella popolazione dopo che al voto del 2010 erano seguiti violenti scontri armati, con oltre 3.000 morti.

«Della Costa d’Avorio di cinque anni fa è rimasta la paura nella pancia della gente», riconosce senza mezzi termini anche il religioso italiano. Ma è rimasto anche il capo dello stato, Alassane Ouattara, che anche dalle precedenti consultazioni era uscito vincitore, salvo dover affrontare la resistenza del leader uscente, Laurent Gbagbo, e dei suoi miliziani. Pur tra polemiche sull’affluenza (il 60% ufficialmente dichiarato dalle autorità è stato considerato dagli osservatori indipendenti una cifra esagerata) le proporzioni della vittoria del presidente uscente sono state inequivocabili: ha ottenuto oltre l’83% dei voti, contro poco più del 9% per l’avversario più vicino, Pascal Affi N’guessan, seguace dissidente di Gbagbo, e il 4% scarso del terzo arrivato, l’indipendente Kouadio Konan Bertin.

Il risultato, però, non è dovuto interamente al consenso per le politiche che pure il capo dello stato ha cercato di portare avanti, spiega padre Dozio. «C’era troppo timore che si ripetesse quello che è successo cinque anni fa, si è preferito continuare con chi governava già: ma questo non vuol dire che il paese sia unito», chiarisce il sacerdote. Proprio questa è la sfida che il presidente riconfermato dovrà affrontare ora, una volta messo da parte lo spettro di un ritorno della guerra. Per farlo, ha già elaborato una sua personale strategia: no a un governo di unità nazionale, sì a nuovi progetti di sviluppo. Necessari, questi ultimi, ma non sufficienti: «Le opere pubbliche, i nuovi investimenti, in questi anni si sono visti; ma anche la povertà rimane evidente, al punto che ‘i ponti non si mangiano’ era uno slogan ripetuto dai politici di opposizione», testimonia il missionario.

Per lui, il vero cambiamento da ottenere è quello dei cuori, la riconciliazione che finora non c’è stata. Le due fazioni protagoniste degli scontri del 2010, infatti, restano divise. Sono al potere – e sostanzialmente non toccati dalle accuse di crimini di guerra – gli uomini di Ouattara, spesso invece sotto processo quelli di Gbagbo, a cominciare dall’ex presidente, che dovrà comparire davanti al tribunale dell’Aia, e da sua moglie Simone, condannata in patria a 20 anni di carcere. «Bisogna puntare sul perdono, da una parte come dall’altra – argomenta a questo proposito padre Dozio – e la Chiesa deve dare esempi di fraternità: ha lavorato molto in questi anni, soprattutto in alcune aree. L’Anno santo della Misericordia che sta per cominciare può essere un’altra occasione», conclude.