Con padre John nei bassifondi di Hong Kong

Con padre John nei bassifondi di Hong Kong

Missionario degli Oblati di Maria Immacolata, espulso dalla Cina continentale, padre Wotherspoon da un piccolo appartamento della penisola di Kowloon si prende cura dei carcerati e dei migranti illegali preda dei narcotrafficanti

 

Le dimensioni del piccolo appartamento sono semplicemente impensabili in Europa, due metri per quattro, in totale otto metri quadrati compreso il bagno. “Eppure qui può vivere un’intera famiglia cinese; invece ci sto da solo”, dice p. John Wotherspoon. Sullo stesso pianerottolo però abitano un rifugiato politico e altri immigrati che cercano di cavarsela con ogni mezzo attorno al vecchio mercato di Temple Street nella parte vecchia, rumorosa e sovraffollata della penisola di Kowloon. “Sono stato per anni nella Cina continentale – dice il missionario australiano degli Oblati di Maria Immacolata, 70 anni -; ma occupandomi troppo dei poveri alcuni funzionari governativi si sono risentiti, come se indirettamente denunciassi il loro disinteresse o il loro fallimento. Così mi hanno messo alla porta e sono dovuto tornare a Hong Kong”.

“Anch’io come San Paolo tesso le mie tende per mantenermi”, dice p. John; o meglio per pagare l’affitto della piccola casa, equivalente a circa 350 euro al mese. “Ogni sera registro in voce la traduzione inglese dell’editoriale di un quotidiano di Hong Kong in lingua cinese, che poi mettono sul loro sito. Un paio di volte al mese faccio anche un articolo per loro. Mi ricambiano pagando le spese del mio alloggio”. Il giornale (Ming Bao) è il più diffuso nelle scuole di Hong Kong per cui il messaggio di p. John arriva ad un grande numero di giovani.

Ogni giorno sul suo sito p. John pubblica testi biblici e testi recenti del Papa dalla Laudato si’ e da Amoris Laetitia. Sarebbe però solo uno dei tanti siti liturgici o catechetici se lo scopo più originale e rivoluzionario non fosse in realtà un altro, collegato al suo servizio principale, che è quello delle carceri e della lotta al traffico di droga. “Alcuni anni fa ad Hong Kong c‘è stato un grosso incremento del numero di carcerati di origine africana, in particolare dalla Tanzania. Si trattava di corrieri della droga, che venivano con l’eroina nascosta nello stomaco o introdotta nel corpo per via anale. Ho ottenuto dalle autorità il permesso per i carcerati di scrivere delle lettere ai parenti. Quando è uscita la prima lettera sul mio sito, il 20 luglio 2013, in una settimana ho avuto cinquemila visite e i testi sono stati ripresi dai media in Africa. Il traffico di droga dalla Tanzania è calato drasticamente. Se prima la polizia faceva un arresto di quel tipo ogni settimana ora ne fa uno all’anno”.

John non si è fermato lì. L’anno scorso è andato lui stesso in Tanzania ed ha incontrato trenta famiglie di carcerati a Hong Kong portando loro notizie. “Perché a volte, dice, le autorità dicono ai parenti che i loro cari sono morti e basta”. “Quest’anno sono andato in Kenya e Uganda. Dovunque ho incontrato organi di stampa e televisioni. Ho fatto molta sensibilizzazione. Il traffico di droga dall’Africa è quasi scomparso”. P. John ammette che questo tipo di lavoro ormai è una questione di prevenzione. “Coi carcerati posso fare e faccio naturalmente il ministero tipico di un cappellano (benedizioni, preghiere, sacramenti), ma la cosa più importante che posso fare per loro è impedire che vadano in prigione. Per questo devo fare in modo che neanche arrivino a Hong Kong; che neanche partano dal loro paese.” Nessuna minaccia dai destinatari del traffico qui a Hong Kong, che vengono danneggiati e devono per lo meno riorganizzarsi in un altro modo per far arrivare la droga? “Un paio di piccole minacce, ma niente di serio”. E p. John si ferma lì.

Padre John Wotherspoon
Padre John Wotherspoon

Il lavoro del missionario australiano non è perfettamente legale. Non potrebbe portare informazioni e messaggi fuori dal carcere. Ma siccome è di aiuto anche alla polizia, le autorità lo lasciano fare. Nessun arresto dalla Tanzania l’anno scorso. Nessun arresto di colombiani quest’anno, quando nel 2015 ce n’erano una ventina già in carcere. Le autorità carcerarie sono molto contente anche perché gli stranieri sono difficili da gestire, hanno tante pretese e non conoscono la lingua. C’è comunque un vantaggio pratico anche per i carcerati. P. John mi mostra carteggi legali in cui la sua “campagna” è espressamente citata in relazione allo sconto di pena concesso dal giudice a coloro che hanno collaborato con lettere o altre informazioni da mettere online. “Spendo molto tempo adesso in tribunale. Se scrivo una lettera per questa gente è di aiuto. Ma se vado di persona e il giudice mi vede la cosa è molto più efficace. Ricevono un maggiore sconto di pena. E possono tornare più in fretta alle loro famiglie. Anche solo un anno in più di sconto di pena può sembrare poco, ma per chi è in carcere è un’eternità. Non tutti i giudici ancora danno questo sconto di pena. Ma stiamo lavorando perché questa possibilità diventi prassi comune di tutti i giudici.”

