Al cinema in Giappone a vedere “Silence”

Al cinema in Giappone a vedere “Silence”

«Ho visto “Silence” in giapponese insieme ai giovani della mia parrocchia». Le impressioni di un missionario oggi in Giappone.

«Nel bellissimo film di Martin Scorsese a un certo punto uno dei due protagonisti diche che “Il Giappone è una palude, e nella palude non cresce nulla”. Io mi sento in cammino con questa chiesa giapponese, che però sta affrontando un momento molto delicato. In una società perfettamente organizzata, dove la comunità viene prima dell’individuo, fa fatica ad attecchire un messaggio come quello evangelico che richiede uno stacco di individualità. E in questo il film coglie in pieno il nocciolo del problema».

Quattrocento anni dopo i fatti narrati in “Silence”, il film capolavoro di Scorsese che racconta le persecuzioni subite dai cristiani nel XVII secolo, un giovane missionario, padre Andrea Lembo del Pime, racconta cosa significa oggi annunciare il Vangelo in Giappone. 42 anni, originario di Treviglio, Padre Andrea vive nella parrocchia di Narashino, nella periferia di Tokyo, che conta 2300 cristiani distribuiti su un territorio che abbraccia cinque città. «Per estensione è la prima parrocchia della diocesi di Tokyo, la terza per numero di cristiani», racconta. Numeri che dicono già molto della fisionomia della Chiesa cattolica giapponese.

Padre Lembo si occupa principalmente dei giovani, in parrocchia e in un centro culturale che ha fondato a Tokyo quattro anni fa insieme al sacerdote giapponese Ohara Takeshi. «Molti dei giovani che si affacciano al centro non sanno cos’è la chiesa cattolica», dice. Segue anche alcuni hikikomori, adolescenti che si richiudono fra le pareti della loro stanza rifiutandosi di uscire. «Andiamo a trovarli e stiamo semplicemente un po’ di tempo con loro, perché quello che serve in questi casi è ricostruire rapporti umani», dice. Con un gruppo di giovani della parrocchia è andato a vedere “Silence” il film capolavoro di Martin Scorsese, ovviamente in lingua giapponese.

Tratto dall’omonimo libro di Susaky Endo, il film racconta le persecuzioni subite dai cristiani e il dilemma di coscienza di un giovane missionario. Iniziate nel 1614, anno in cui il cristianesimo è messo al bando, le persecuzioni divennero via via più violente e crudeli. Nel 1644, con il martirio dell’ultimo prete rimasto nel Paese, cominciò il fenomeno dei kakure kirishitan: i “cristiani nascosti” che per due secoli vissero la fede in incognito rischiando la vita, riuscendo però in questo modo a tramandarla alle generazioni successive. Fu solo con la riapertura delle frontiere agli stranieri, a partire dal 1859, che anche i sacerdoti poterono rientrare in Giappone, e fu così che, nel 1865, padre Bernard Petitjean, un missionario francese, venne a conoscenza di un sopravvissuto focolare cristiano.

«Due anni fa qui in Giappone abbiamo festeggiato il 150esimo della “riscoperta dei cristiani” – racconta padre Lembo -. Nella mia parrocchia c’era un diacono originario di Nagasaki e in occasione della sua ordinazione abbiamo organizzato un pellegrinaggio nelle terre dove i cristiani hanno sofferto di più. Arrivati là però, nel momento della cerimonia, qualcuno ha ricordato che non è vero che i cristiani sono stati riscoperti. I cristiani sono sempre rimasti. “Questo è il vostro punto di vista”, ci dicevano. Quello che si sarebbe dovuto ricordare è il 150esimo del ritorno dei preti in Giappone. Ma non il ritorno del cristianesimo, perché quello è sempre rimasto, conservato in un contesto di comunità. La mancanza di sacerdoti non ha fatto venire meno la conservazione e comunicazione della fede, che è stata coraggiosamente tramandata da padre in figlio».

«Certamente la prima evangelizzazione e la seguente grande persecuzione dei cristiani è stato un momento molto forte per la chiesa giapponese – continua padre Lembo -. Il film di Scorsese coglie in pieno almeno due aspetti che ancora oggi caratterizzano il cristianesimo qui in Giappone. Il primo è il riferimento ai leader. Quando, alla fine del film, il prete che ha abiurato parla con il giovane missionario che è venuto a cercarlo gli dice: “Questa gente ha già abdicato alla propria fede, sta andando al martirio per te”. La guida, il leader è importante nella cultura giapponese: ci sono state comunità che hanno conservato la fede pensando e ricordando i sacerdoti che hanno annunciato il Vangelo e riferendosi a Gesù stesso, come emerge molto bene dal film. Il secondo aspetto è la comunità, la sua forza nel conservare la fede. Ma la bravura di Scorsese secondo me è stata quella di mettere il dito sulla piaga di un dilemma: bisogna dare la priorità alla convinzione personale o al bene della società? Cos’è più importante? I missionari portavano, e portano ancora oggi, un messaggio che è molto personale, in un contesto dove tradizionalmente la comunità conta più dell’individuo. Questo non è dovuto solo al fatto che l’annuncio cristiano ha dei connotati occidentali, è il Vangelo stesso che richiede un salto di individualità».

«Nel Giappone di oggi non mi sembra di cogliere un’avversione al Vangelo – continua padre Lembo -. Naturalmente sto ponendo una differenza fra Vangelo e cultura cristiana occidentale e indentifico il primo con un cammino di umanizzazione che ci fa essere pienamente uomini e donne. In questo senso non c’è avversione, c’è però uno stacco molto forte con la cultura tradizionale, semplicemente perché è basata su criteri molto diversi, che mettono il gruppo prima dell’individuo. I giovani con i quali ho visto il film spesso soffrono questo aspetto, che emerge in qualsiasi dettaglio della società. Quando ci si presenta, per esempio, viene sempre prima la comunità alla quale si appartiene, e poi il nome proprio. Io dico: “Del Pime, Andrea Lembo”; un bambino mi dirà: “Della tal scuola”, e il suo nome; un adulto “Della Toshiba”, o qualsiasi altra ditta in cui lavora, e poi il nome. Ai giovani dico che non devono togliersi da questa società, ma interrogarsi su come vivere la propria individualità. Il Vangelo propone un cammino di umanizzazione all’interno della società, non fuori».

«Non è vero che non c’è religiosità in Giappone – conclude padre Lembo -. Abbiamo delle belle tradizioni shintoiste e buddiste, una grande tradizione zen. Quando parlo con i giovani, anche cristiani, li incoraggio a portare avanti le proprie tradizioni religiose, a visitare il tempio. Certo, è una presenza di Dio a tratti un po’ di versa dalla nostra, però c’è il gesto di mettere Dio a fondamento della propria vita. Il vero rischio qui in Giappone, ma anche nella nostra Europa, non è il pluralismo culturale e religioso ma il secolarismo, svuotare i simboli religiosi del loro significato».