Il Romero d’Argentina

Il Romero d’Argentina

Il 27 aprile a La Rioja sarà proclamato beato il vescovo Angelelli insieme a due sacerdoti e a un laico: tutti e quattro uccisi negli anni della dittatura per l’opzione preferenziale per i poveri

 

Il vescovo deve avere costantemente «un orecchio al Vangelo e l’altro al popolo». L’argentino Enrique Angelelli l’aveva imparato stando accanto ai lavoratori della Gioc, la Gioventù operaia cristiana. Ed era lo stile che aveva adottato anche tra i campesinos di La Rioja, la diocesi periferica ai piedi delle montagne dove nel 1968 l’allora vescovo ausiliare di Cordoba era stato inviato. Solo che tenere «un orecchio al popolo» era un’abitudine poco gradita nell’Argentina del 1976; fu così che finì nel mirino dei generali.

A più di quarant’anni di distanza dalla sua uccisione – a lungo derubricata al rango di incidente stradale – si appresta a diventare beato il “Romero d’Argentina”. Succederà sabato 27 aprile nel parco cittadino di La Rioja, la diocesi di cui per otto anni mons. Angelelli fu pastore coraggioso. E non salirà alla gloria degli altari da solo: con lui infatti, nel rito presieduto dal cardinale Angelo Becciu, prefetto della Congregazione per le Cause dei santi, diventeranno beati anche tre altri martiri di questa Chiesa locale, il frate francescano Carlos Murias, il sacerdote fidei donum francese Gabriel Longueville e il laico e padre di famiglia Wenceslao Pedernera. Tutti e quattro uccisi in una manciata di giorni in quell’estate 1976 mentre esercito e paramilitari argentini – a poche settimane dal colpo di Stato che aveva portato alla guida del Paese la giunta militare del generale Jorge Rafael Videla – regolavano i conti con «i marxisti», come si diceva allora senza fare troppe distinzioni.

Le radici dell’impegno a fianco dei poveri di mons. Angelelli erano invece ben altre: nato a Cordoba nel 1923, entrato adolescente in seminario aveva completato la sua formazione a Roma, dove aveva avuto modo di incontrare padre Josef Cardijn, il sacerdote belga fondatore della Gioventù operaia cristiana. Fu quella radice che il giovane padre Angelelli trapiantò nella sua diocesi di Cordoba, educando i giovani al Vangelo a partire dalla difesa della dignità del loro lavoro. Alla fine del 1960 Giovanni XXIII scelse proprio lui come vescovo ausiliare e due anni dopo – non ancora quarantenne – sarebbe stato uno dei più giovani partecipanti al Concilio Vaticano II. In quella grande esperienza di Chiesa – insieme al citato Cardijn, ma anche a figure come dom Helder Camara – respirò quel clima che avrebbe portato la Chiesa dell’America Latina nel 1968 a teorizzare alla Conferenza di Medellin l’«opzione preferenziale per i poveri». Cammino non indolore, però: Angelelli conobbe forti opposizioni per le sue battaglie sociali, contrasti frutto di quella polarizzazione ideologica che stava minando il Paese.

In questo clima nel 1968 arrivò la nomina a vescovo di La Rioja, ministero pastorale in cui si gettò con lo spirito di sempre. «Non vengo per essere servito ma per servire – disse mons. Angelelli nell’omelia del suo ingresso in diocesi -. Per servire tutti, senza alcuna distinzione». Ma in un’area campesina porsi al servizio dei più poveri significava anche schierarsi per la riforma agraria, cosa che gli attirò molti nemici. Nel 1973 un gruppo di proprietari dei grandi vigneti della zona arrivò a contestarlo apertamente durante una Messa, apostrofandolo come un «comunista». Proprio in quei giorni l’allora giovane Jorge Mario Bergoglio si trovava a La Rioja per un incontro dei gesuiti: «Ci raccontò delle pietre che questo popolo e questo pastore ricevevano per la loro fedeltà al Vangelo», disse nel 2006 nell’omelia a quarant’anni dalla morte di Angelelli in cui per la prima volta – da arcivescovo di Buenos Aires e presidente della Conferenza episcopale argentina – ne parlò espressamente come un martire.

La situazione a La Rioja precipitò nelle settimane seguite al colpo di Stato dei generali nel 1976: il 18 luglio, nel giorno del compleanno del vescovo, nella cittadina di Characal padre Murias e padre Longueville vengono portati via da uomini che si qualificano come poliziotti; verranno ritrovati cadaveri. Una settimana dopo è la volta di Wenceslao Pedernera, laico impegnato nei progetti di cooperazione rurale avviati dalla diocesi nel distretto di Chilecito: viene trucidato sulla porta di casa, davanti alla moglie e ai figli. È in quei giorni che mons. Angelelli confida a più di una persona: «Il prossimo sono io». Il 4 agosto, di ritorno proprio da Characal, la sua Fiat 125 esce di strada e finisce in un burrone. Il vescovo viene ritrovato morto, mentre il prete che viaggiava con lui – sopravvissuto all’incidente – una volta ripresa conoscenza parlerà di uno speronamento dell’auto da parte di un altro veicolo. Le autorità però diffonderanno un’altra verità: attribuiranno l’uscita di strada a una gomma scoppiata a causa dell’alta velocità. Solo in anni recenti sono emersi la rete di depistaggi, le incongruenze nelle testimonianze, i documenti sulle minacce ricevute da mons. Angelelli. Così nel 2014 anche la giustizia argentina ha ribaltato il primo verdetto degli anni Ottanta, condannando due alti gradi militari dell’epoca. Tutto questo non è comunque bastato ad alcuni ambienti argentini che tuttora continuano ad additare il prelato come «un comunista morto in un incidente stradale». E per farlo agitano contro il futuro beato la stessa arma della menzogna ideologica con cui il vescovo dovette fare i conti in vita: per esempio sbandierano una fotografia del 1973 in cui si vede Angelelli mentre celebra Messa con sullo sfondo uno stendardo dei montoneros, un movimento popolare argentino di matrice cattolica che prese la deriva della lotta armata.

Le ricerche storiche su quell’immagine – scattata durante una liturgia celebrata all’aperto in un quartiere popolare – hanno ricostruito che il vescovo stesso alla fine del rito si era lamentato per quella bandiera. Ma, più in generale, vale la posizione sempre tenuta da Angelelli contro l’uso della violenza: «Se qualcuno vuole ricorrere a metodi violenti – disse per esempio in un’occasione – per favore se ne vada dalla diocesi. Non resti qui. Noi abbiamo scelto l’opzione della pace, certamente una pace nella giustizia ma mai con l’uso delle armi. Vogliamo andare avanti a camminare sulla strada del Vangelo, la strada del Concilio Vaticano II». Si capisce, allora, perché la Conferenza episcopale dell’Argentina si sia espressa oggi in maniera netta sulla memoria del vescovo di La Rioja: «Era innamorato della fede dei poveri e della testimonianza dei più semplici – si legge in una lettera pubblicata in occasione delle beatificazioni -. Era un pastore che si prese cura degli ultimi e portò loro la consolazione di Dio. La morte di Angelelli e il modo in cui morì sono il chiaro coronamento di una vita coerente con le sue convinzioni e con la missione del pastore, che è quella di dare la vita per il suo gregge ».