Etiopia, la diga della discordia

Etiopia, la diga della discordia

Si sono conclusi i lavori della Grand Ethiopian Renaissance Dam (Gerd), l’enorme diga sul Nilo Azzurro. Ed entro luglio dovrebbe riempirsi completamente il gigantesco bacino idrico. Un progetto controverso che allarma Egitto e Sudan. E potrebbe avere gravi ripercussioni su clima e ambiente

L’Egitto teme di perdere non solo acqua, ma anche influenza sulla regione. Il Sudan ha più da guadagnare, ma non senza rischi. Resta teso il conflitto attorno alla Gerd, che per l’Etiopia rappresenta anche un grande simbolo di indipendenza. Intervista a Emanuele Fantini del Delft Institute for Water Education (IHE ), dei Paesi Bassi.

Che cosa si intende per Gerd?

Si tratta di un progetto grandioso sin dal nome: Grand Ethiopian Renaissance Dam, da cui l’acronimo Gerd. Si tratta della più grande diga di tutta l’Africa, costruita principalmente dall’italiana Salini Impregilo, braccio destro del governo etiope anche nella costruzione di altre dighe a scopo idroelettrico. Questa è la prima che l’Etiopia realizza lungo il corso del Nilo Azzurro. Un “sogno” che risale a molto tempo fa. Già Hailé Selassié aveva promosso l’idea, ma a quel tempo alcuni studi americani propendevano per la costruzione di dighe più piccole. Poi, una decina di anni fa, con Meles Zenawi, è stato scelto questo progetto. I lavori sono stati più lunghi del previsto, anche per i ritardi derivanti dallo scandalo che ha coinvolto la Metec, impresa vicina all’esercito. La scorsa estate è iniziato il riempimento del il bacino, che andrà a regime nell’arco di alcuni anni.

Perché è così decisiva per l’Etiopia?

Il governo di Addis Abeba vorrebbe proporsi come fornitore di energia “pulita” per la regione del Corno d’Africa, ma anche per Sudan ed Egitto. Inoltre, il progetto dovrebbe favorire la transizione da un’economia prevalentemente agricola a un’economia più diversificata, facendo dell’Etiopia un Paese a medio reddito. Il governo sta cercando di attrarre imprenditori,  ma ha bisogno di energia a buon mercato e con flussi regolari, oltre che di manodopera a basso costo. Da un punto di vista simbolico, rappresenta appunto l’idea della rinascita. Spesso è stata paragonata alla battaglia di Adua, con cui l’Etiopia ha affermato la sua indipendenza. Inoltre è stata completamente autofinanziata, in polemica con donatori internazionali come la Banca Mondiale che in passato si era rifiutata di finanziare opere sul Nilo per non creare tensioni con i Paesi limitrofi.

Perché la controversia aspra con l’Egitto?

Con questa diga Il Cairo perde il controllo quasi totale che aveva sul Nilo, sancito dai trattati del 1929 e del 1959, in base ai quali i volumi dell’acqua venivano spartiti tra Egitto e Sudan. I Paesi a monte neppure erano stati coinvolti. Il tema ora riguarda quanto tempo l’Etiopia ci metterà a riempire il bacino e quanta acqua lascerà defluire: questo determinerà il flusso del fiume nei prossimi anni. L’Egitto vorrebbe un meccanismo che permetta di gestire queste istanze facendo ricorso a un’entità sovranazionale. Il governo etiope, invece, propone negoziati a tre, con Egitto e Sudan. Un altro nodo riguarda la regolazione dei flussi a seconda dei periodi di siccità, una questione sia tecnica che politica. L’Egitto vorrebbe avere qualche forma di controllo. Ma per l’Etiopia è difficile da accettare una regia esterna su quello che considera un grande simbolo di indipendenza.

Quali prospettive per le trattative?

I rischi per l’Egitto potrebbero essere legati anche al fatto che il Sudan trarrà maggiori vantaggi da questa diga, in quanto potrà più facilmente irrigare le pianure dell’Ovest, sottraendo molta acqua. Il Sudan è il Paese che ha più da guadagnare, ma anche più da perdere. La diga, infatti, si trova a soli 18 chilometri dal suo confine. E in caso di qualche problema rischia di subirne le conseguenze. Ecco perché anche per il governo di transizione è diventata una priorità. Il Sudan ha già diverse dighe sul Nilo che subiranno inevitabilmente un impatto e dunque chiede un coordinamento. Ci sono potenzialità, ma anche preoccupazioni. Oltre al fatto che, come sempre, il Sudan è dilaniato tra le sue due identità: quella africana, più vicina all’Etiopia, e quella araba che da sempre aspira a fare del Paese un granaio per il mondo arabo.

Quali rischi ambientali e per le popolazioni?

Gli studi di impatto ambientale e sociale non sono ancora stati portati a termine e resi pubblici. Era stata incaricata una società francese, ma i tre governi non si sono ancora messi d’accordo su cosa misurare. A oggi non si sa bene quali potrebbero essere le conseguenze sull’ecosistema e proprio questo è uno degli aspetti più controversi, soprattutto se si inserisce nell’equazione anche la questione dei cambiamenti climatici. Resta una grande incognita ed è questo uno dei motivi per cui le istituzioni internazionali non hanno mai finanziato questa come altre dighe in Etiopia, come quelle lungo il corso dell’Omo. Inoltre, non va dimenticato che la costruzione della Gerd ha provocato l’evacuazione di circa 20 mila persone (secondo le stime ufficiali) reinsediate in 17 nuovi villaggi.