Prossimo obbiettivo il Sudafrica: “Abbiamo ancora gente che viene da lì”. E quanto guadagna un corriere se tutto va bene? “Quattromila dollari americani; a volte meno. In genere è gente disperata, che ha bisogno di soldi per debiti contratti per cure mediche o per mandare i figli a scuola. Abbiamo scoperto che alcuni si sono indebitati in patria proprio coi signori della droga, che poi li usano come corrieri internazionali. Questi sono individui spregiudicati. Adesso usano le donne più degli uomini, perché le donne ancora più disperatamente cercano soldi per le loro famiglie”.

“Per alcuni carcerati devo trovare una buona consulenza legale. Ho un gruppo di africani, più di una ventina, che sono stati incredibilmente circuiti all’aeroporto di Dubai nella sala partenze per Hong Kong. La tattica era semplice. Si avvicinava un signore nigeriano con la scusa di aver acquistato troppi articoli al duty free dell’aeroporto e chiedendo spazio nel bagaglio altrui. Degli ingenui molto generosi si ritrovavano con chili di droga nel bagaglio a mano. C’era già stato un caso simile in passato con una decina di occidentali, anche questi arrestati all’arrivo a Hong Kong. Dal punto di vista giudiziario è meglio cercare di trattare questi casi in tribunale tutti insieme per dimostrare che si tratta di un imbroglio organizzato e ottenere una sentenza di assoluzione”.

Un errore pensare che p. John si interessi solo di carcerati. “Quando sono venuto qui era con l’idea di occuparmi di tossicodipendenti usciti di prigione. Ho cominciato ad invitare tre o quattro di loro in questo piccolo appartamento una volta la settima. Poi sono cresciuti di numero e abbiamo dovuto trovare spazi sempre più grandi, finché siamo finiti nel salone della parrocchia di St. Paul qui vicino”. Il loro incontro è di domenica, proprio dopo il nostro appuntamento con p John. E’ il 14 agosto. Ferragosto in Italia. Ci dirigiamo quindi alle cinque e mezza del pomeriggio verso St. Paul’s attraversando mercatini e giardinetti dove la prostituzione e lo spaccio di droga sono sotto gli occhi di tutti. Nel salone troviamo 250 persone che fanno festa semplicemente stando insieme. Sono tossicodipendenti, senza tetto, vagabondi, disabili mentali, gente a cui se anche vuoi dare un tetto o un lavoro in realtà preferiscono conservare la libertà selvaggia della strada.

P. John non deve fare più niente per queste attività. Volontari dalle parrocchie, dalle scuole, dalle comunità religiose, dal gruppo di Sant’Egidio, dai diaconi permanenti della diocesi si occupano di tutto ogni domenica. Gli ospiti come me o p. Mario Marazzi del Pime, che mi accompagna e parla un cinese che p. John dice essere uno dei migliori tra i missionari a Hong Kong, sono invitati a condividere una breve riflessione. Li incoraggio solo a lasciare in ogni occasione possibile la solitudine della casa e della strada per continuare a venire qui, stare insieme e sperimentare la gioia dell’amicizia e della solidarietà. Mi complimento anche coi giovani volontari molto dinamici, che regalano la loro domenica pomeriggio ai più poveri di Hong Kong, quelli che arrivano con una borsaccia in mano di cui p. John dice che “contiene tutto ciò di cui sono padroni in terra”. Problemi di soldi per questa attività? “Nessuno. Io non so neanche cosa spendiamo e da dove vengono i soldi. Ma so che sono in tanti ad aiutare compresa la parrocchia della cattedrale. Non siamo mai in passivo”. Dopo due ore di canti, di giochi, e di esortazioni i poveri se ne vanno con una scatola di riso per la cena forse da condividere con altri a casa o in strada.

John visita le carceri quasi ogni giorno, a meno che sia preso dal suo lavoro di informazione e sensibilizzazione online. Il problema della droga si collega a quello dei rifugiati usati allo stesso scopo. Ci sono circa 11 mila immigrati illegali a Hong Kong soprattutto da India, Pakistan e Sri Lanka. Una minima parte sono rifugiati politici. Gli altri sono migranti economici. Tutti senza documenti. “Non è bene che la gente arrivi così. Bisognerebbe bloccare i nuovi arrivi e poi convincere le autorità ad affrontare il problema di quelli che sono già qui trovando una soluzione realistica; eventualmente anche quella di rimandarli a casa con qualcosa in tasca”.

L’approccio di p. John è diverso da quello più comune. Non si limita a dare una mano alle persone in difficoltà. Ma escogita gesti e azioni che possano prevenire la povertà e l’emarginazione. Ognuno è vittima sì a volte di circostanze avverse e della cattiveria altrui, ma anche in parte responsabile delle proprie azioni ed artefice del proprio riscatto. Prima di lasciarlo, p. John mi fa dono delle sue pubblicazioni. Piccoli libretti che stampa per i carcerati e i poveri. Sono estratti del Vecchio e Nuovo Testamento. Ma anche riferimenti a Gandhi, Mandela e Gesù: cosa hanno detto e fatto nei loro momenti di disperazione e di abbandono. Al termine dell’incontro alla parrocchia di St Paul p. John mi invita ad imporre le mani sui suoi amici in segno di benedizione e preghiera. Vengono avanti uno ad uno col sorriso sul volto. Come se aspettassero più questo della scatola di riso che si portano a casa.