Haiti, la guerra che nessuno vede

Haiti, la guerra che nessuno vede

Dall’inizio del 2022 ad Haiti a causa delle violenze delle gang sono 1.448 i morti, 1.145 i feriti e 1.005 i rapiti. Numeri paragonabili a quelli di un conflitto su larga scala. Le bande armate – 200 in tutto il Paese – continuano a guadagnare potere di fronte ad uno Stato inesistente. I vescovi per Natale: «Chiediamo ai gruppi armati illegali e a coloro che li finanziano di fermare la follia omicida dell’odio e del disprezzo per la vita»

 

Non cessano le violenze ad Haiti per mano delle gang e i numeri del 2022 lo dimostrano. Dall’inizio dell’anno ai primi giorni di dicembre il bilancio è di 1.448 morti, 1.145 feriti e 1.005 rapiti secondo quanto riportato dall’Alto Commissario delle Nazioni Unite per i diritti umani, Volker Türk, durante un intervento in occasione della Giornata internazionale dei diritti umani, lo scorso 10 dicembre.

Le bande armate – che controllano più del 60% di Port-au-Prince – sarebbero cresciute di numero negli ultimi 5 anni fino ad arrivare oggi a diventare 200 in tutta Haiti, 95 solo nella capitale. Le vittime sono sia civili innocenti sia persone deliberatamente prese di mira e le famiglie temono che i propri figli possano essere rapiti e reclutati dalle gang che sempre più addestrano minori con armi militari.

Anche la violenza sessuale è stata rilevata come arma utilizzata per seminare paura ed esercitare il controllo sulla popolazione. All’inizio di dicembre in sole due settimane, più di 200 donne e ragazze sono state aggredite e stuprate a Cité Soleil, a Canaan e a Source Matelas.

Un rapporto dell’Ufficio Integrato delle Nazioni Unite ad Haiti (BINUH) e dell’OHCHR, datato ottobre 2022, riporta di come donne, ragazze e ragazzi di tutte le età, e in misura minore anche uomini, sono stati vittime di spietati crimini sessuali e altri abusi che continuano a rimanere impuniti. Gli stessi due due principali palazzi di giustizia di Port-au-Prince e del comune di Croix-des-Bouquets, sono stati attaccati, razziati e saccheggiati dalle bande armate la scorsa estate.

Un’altra forma utilizzata per sottomettere la popolazione locale è il sequestro di acqua e cibo che genera insicurezza alimentare e che – aggiungendosi alla diffusione del colera e ai disastri naturali – aggrava la crisi umanitaria del Paese.

Le gang – espandendosi territorialmente – hanno nel tempo rafforzato il proprio potere riuscendo ad avere il controllo del tessuto politico, economico e sociale dello stato haitiano. «Si sono affermate come partner mercenari di politici e amministratori statali, come gruppi armati di stampo mafioso che traggono profitto dal settore privato e come coordinatori locali di gruppi criminali internazionali», dichiara il report di ricercatori haitiani “Gangs of Haiti” della Global Initiative Against Transnational Organized Crime pubblicato lo scorso ottobre.

I gruppi paramilitari sono sorti quando l’esercito di Haiti si è sciolto nel 1995 e sono cresciuti di potere quando i governi hanno perso il controllo politico del Paese. Bisogna ricordare che Haiti non tiene elezioni presidenziali dal novembre 2016 e non ha un capo di stato dall’assassinio del presidente Jovenel Moïse nel luglio 2021 che ha aggravato le difficoltà, causando un’ondata di violenza.

Con l’indebolimento del governo – e con l’attuale primo ministro ad interim Ariel Henry altamente impopolare – è aumentata la dipendenza dalle bande per mantenere l’ordine e quella che sembra una resistenza dello Stato verso la violenza è spesso una messinscena volta a mascherare la collaborazione del governo stesso con le bande criminali. A costituire un paradosso è il fatto che – con le forze di polizia sottomesse al potere – se le proteste della popolazione civile in corso dovessero prendere slancio, il governo potrebbe rivolgersi proprio alle bande armate per sedare violentemente i disordini, essendo l’unica opzione rimasta.

Di fronte a questa situazione i vescovi di Haiti hanno lanciato un nuovo forte appello nel messaggio natalizio diffuso al termine dei lavori della loro Assemblea. «Chiediamo ai gruppi armati illegali e a coloro che li finanziano – scrivono – di fermare la follia omicida dell’odio e del disprezzo per la vita. Fate tacere le armi. Invece di guerre fratricide, dobbiamo investire nella pace e nell’amore, nella riorganizzazione delle nostre infrastrutture, dei sistemi sanitari ed educativi e nel cambiamento della nostra mentalità. È tempo di ricostruire le nostre istituzioni, in particolare il sistema giudiziario, per arginare la cultura dell’impunità che è la causa logica del perpetuarsi della corruzione e della violenza nel Paese, al fine di garantire, in uno spirito di appartenenza a questa terra di Haiti, un futuro migliore alle generazioni future».

I vescovi citano anche le condizioni disperate degli haitiani fuggiti nella vicina Repubblica dominicana: «Sono sottoposti a trattamenti indicibili – denunciano – che calpestano i principi e gli imperativi dei diritti umani, del diritto umanitario internazionale, del diritto dei rifugiati e, in particolare, del Protocollo d’accordo del 1999 sulle condizioni per il trattamento del rimpatrio dei migranti illegali di Haiti. Questo incide sui rapporti di amicizia e buon vicinato tra i cittadini delle due Repubbliche e crea attriti intergenerazionali». Di qui il lavoro che le due Conferenze episcopali – quella di Haiti e quella della Repubblica dominicana – stanno compiendo insieme per sollecitare misure adeguate per gli haitiani. « Incoraggiamo anche un gesto di pacificazione in grado di allentare le tensioni nelle relazioni migratorie tra i due Paesi, condannati a condividere indefinitamente confini comuni e a convivere».

 

Foto: Flickr/Photo RNW.org