Haiti, una crisi che viene da lontano

Haiti, una crisi che viene da lontano

Dopo l’assassinio del presidente haitiano Jovenel Moïse, il missionario irlandese padre Bobby Gilmore – sul sito internet dei missionari di San Colombano – riflette sulla vulnerabilità, il sottosviluppo e l’indigenza del Paese. Che si radicano nell’ingiustizia

 

Vicino alla città di Montpelier, sull’altopiano sopra Montego Bay in Giamaica, sorge un vecchio accampamento militare risalente al dominio britannico. Dall’indipendenza di Haiti nel 1804, gli abitanti di Montpelier si sono abituati all’arrivo periodico di personale militare che riapre il campo: ogni volta che vedono arrivare i militari, capiscono che Haiti è di nuovo nei guai a causa di un colpo di Stato, di un uragano o di un terremoto: presto arriveranno i rifugiati haitiani.

Haiti, come molte altre isole dei Caraibi, è vulnerabile sia alla storia che alla geografia. Entrambe, secondo una nuova parola inserita nel dizionario dei Caraibi, hanno portato alla haitianizzazione: sottosviluppo e miseria senza fine per il popolo. Altre isole dei Caraibi sperimentano uragani e a volte terremoti. Ma non la devastazione di Haiti. Almeno un quarto della sua popolazione è indigente. Tentativi di sviluppo infrastrutturale senza la minima organizzazione, case costruite all’indomani dell’ultimo disastro, sussistenza alla giornata peggiorano la devastazione degli uragani che diventano disastri dagli alti costi umani.

La leadership del Paese ha ripetutamente deluso il popolo: nel tempo Haiti ha subito 37 colpi di Stato. In questo momento di crisi non c’è un governo legittimo a causa dei rinvii elettorali. La Repubblica Dominicana condivide l’isola di Hispaniola con Haiti: perché la Repubblica Dominicana è una democrazia stabile e progressista e Haiti una terra desolata? Haiti ottenne l’indipendenza dalla Francia nel 1804 quando, dopo la rivoluzione degli schiavi, fu creata la prima repubblica nera nelle Americhe. Gli haitiani si liberarono dalla tirannia del dominio francese e dalle catene della schiavitù. La Francia aveva beneficiato enormemente del suo dominio ad Haiti: la perla nella corona del colonialismo francese. Ci si sarebbe aspettato che, con l’autogoverno, il Paese avrebbe prosperato grazie alla possibilità di utilizzare le sue risorse.

Invece, la schiavitù istituzionale non ha permesso la liberazione. Il sistema schiavista era strutturato in modo che uno schiavo fosse proprietà del suo padrone, dunque il concetto di “liberazione” coincideva con il furto di una proprietà: se stesso. In altre parole, uno schiavo che si liberava stava rubando la proprietà del suo padrone. Un buon esempio di tale paradigma è stata l’abolizione della schiavitù in Giamaica: il governo britannico risarcì i proprietari di schiavi per la perdita del loro possesso, mentre gli schiavi, produttori di ricchezza, furono abbandonati.

La Francia estese questo paradigma alla nuova nazione di Haiti come entità: liberarsi dallo Stato colonizzatore significava derubarlo, perciò bisognava risarcirlo. Dunque, la Francia impose un’ammenda di 90 milioni di franchi da pagare in oro. Questi rimborsi agli ex colonizzatori consumarono oltre l’80% del bilancio nazionale di Haiti fino a quando il debito non fu saldato nel 1947. Oggi, i 90 milioni di franchi in oro corrisponderebbero a 20 miliardi di dollari. Quindi, l’haitianizzazione ha una lunga ombra.

Per molto tempo Haiti ha ricevuto aiuti internazionali. Se le donazioni fossero la soluzione ai problemi del Paese, Haiti dovrebbe essere una brillante democrazia. Troppo spesso, invece, gli aiuti hanno mantenuto al potere cartelli corrotti, conniventi con le lobby agricole sovvenzionate nei Paesi donatori. L’obiettivo primario degli aiuti (tranne in caso di calamità) dovrebbe essere lo sviluppo del potenziale indigeno, in particolare nei settori della produzione alimentare, delle infrastrutture, dell’istruzione, della sanità, dei servizi igienico-sanitari, delle forze dell’ordine, dell’ordine pubblico e dell’amministrazione della giustizia. Ma oggi essi sono usati come un “rifugio di rispettabilità” da alcune élite offshore, che cercano il riconoscimento per se stesse facendo dei poveri gli oggetti del loro bisogno piuttosto che i soggetti della propria liberazione.

C’è anche il tema delle riparazioni alla Francia. Quest’ultima, come anche altri colonizzatori europei, ha beneficiato della schiavitù nel suo sviluppo. È doloroso sentire oggi i nazionalisti populisti rivendicare il riconoscimento dell’abolizione della schiavitù da parte del proprio Paese: se vogliono rivendicare il riconoscimento di qualcosa, dovrebbe essere un risarcimento per la schiavitù. La riparazione è un obbligo di giustizia.

Haiti ha bisogno di giustizia da parte della Francia e ne ha bisogno adesso. Ma c’è poca speranza in tal senso. In tempi moderni, come ai tempi degli schiavi, a dominare è il potere delle multinazionali: il pubblico ha salvato le banche, il governo ha salvato Apple contro la volontà della gente.
«Quando parliamo di povertà globale – scrive G. A. Haugen in “The locust effect” – facilmente pensiamo a fame, malattie, senza fissa dimora, analfabetismo, acqua sporca e mancanza di istruzione, ma ben pochi di noi pensano alla vulnerabilità cronica dei poveri alla violenza. Puoi fornire ogni tipo di beni e servizi ai poveri, ma se non trattieni i bulli nella comunità dalla violenza e dai furti, allora il risultato degli sforzi sarà deludente».

Oggi, dopo l’assassinio del presidente haitiano Jovenel Moïse, la gente di Montpelier non sarà sorpresa di vedere i militari risistemare la vecchia caserma in attesa dell’arrivo dei nuovi profughi haitiani dopo gli ultimi disordini. Pregate per il popolo di Haiti.

padre Bobby Gilmore, della Società missionaria di San Colombano, ha operato per diversi anni in Giamaica. Nel 1999 ha istituito il Migrant Rights Centre Ireland
Questo testo è una nostra traduzione italiana di un articolo pubblicato in queste ore sul sito internet dei missionari di San Colombano