Coronavirus: Italia-Africa nel segno della cura

Coronavirus: Italia-Africa nel segno della cura

La testimonianza di don Dante Carraro del Cuamm, da poco rientrato dal Sud Sudan. «Il nostro mandato è l’Africa, ma vorremmo fare la nostra parte anche qui in Italia». Sostenendo, ad esempio, l’ospedale di Schiavonia

 

«Quando sono arrivato all’aeroporto di Juba in Sud Sudan e hanno visto che ero un italiano, mi hanno messo in una fila separata e fatto un controllo più accurato. Tutti i giorni del mio soggiorno, mi hanno chiamato per accertarsi che le mie condizioni di salute fossero buone». È la testimonianza di don Dante Carraro, direttore di Medici con l’Africa-Cuamm, rientrato qualche giorno da uno dei Paesi più disastrati del pianeta. Dove oggi, tra le molte preoccupazioni, c’è anche quella che possa diffondersi il coronavirus. Magari portato da un italiano come in altri Paesi africani.

Se, infatti, sino a poco settimane fa c’era chi lanciava allarmi contro il rischio di “importazione” del virus attraverso i barconi, oggi la drammatica realtà è che, in alcuni casi, siamo stati noi italiani – o persone rientrate dall’Italia – a portare il virus in Africa.

Ma proprio di fronte a una situazione così difficile, don Dante invita a superare la logica del “noi-loro”. Per affrontare insieme una sfida che riguarda tutti: «Questa emergenza è l’ennesima dimostrazione di come siamo un unico mondo e di come non abbia senso pensare a “noi italiani”, “noi veneti”, “noi nel nostro piccolo”… Siamo un unico mondo e i problemi vanno affrontati sempre di più insieme. Non significa rinunciare alle nostre identità, ma ci sono temi e situazione che devono vederci uniti. Uno di questi è l’emergenza coronavirus che ci dice, in tutta la sua drammaticità, che dobbiamo avere a cuore la cura dell’umano. Tutti e ovunque».

Oggi più che mai, però, non bastano le parole. Che sono già troppe. E spesso confuse o inappropriate. Oggi servono gesti. Ed è quello che ha scelto di fare il Cuamm come segno di responsabilità. Qui in Italia come nei Paesi africani.

«Il nostro mandato è l’Africa – ricorda don Dante -, ma non possiamo limitarci a questo quando vediamo che nelle città e nelle regioni dove siamo nati e dove abbiamo migliaia di amici e volontari si sta affrontando una grande sfida come quella del coronavirus. Per questo, e nonostante fatiche e difficoltà, abbiamo deciso di “sdoppiare” il nostro impegno».

In Africa significa innanzitutto mettere in sicurezza le 23 strutture sanitarie in cui l’ong di Padova lavora, fornendo materiali come guanti, mascherine, gel alcolico, camici e lenzuola, ma anche attivando procedure per proteggere personale e pazienti. «Forti dell’esperienza di Ebola in Sierra Leone – riferisce don Dante – ci siamo attivati tempestivamente per aumentare la protezione del personale sia espatriato che locale E per il contenimento della diffusione del virus».

È quanto già successo nell’ospedale di Wolisso, in Etiopia, dove sabato scorso si è presentato un paziente con polmonite che ha subito suscitato allarme. Purtroppo, quasi ovunque i tamponi stanno arrivando solo in questi giorni e hanno una capacità diagnostica relativa, mente i kit più raffinati spesso non sono disponibili.

«L’allerta dei nostri operatori è massima – dice don Dante -. Bisogna fare di tutto per proteggere il personale e contenere l’epidemia. Per questo abbiamo creato immediatamente una struttura, accanto all’ingresso dell’ospedale di Wolisso, in cui vengono orientati i pazienti con sintomi da coronavirus. Usiamo lo stesso schema che abbiamo applicato per Ebola anche negli altri ospedali in cui siamo presenti. Tuttavia, il rischio di non riuscirci è altissimo, perché i sistemi sanitari dei Paesi africani sono estremamente fragili e non è possibile garantire cure intensive ai pazienti colpiti perché non ci sono reparti attrezzati. Per questo stiamo distribuendo materiale di protezione, predisponendo piani di contenimento, formando i tanti operatori sanitari, anche nelle comunità, alle norme igieniche e di protezione, collaborando con i governi nazionali nel predisporre linee guida e procedure idonee al contenimento dell’epidemia e per la tracciabilità dei contatti dei malati».

Abituato alle emergenze, ma anche a “costruire speranza”, don Dante si è chiesto come dare un contributo anche qui in Italia, dove oggi la situazione è particolarmente critica. «Come Cuamm – dice – vogliamo essere partecipi al momento difficile e duro che il nostro Paese sta affrontando.  Per questo, continuiamo a sostenere i nostri medici rientrati, che stanno operando ora negli ospedali italiani con la stessa passione e competenza vissute in Africa. Sentiamo il dovere di portare un aiuto concreto e per questo stiamo individuando anche delle strutture sanitarie particolarmente bisognose di supporto. In Veneto, potrebbe essere l’ospedale di Schiavonia, a sud di Padova, che dopo essere stato chiuso a causa del coronavirus ora riapre con un’ala dedicata ai pazienti infettati. In Lombardia, stiamo pensando al nuovo ospedale che sta nascendo nella Fiera di Milano. Vorremmo fare lo stesso anche in Piemonte ed Emilia Romagna, le regioni più colpite. Ma non si tratta solo di mettere a disposizione materiali come i respiratori, ma anche e soprattutto di attivare i nostri volontari, che sono oltre quattromila. Credo sia importante che ciascuno faccia la propria parte. Prestando, ad esempio, un’attenzione particolare agli anziani, che sono i più esposti (insieme al personale sanitario) e fragili e, in questo tempo, anche molto soli. Per questo stiamo mobilitando la rete di volontari e gruppi presenti sul territorio».

L’attenzione alle persone anziane in Italia e quella per mamme e bambini in Africa risponde a impegno specifico per le persone più vulnerabili. Ma anche al desiderio di costruire un futuro insieme. Senza perdere nulla in umanità.

«In questo momento difficile, in Italia e in Africa – conclude don Carraro – dobbiamo coltivare la fiducia del cuore e la tenacia dell’operare. In fondo, il confine tra una parte e l’altra del mondo è labile, sottile. Trovarsi “di qua” o “di là” è questione di un attimo. L’umanità è una sola».