Covid in Perù, la tragedia che non finisce

Covid in Perù, la tragedia che non finisce

Tra i Paesi dove la pandemia da Coronavirus sta facendo più vittime in rapporto alla popolazione c’è il Perù. Una testimonianza da Lima: “I quartieri più poveri della città hanno tante morti quanto interi Paesi cento volte più grandi. Cinque mesi di una quarantena inattuabile qui non hanno risolto nulla”

 

Sulla pandemia da Coronavirus si continua a parlare tanto di Europa chiudendo gli occhi sul dramma che si sta consumando in altri continenti. Uno dei luoghi del mondo dove si contano più morti in rapporto alla popolazione oggi è il Perù, Paese di cui purtroppo si parla pochissimo. Perché in Perù si muore così tanto?  E perché la quarantena che sulla carta dura da cinque mesi è del tutto inefficace? Lo spiega in questa testimonianza da Lima Wilfredo Ardito Vega, docente presso la Pontificia Università Cattolica del Perù.

 

Il Covid-19 è stata una tragedia in tutto il mondo, ma in alcuni Paesi la devastazione è stata veramente estrema e il caso peruviano è probabilmente il peggiore anche perché non si intravede nessun rallentamento dell’epidemia. Con 33 milioni di abitanti il Perù al 20 agosto conta ufficialmente quasi 27.000 morti per Covid-19; ma questo conteggio dei morti è molto limitato. Se si confronta invece il numero di decessi avvenuti fra aprile e agosto con lo stesso periodo negli anni precedenti appare evidente che le vittime reali del Covid-19 possono raggiungere quota 50,000.

Subito il 15 marzo, all’inizio dell’epidemia, il presidente Martin Vizcarra aveva deciso di imporre una quarantena severissima sulla popolazione, quando in Perú c’erano ancora soltanto alcune decine di casi di positivi al Coronavirus e nessuna persona era morta. Non solo questa strategia è completamente fallita, ma la vita dei peruviani e peggiorata in maniera terribile, specialmente per i più poveri.

Il governo Vizcarra forse ha dimenticato che moltissima gente non può contare su alcun risparmio e che in Perù non esiste nessun sussidio contro la disoccupazione. Per questo, la quarantena ha distrutto l’economia popolare e portato fame e miseria per milioni di persone. La risposta del governo è stata proseguire la quarantena per settimane e mesi (parecchie regioni sono isolate da più di cinque mesi) e la gente povera, disperata, ha deciso di interrompere la quarantena, vendendo merci sulla strada. Dal governo è arrivato un po’ denaro ai più poveri (meno di duecento euro a testa), ma per riceverlo occorreva recarsi nelle banche e presto si sono create lunghissime code, contribuendo così al diffondersi del virus. Ad alcune popolazioni dell’Amazzonia, poi, il virus è arrivato con il cibo portato dai programmi di assistenza sociale.

Le vittime dell’epidemia in Perù sono diverse rispetto all’Europa: a morire non sono soprattutto gli ultraottantenni, che ormai in Perù sono molti meno che nei Paesi europei; le vittime del Coronavirus sono persone abbastanza giovani, con meno di sessant’anni; molti, l’85%, hanno problemi di obesità. L’epidemia e la morte colpiscono tutti i livelli sociali, ma il numero più alto di morti si conta tra i più poveri.

Le disuguaglianze nei danni prodotti dalla pandemia sono molto evidenti a Lima, città di radicali contrasti. Nei quartieri più ricchi, come San Isidro o San Borja, i morti sono molto meno che nei quartieri di periferia come Villa El Salvador o Comas. In questi ultimi quartieri, molta gente non ha acqua dal rubinetto. L’acqua arriva coi camion e costa molti soldi; non si può, dunque, “sprecarla” per lavarsi le mani dieci o venti volte al giorno come richiesto dal governo. E’ impossibile, per una famiglia povera, acquistare gel disinfettante e anche le mascherine costano molto e vengono riciclate talmente tante volte da non servire più.

