I ragazzi di strada, la mia famiglia

I ragazzi di strada, la mia famiglia

Fidei donum milanese, don Maurizio Canclini porta avanti con un gruppo di giovani congolesi iniziative di assistenza sanitaria e accoglienza di bambini abbandonati. Che a Kinshasa sono decine di migliaia e spesso fanno una brutta fine. Ascolta anche in PODCAST

«Léon aveva tre anni quando è stato abbandonato in strada. Adesso è responsabile di una delle nostre case!». È una delle tante storie che don Maurizio Canclini, fidei donum della diocesi di Milano, non smetterebbe mai di raccontare. Storie di bambini e di bambine di strada di Kinshasa, capitale della Repubblica Democratica del Congo, dove vive dal 2014. Dieci anni intensi, soprattutto di relazioni che oscillano dalle situazioni più tragiche alle rinascite più entusiasmanti. Un universo di storie talvolta così estreme che si fa quasi fatica a crederci. Persino quando le si vivono in prima persona.

Per don Maurizio, 64 anni, originario di Besozzo (provincia di Varese), presbitero dal 1985, sono diventate la quotidianità. Bambini accusati di stregoneria, abbandonati o dati alle fiamme; ragazze costrette a prostituirsi e a subire abusi e violenze; adolescenti spinti dalla miseria a trasformarsi in criminali… Poi, però, c’è anche l’altra faccia della medaglia: la capacità straordinaria di rialzarsi dall’abisso e di cambiare totalmente vita; la solidarietà tra gente che non ha nulla; l’arte dell’arrangiarsi che a Kinshasa raggiunge vette inarrivabili. Don Maurizio racconta di una ragazza di strada che ha partorito due gemelline bellissime. Ma anche di quindici ragazzi bruciati vivi durante uno scontro tra bande: «Abbiamo assistito alcuni di loro, ma uno purtroppo non ce l’ha fatta…». Non sempre le cose vanno a finire bene. Ma lui ci prova a fare la sua parte, affiancato da un gruppo di giovani con cui nel 2018 ha dato vita al Cénacle (Cenacolo), un’associazione impegnata nell’assistenza sanitaria e nell’accoglienza di bambini di strada e disabili.

«Dopo essere stato coadiutore a Monza e Garbagnate – racconta – ho chiesto di partire per la missione. Sono stato 14 anni in Zambia e, dopo altri 4 nel quartiere Barona a Milano, sono ripartito per l’Africa. Que sta volta, destinazione Repubblica Democratica del Congo».

Il suo primo impegno è stato al Foyer St. Paul, uno studentato universitario per giovani bisognosi provenienti da diverse regioni del Paese, promosso dal Centro orientamento educativo (Coe) di Barzio (LC). Poi l’arcidiocesi di Kinshasa gli ha chiesto di diventare cappellano dell’Università statale pedagogica. «È cominciato così un cammino di conoscenza con un gruppo di giovani con cui successivamente abbiamo dato vita all’esperienza del Cénacle, cercando innanzitutto di offrire assistenza sanitaria ai bambini e alle bambine che vivono in strada e provando a immaginare soluzioni e opportunità».

Grazie a un’ambulanza, donata da un gruppo di benefattori di Monza, don Maurizio e i suoi giovani hanno iniziato a girare tre sere a settimana nelle zone più abbandonate della capitale congolese, soprattutto nel quartiere di Mont Ngafula, uno dei più vasti di Kinshasa. Poi, nel 2021 ha avviato un’esperienza di accoglienza dei bambini più fragili, con disabilità o con particolari problemi di salute.

«Dell’associazione fanno parte una quarantina di giovani conosciuti principalmente in Università – spiega don Maurizio -. Tra di loro ci sono anche alcuni medici, che si sono proposti di fare un ser- vizio concreto ai bambini più poveri. Molti hanno beneficiato delle borse di studio del Foyer St. Paul con cui hanno potuto laurearsi. Alcuni hanno sentito il desiderio di “restituire” in qualche modo quello che avevano ricevuto, mettendosi al servizio dei più vulnerabili. Poi se ne sono aggiunti molti altri: giovani impegnati in prima persona, un bell’ esempio di generosità e altruismo».

A dare man forte a don Maurizio e ai suoi giovani, ci sono anche don Francesco Barbieri, altro fidei donum ambrosiano, arrivato lo scorso anno, e Daniela Borgonovo, una volontaria di Milano che trascorre lunghi periodi a Kinshasa. Don Francesco era stato nella parrocchia di Limbiate, di cui era originario l’ambasciatore Luca Attanasio, ucciso nel febbraio 2021 nei pressi di Goma. «Anche qui conoscevamo molto bene Attanasio – ricorda don Maurizio – e lo sentivamo come un amico: è uscito in ambulanza con noi ed è venuto a pranzo nelle nostre case, con sua moglie che ha preparato il cous cous per tutti. Aveva molto a cuore tutti i missionari. Se viene aperto il processo di beatificazione per noi è una grazia».

