Afghanistan: la lunga marcia della pace

Afghanistan: la lunga marcia della pace

Una fine del Ramadan con una fatwa di condanna degli attacchi suicidi. E con un gruppo di manifestanti guidati da Zaheer Ahmad Zindani, un uomo accecato da una mina in un attentato, in marcia da settimane verso Kabul per dire basta al conflitto che dura da 17 anni

 

È una fine del Ramadan diversa per l’Afghanistan. Tiene il cessato il fuoco proclamanto con inizio 12 giugno dal governo, un’iniziativa che esclude la militanza armata legata a Al Qaeda e quella dell’Isis/Daesh, considerate straniera in un contesto in cui persino i Talebani sono loro ostili proprio per l’estraneità territoriale e etnica. E si parla anche di un possibile scambio di prigionieri. A sostenere questi provvedimenti – fragili come resta fragile nel complesso la situazione afghana – una fatwa di condanna degli attacchi suicidi diffusa la scorsa settimana da leader religiosi islamici poco prima che venissero colpiti e in sette uccisi da un’esplosione di cui l’Isis si è dichiarato responsabile.

Sul campo, la situazione resta però ancora di conflitto pieno con un’evidente difficoltà della coalizione e delle forze armate afghane di contenere le azioni dei Talebani, che hanno sotto il loro controllo vaste aree del Paese, e quelle dei gruppi jihadisti internazionali che da tempo hanno posto loro basi in Afghanistan puntando insieme sul reclutamento in loco, su un campo di azione in sé importante e sulla prossimità di aree come Pakistan, India e la regione cinese dello Xinjiang, in cui possono operare in connessione con gruppi locali.

Dentro a questo contesto assume un significato particolare un’iniziativa di un gruppo di afghani colpiti nel fisico e nella psiche dalla guerra che dura ormai da 17 anni. Questi manifestanti tra cui nove sopravvissuti ad attentati, sono in marcia da settimane con meta Kabul dove arriveranno nei prossimi giorni. A guidarli Zaheer Ahmad Zindani, accecato molti anni fa dall’esplosione di una mina che uccise la sorella. “Tutti noi che marciamo abbiamo sofferto per la guerra. C’è chi ha perso un padre, chi un fratello, una sorella o la madre. Ciascuno ha perso qualcuno dei propri cari e il mio unico desiderio è che si fermino questa guerra e queste sofferenze”, ha ricordato Zindani.

La commovente iniziativa – nata in modo spontaneo come reazione all’esplosione di un’auto-bomba il 23 marzo – è stata seguita con grande interesse dai media afghani e da una popolazione sempre più disillusa dalle promesse di pace e stanca di violenza. Concreto il sostegno in cibo, acqua e ospitalità fornite dalla popolazione locale. Il cammino di 700 chilometri da Lashkar Gah, capoluogo della provincia meridionale di Helmand, roccaforte talebana, è stato accompagnato da iniziative in cui si è manifestata una forte opposizione alle parti in conflitto, ma anche la richiesta di un definitivo abbandono dell’Afghanistan da parte delle forze straniere. L’originalità dell’iniziativa e l’attenzione mediatica su di essa hanno evitato i rischi di aggressione per rapina, ma non quelli delle mine sul cammino o di attacchi dei militanti. Per i partecipanti, nulla di particolarmente rischioso rispetto ai pericoli che la popolazione afghana corre abitualmente e che serviva evidenziare nel paese e all’estero.