In questi cinque mesi di pandemia e quarantena, rimanere a casa è stato un lusso da ricchi, per quelli che hanno risparmi o per la piccola minoranza che in Perù può lavorare con il computer e connettendosi a Zoom. Sono quelli che abitano in quartieri benestanti, dove ognuno ha la sua stanza, e – se si vogliono rilassare – hanno parchi e giardini a disposizione per fare una passeggiata prima del coprifuoco.

Gli altri peruviani devono cercare di lavorare in qualunque modo possibile, rischiando di contagiarsi viaggiando due o tre ore al giorno su autobus o minibus affollati. I più benestanti non vanno neppure al supermercato: fanno la spesa con l’e-commerce o ordinano on line il pranzo, che arriva puntualmente, seguendo i più stretti protocolli di biosicurezza. I più poveri, invece, devono mangiare in piccoli ristorantini dove non si garantisce nessun livello di igiene. Con queste differenze è facile capire chi si ammala di più.

Non è solo la gente delle periferie di Lima a soffrire per questo: particolarmente allarmante è anche la situazione degli antichi quartieri poveri di Lima Centro come il Rimac o La Victoria, ciascuno dei quali ha più morti da Coronovirus che la Corea del Sud o l’Australia; e questo nonostante la popolazione sia cento volte inferiore. Ancora peggiore è la situazione nel Cercado di Lima, il quartiere centrale dove si trovano il Palazzo di Governo, il Parlamento e il Palazzo Comunale. Nel Cercado ci sono zone poverissime, come Barrios Altos o Monserrate, con vecchie case abbandonate dove abitano molte famiglie, ognuna in una piccola stanza. Molte famiglie condividono un solo rubinetto e un bagno: le probabilità di contagio per l’affollamento sono tantissime.

E in Perù contrarre il Covid-19 può significare la morte, per le terribili condizioni degli ospedali pubblici, dove le infezioni sono molto comuni: non c’è neppure c’è carta igienica e a volte nemmeno l’acqua nei bagni. Nelle regioni più fredde del Paese non c’è riscaldamento. E’ assolutamente normale che, per ogni malattia, le famiglie degli ammalati debbano acquistare le medicine fuori dall’ospedale, perché nella farmacia ufficiale non si trovano.

In queste condizioni se una persona povera si ammala di Covid-19 il rischio di morire in ospedale è molto alto. Normalmente bisogna acquistare una bombola di ossigeno e caricarla tutti i giorni a un costo che è cresciuto in maniera scandalosa. In molte città del Perù, queste bombole semplicemente non esistono (non c’erano neppure agli ospedali). Solo l’intervento della Chiesa, che acquistato direttamente bombole e generatori di ossigeno, ha salvato migliaia di persone; ma per una città come Lima, che una popolazione maggiore di Paesi come l’Austria o la Svezia, anche questo intervento è totalmente insufficiente. E’ per questo che si sono tante morti fra i poveri: al Cercado, dove abitano meno di 300,000 persone, i morti sono 909, un morto ogni 294 persone, una proporzione elevatissima.

Certo, ci sono anche ospedali private con migliori condizioni, dove si muore molto di meno per Covid-19; ma soltanto una piccola minoranza di peruviani possono permettersi di essere ricoverati li o di acquistare una o due bombole di ossigeno o assumere un’infermiera dedicata.

Migliorerà questa situazione? Non lo so. A cinque mesi dall’inizio della quarantena il presidente Vizcarra sembra smarrito e confuso. Continua a dire che la gente è irresponsabile perché non si lava le mani, ma la gente non ha l’acqua per farlo. Va avanti a intimare di rimanere a casa, ma i poveri devono lavorare per mangiare. La sua cecità e la sua arroganza sono tra le cause della tragedia che soffrono i peruviani.