La profezia degli scartati

La profezia degli scartati

A Mymensingh, sono nate tre case-famiglia in cui i disabili mentali e chi se ne prende cura vivono insieme. In un Paese musulmano l’esperienza dell’Arca è un segno piccolo ma di grande significato

 

«Sono coloro che sono stati rifiutati a farci entrare in un incontro con Dio». A sostenerlo è Jean Vanier, 90 anni, fondatore dell’Arca, comunità in cui le persone con e senza disabilità mentali vivono insieme. Nato a Ginevra nel 1928, figlio del governatore del Canada, Vanier decise nel 1950 di lasciare la carriera nella marina militare, studiò filosofia e teologia e nel 1964 andò a vivere con un religioso dominicano e due malati provenienti da un istituto psichiatrico in una casetta a Trosly, in Francia. Oggi le case-famiglia dell’Arca sono 150 in 38 Paesi del mondo: piccole comunità dove le persone con disabilità mentale e coloro che se ne prendono cura, chiamati “assistenti”, vivono insieme, lavorano e condividono la quotidianità. Parallelamente in tutto il mondo sono nati circa tremila gruppi “Fede e luce”, nei quali i genitori e gli amici di persone con problemi mentali si sostengono a vicenda. Secondo Jean Vanier la debolezza  è un dono e un’opportunità, che porta le persone a dare il meglio di sé; una comunità basata sull’amore in cui la fragilità è accolta permette di superare le divisioni, anche quelle religiose e culturali, e costruire un mondo più umano. Nel 1997 anche in Bangladesh, Paese a stragrande maggioranza musulmano, è nata una comunità dell’Arca, nella città di Mymensing, a Nord della capitale Dacca. Oggi è un piccolo segno profetico in un contesto in cui lo stigma e il pregiudizio nei confronti dei disabili   –  e ancora più dei malati mentali – è ancora forte.

Padre Franco Cagnasso, missionario del Pime di lungo corso in Bangladesh, sta seguendo da un po’ di tempo questa esperienza: «La nascita dell’Arca qui in Bangladesh è legata al dinamismo e alla dedizione di una volontaria giapponese, Naomi Iwamoto – racconta -. Di famiglia buddista,  50 anni, da giovane ha ricevuto il battesimo in una piccola chiesa evangelica nel suo Paese d’origine, ed è venuta in Bangladesh nel 1993 come infermiera tramite il Japan Overseas christian medical cooperative service, un’organizzazione di volontariato». In quegli anni, un consacrato della comunità di Taizé in Bangladesh, fratel Frank, olandese, aveva iniziato a raccogliere persone disabili che trovava per strada abbandonate a loro stesse, e a ospitarle in un piccolo centro comunitario. Dava loro qualche terapia, valorizzava le capacità di chi era in grado di lavorare, cecava, laddove possibile, di rimetterli in contatto con le proprie famiglie. Quando Naomi conosce fratel Frank decide di aiutarlo. Nel 1997 si trasferisce a Mymensing, e apre la prima casa in cui disabili mentali e assistenti vivono insieme. La chiama  Asha Nir, “Casa della speranza”. Nel 2004, su insistenza di fratel Frank, Noemi decide di fare una pausa e trascorre alcuni mesi in India in una comunità di Piccole sorelle di Charles de Foucauld. Quando torna in Bangladesh, giunge alla decisione di dedicare tutta la vita a disabili mentali. Fonda altre due case famiglia: Shopno Nir (“Casa dei sogni”) per i ragazzi e Pushpo Nir (“Casa dei fiori”) per le ragazze. Il modello si ispira a quello dell’Arca, che fratel Frank aveva conosciuto a Calcutta: ogni casa può ospitare al massimo sette persone con disabilità mentale, oltre a circa altrettanti assistenti. Negli anni successivi la comunità bengalese comincia un percorso di avvicinamento all’Arca internazionale e poi entra formalmente nella federazione.

«L’esperienza dell’Arca ha le sue radici nel Vangelo ma vuole essere una presenza interreligiosa  – sottolinea padre Franco -. E qui in Bangladesh è un segno piccolo ma significativo in questa direzione. I 21 disabili accolti nelle tre case famiglia sono tutti musulmani, i 18 assistenti quasi tutti cristiani. Il direttivo è formato da tre cristiani, tre musulmani, 2 indu. Nelle case famiglia l’aspetto religioso è vissuto in tutta la sua pienezza: la preghiera è due volte al giorno e si recitano ogni volta brani della Bibbia, del Corano e della Bhagavad-Gita, il testo sacro dell’induismo. Gli assistenti pregano ciascuno secondo la propria religione. Finora non ci sono state difficoltà. L’unica spina nel fianco per Noemi, che è ancora la responsabile, è non aver trovato ancora un direttore locale. Ci ha provato per anni, ma i tempi non sono ancora maturi». Dopo la morte di fratel Frank, padre Cagnasso è diventato un “padre spirituale” per Noemi e l’Arca di Mymensing. È nata anche una collaborazione fra l’Arca e i missionari del Pime, che nel Nord del Paese,  a Rohanpur, gestiscono un piccolo centro per persone con disabilità fisica che è stato chiamato Snehonir, “Casa della tenerezza”. «Noemi ci manda qualche caso che ha bisogno di cure speciali a Dhaka – dice padre Cagnasso –  e ai giovani in ricerca vocazionale che si avvicinano al Pime proponiamo fra le possibili esperienza un servizio di volontariato all’Arca», spiega padre Cagnasso.