Attualmente il Cénacle gestisce tre casette: una per l’accoglienza dei ragazzi di strada; un’altra che funziona come una casa-famiglia soprattutto per i bambini con disabilità che non hanno altri riferimenti familiari; la terza per i giovani che si occupano dell’ambulanza. «In questo momento, abbiamo circa 35 bambini, alcuni molto piccoli e altri disabili, più un gruppetto di adolescenti e qualcuno più grande che ci aiuta con i piccoli. Quasi tutti vengono da situazioni di strada».

È un fenomeno ampio, complesso e stratificato quello degli enfant de la rue di Kinshasa, il cui numero è stimato – probabilmente in difetto – attorno ai 30 mila, in una metropoli che ormai ha superato i 17 milioni di abitanti. Li chiamano shégué e spesso li trattano da enfant-sorcier – piccoli stregoni – accusati di portare disgrazie e malocchio, cacciati dalle famiglie e talvolta picchiati o addirittura uccisi. I bambini con disabilità rischiano più degli altri. In una famiglia già povera, rappresentano un peso insopportabile, una disgrazia. Oltretutto la situazione si è ulteriormente aggravata a causa dell’aumento del costo della vita soprattutto in conseguenza del- la pandemia di Covid-19 e della guerra in Ucraina.

«Quando arrivano qui da noi – racconta don Maurizio – spesso vanno a frugare nell’immondizia o nascondono il cibo che gli diamo. Ci vuole tempo perché si abituino a pensare che avranno da mangiare anche il giorno dopo. Sono abituati a vivere alla giornata, anzi, nell’i- stante. A volte, quando stavano in famiglia, non avevano niente, assolutamente niente!».

Don Maurizio talvolta accoglie an- che ragazzi in convalescenza, dopo che lui stesso si è fatto carico di operazioni e cure. «Qui la gran par- te della gente è povera, ma la sanità è tutta a pagamento. Abbiamo fatto operare un giovane che era scappato dalla regione del Kasai durante il conflitto e che era rima- sto in strada per tre anni. Lo abbiamo seguito per un tumore al viso. È costato 6.000 dollari. Una cifra che nessuno qui potrebbe permettersi, salvo pochi ricchi che però vanno a farsi curare all’estero».

Per questo, bambini e ragazzi di strada accolgono volentieri l’arrivo dell’ambulanza. Conoscono posti e orari e hanno fiducia nelle persone. E non solo loro: anche molti senza fissa dimora fanno riferimento a quell’ambulanza che durante la pandemia di Covid-19 distribuiva anche un po’ di cibo, specialmente alle persone anziane particolarmente in difficoltà.

«Se non hanno nulla di grave, assistiamo i bambini sul posto, altrimenti ce ne facciamo carico», spiega don Maurizio, che continua a fare l’esperienza di una Provvidenza che non fai mai mancare il suo supporto. Come quando, grazie al matrimonio tra uno dei suoi giovani e una volontaria ita- liana, Elena Baglietto, si è creata una catena di solidarietà che unisce Kinshasa alla città di origine della ragazza, Varazze: qui è nata un’associazione che aiuta a tenere aperto un piccolo ambulatorio cinque giorni a settimana, dove i bambini di strada possono andare per essere curati gratuitamente.

«Purtroppo la situazione genera- le non migliora. C’è un’enorme miseria e non c’è lavoro o non è pagato. Kinshasa continua ad attrarre gente da altre regioni in cerca di una vita migliore, ma qui spesso trova solo situazioni di grave povertà, talvolta aggravate da eventi climatici estremi, come le inondazioni dello scorso anno che hanno provocato moltissimi morti. Per non par- lare dell’insicurezza dovuta alle bande criminali e talvolta alle stesse forze dell’ordine». «La visita di Papa Francesco lo scorso anno – ricorda – ci ha colpiti moltissimo e ci ha dato co- raggio. Ha pronunciato parole molto forti e vere. La speranza è che qualcuno ascolti… Ma la speranza sono innanzitutto questi giovani con cui condividiamo la nostra vita, giovani che si appassionano, che si mettono in gioco, che portano avanti le attività con fedeltà».

«Qui al Cénacle siamo tutti fratelli e amici – continua -: qualcuno ha deciso di fare un cammino di discerni- mento e formazione più approfondito, ma tutti si impegnano a condividere uno stile di lavoro e accoglienza, donando anche una piccola percentuale di quello che guadagnano per la vita della comunità. Noi li accompagniamo soprattutto da un punto di vista spirituale; non abbiamo nessuna carica perché pensiamo che sono loro che devono esse- re responsabili per se stessi e per gli altri. Solo così è possibile immaginare un futuro».