Mafie senza confini

Mafie senza confini

Albanesi, nigeriane, cinesi, russe… Sono alcune delle mafie straniere presenti in Italia, perfettamente integrate nel sistema della criminalità organizzata nostrana

La mafia è troppo spesso “straniera” nel dibattito italiano. “Straniera” non per l’origine dei suoi affiliati, ma nella riflessione sulle cause e sugli effetti che produce l’economia mafiosa quotidianamente. Una riflessione che se portata avanti con serietà metterebbe in discussione proprio gli stilemi su cui si basa la nostra stessa società, tutta imperniata sul denaro, non su altri valori. E le mafie fanno del denaro e del potere che ne consegue un assoluto. Ma la mafia è “straniera” anche perché si cerca sempre un colpevole “altro”, un altro da noi che porti su di sé la responsabilità di ciò che non funziona, una colpa “altra” necessaria.
Albanese, nigeriana, cinese, russa… sono solo alcune delle mafie “straniere” in Italia. Traffico di droga e armi, traffico di persone, sfruttamento lavorativo e sessuale, riciclaggio di denaro sporco… sono solo alcune delle loro principali attività illecite.

Un primo e fondamentale punto di comprensione di queste mafie è il fatto che la loro stessa presenza, esistenza e continuità di operazioni in Italia sono possibili solo ed esclusivamente grazie alle mafie italiane. Qualche volta è stata ventilata la possibilità che mafie straniere potessero prendere il posto di quelle autoctone, una narrativa utile solo a fini criminali ma mai veritiera. E in un Paese attraversato da tante e diverse venature razziste, la discussione sulle mafie straniere non ha mai per davvero legato la loro presenza al placet di mafia, camorra e ‘ndrangheta. Pronti sempre a colpevolizzare lo straniero, silenti nel parlare delle mafie, ancor più nell’addossare precise responsabilità.

Le mafie italiane non valutano il colore della pelle, la religione, la differenza linguistica o la provenienza, anche perché, se il credo è il denaro, tutto il resto è secondario: un’evoluzione del pensiero liberista che non dà spazio al razzismo almeno apparentemente. Finché il denaro gira, tutto è accettabile.
Altro punto fondamentale nella comprensione delle mafie straniere è il fatto che si cerchi sempre di produrre una scala di pericolosità. Ma questo è un esercizio sterile. Ogni mafia necessita di attenzione, studio e contrasto sempre. Ancora più importante, queste mafie sono “straniere” in Italia proprio e solo perché sono in Italia. Sembra un gioco di parole ma non lo è. L’Italia, infatti, è l’unico Paese che ha una legislazione che usa la parola “mafia”; altrove si parla di gruppi di criminalità organizzata, trascurando i tratti più pericolosi di cosa sia una mafia radicata nel cuore di una società.

La mappatura di queste mafie ci dovrebbe portare a comprendere meglio anche le comunità straniere presenti nel nostro Paese e a interagire con loro. Da una parte, però, c’è una società ancora sostanzialmente chiusa che non si mette in dialogo con le diverse nazionalità; dall’altra, ci sono le mafie che fanno del dialogo un loro pilastro. La comprensione evita i morti ammazzati e i fraintendimenti. È così che funzionano il riciclaggio di denaro dei gruppi cinesi per la ‘ndrangheta calabrese o i broker della droga nigeriani per i clan napoletani.

Le mafie hanno anche un’altra caratteristica: la negazione delle frontiere. Certo, sono ancora importanti la territorialità e il controllo del proprio feudo, ma c’è anche una spiccata volontà di cancellare ogni tipo di confine per essere in ogni dove. Due estremi non assurdi per coesistere. In fondo, è lo stesso atteggiamento dell’Europa che non vuole avere confini nella sua azione di conquista dei mercati economici, ma chiude ermeticamente le frontiere dei propri territori alle persone. La differenza sostanziale è che le mafie credono in un reciproco vantaggio nel lavorare insieme, mentre l’Europa non crede nella possibilità di aprire ai migranti i propri confini.

Le mafie straniere dovrebbero essere un oggetto di studio costante: questo aiuterebbe a capire anche i flussi migratori ed economici. Gli stessi albanesi, per fare un esempio, da manodopera criminale sono diventati attori principali della logistica del narcotraffico in Europa. Si potrebbero, inoltre, comprendere le evoluzioni del Mediterraneo e dei suoi traffici. La presenza delle mafie straniere dovrebbe dare un forte impulso anche alla collaborazione e alla cooperazione tra sistemi giudiziari di Paesi vicini e lontani. Ma si sa bene che una rogatoria internazionale o un’estradizione non corrono veloci come i pacchetti di un grande distributore. Questo interroga sulla reale volontà di contrasto della criminalità organizzata a livello globale e ci fa riflettere su quali percorsi compia il denaro e in quali paradisi fiscali si nasconda. “Paradisi” che spesso sono meno “stranieri” di quanto si creda.

La storia mafiosa dell’Italia ci rende punto di arrivo e di incontro, laboratorio di alleanze e crocevia di nuovi traffici. Storia mafiosa intesa proprio come evoluzione storica di un Paese che ha un problema grave come le mafie, da sempre ignorate nei libri di studio delle scuole superiori. Ce ne ricordiamo di tanto in tanto, per un’iniziativa o una commemorazione. Lo stesso vale per le mafie straniere che diventano “attenzionate” solo quando possono essere usate, soprattutto quella nigeriana, per fomentare il razzismo, ma lo stesso accade con la comunità cinese, un mondo che si fatica a capire e che si associa spesso a una potente mafia. Una migliore conoscenza delle mafie straniere ci darebbe maggiore contezza anche del nostro territorio.

La comprensione di una mafia, infine, deve avere come punto di partenza le vittime: chi sono? Da dove vengono? Sono italiani e italiane o le stesse persone delle comunità migranti? E che cosa facciamo per proteggerle e non farle cadere nel pieno isolamento? Ignorate dagli italiani e isolate dalle loro comunità, le vittime straniere diventano fantasmi di cui non si conosceranno mai la storia e la volontà di ribellione e di affrancamento dai soprusi. Non è per questo che celebriamo tanti eroi dell’antimafia.

Leggi qui anche l’intervista a don Luigi Ciotti e ascolta il podcast