I disabili in Bangladesh sono circa il 7-8% della popolazione e le tradizioni culturali e religiose pesano molto sul modo con il quale queste persone vengono percepite dalla società. Il supporto del governo è molto limitato, e le poche opportunità vengono colte da chi può permettersi di pagare. Di conseguenza non c’è quasi nessuno che si occupa delle persone povere con disabilità. Ci sono diverse organizzazioni non governative che hanno programmi per disabili, ma sono per lo più concentrati sulla formazione professionale. I “donatori” spingono per avere risultati concreti e quantificabili, e condividere semplicemente la vita non è “quantificabile”. «Nel nostro primo incontro, in una giornata molto calda, davanti ad una tazza di tè, Noemi mi ha raccontato della sua gioia immensa quando, dopo quattro anni di tentativi, uno dei loro “diversamente abili”, per la prima volta, è riuscito a bere un bicchier d’acqua da solo  – racconta padre Franco –. Le case famiglia dell’Arca non hanno programmi e progetti che cambino la società: si può forse fare un progetto che preveda quattro anni per imparare a bere da sé? La proposta è di voler bene nel modo più semplice e immediato, e di guardare la realtà con questi occhi e con questo cuore, capace di non considerare tempo perso la dedizione a tempo pieno anche ad una sola persona». Nel frattempo l’attività dell’Arca in Bangladesh è cresciuta. Oltre ai 21 disabili mentali residenti, altre 20 vengono giornalmente per condividere alcune attività, e altre 20 ancora vengono raggiunti a domicilio.

All’interno delle comunità dell’Arca viene dato molto valore al momento della festa. «Le persone con disabilità mentali, soprattutto gravi, faticano a dare attenzione continuativa alle attività proposte – spiega padre Cagnasso -. La celebrazione invece è percepita da tutti in modo immediato: il canto, la danza, la festa vengono assorbite “dalla pelle” e mettono subito in relazione. Così i membri della comunità celebrano tutte le ricorrenze delle varie tradizioni religiose, gioiscono, vedono positivamente la differenza dell’altro. Quando vai a trovarli ti si buttano fra le braccia per baciarti e abbracciarti. L’unico linguaggio che capiscono è quello dell’amore, per questo ci portano verso Dio».

In Bangladesh, anche a grazie a queste esperienze, si stanno facendo progressi rispetto all’accoglienza delle persone disabili. Padre Franco racconta un piccolo episodio significativo: «I nostri ragazzi con disabilità fisiche della casa di Rohanpur ora frequentano la scuola pubblica. All’inizio è stato difficile. Con una ragazza in sedia a rotelle abbiamo girato parecchie scuole superiori prima di trovarne una che la accettasse. Alla fine una ha detto di sì, però il preside e alcuni insegnanti erano contrari. Il primo giorno alla ragazza e alla suora che l’accompagnava è stato detto che l’aula si trovava al terzo piano di una struttura senza ascensore. La suora ha provato a chiedere un cambio di classe, ma le è stato risposto che la situazione non era modificabile. Nei primi giorni di scuola questa ragazza, testarda, si è messa a salire i tre piani di scale sedendosi su un gradino alla volta, fino ad arrivare in aula. Dopo pochissimo tempo i compagni di scuola hanno cominciato a fare a gara per portarla su in braccio. L’anno successivo la sua classe è stata spostata al primo piano. E quando ha terminato il ciclo di studi è stato chiesto alla suora di mandare qualche altra persona come lei, perché la sua presenza era stata positiva e aveva provocato un cambiamento di mentalità in tutta la scuola».

Naomi Iwamoto, la responsabile dell’Arca, dopo un lungo percorso spirituale ha deciso di diventare cattolica. «Anche questo è stato un segnale ecumenico molto bello – spiega padre Franco -. È tornata in Giappone e ha spiegato ai responsabili della sua chiesa evangelica le motivazioni della sua decisione, e le hanno dato la benedizione. È entrata formalmente nella chiesa cattolica con una cerimonia che si è svolta in Giappone presso una chiesa dei gesuiti, e qualcuno della comunità evangelica era presente».

Nel frattempo in Bangladesh è nato anche un gruppo “Fede e luce”, da un bengalese con un figlio disabile. «Si chiama Dominique Rosario, è cristiano. Mi raccontava di essere stato arrabbiato con Dio per anni, perché avrebbe voluto fare tante cose per la Chiesa ma l’assistenza quotidiana al figlio glielo impediva – racconta ancora padre Cangasso -. Nel 1993 Jean Vanier è venuto qui in Bangladesh e per Dominique è stata una specie di folgorazione. Si è convertito, si è pacificato con sé stesso e con Dio e gradualmente la sua casa è diventata un punto di riferimento per altre famiglie».