Quando la scuola apre sentieri di libertà

EDITORIALE
Seiha oggi è in Belgio a completare il suo master. Il Leone ha fatto il suo ruggito

 

In un Paese come il nostro si dà per scontato il ruolo fondamentale dell’istruzione e della formazione delle giovani generazioni. Ma non sempre è così nei contesti più poveri, non solo per l’inadeguatezza delle strutture e del sistema scolastico, ma talvolta anche per la mancanza di una cultura che ne riconosca l’importanza fondamentale per l’uomo e per la società. Quel che manca pesso è proprio il riconoscimento del diritto dei più giovani a ricevere un’istruzione che permetta loro di avere le giuste opportunità nella vita.

Negli anni in cui sono stato parroco nella periferia di Phnom Penh in Cambogia ero solito fare visite settimanali in una baraccopoli situata su una striscia di terra lunga e stretta che si insinua nel lago Tompùn, dove si riversano gli scarichi della città. Improbabili palafitte cercano a stento di sollevarsi al di sopra del putridume delle acque nere che inondano la baraccopoli per almeno quattro mesi l’anno. Giravo a piedi o in barca, a seconda delle stagioni, visitando famiglie e incontrando malati. Soprattutto, però, cercavo di mandare bambini e ragazzi a scuola: nome, cognome, benestare dei genitori erano le poche cose necessarie per far partire percorsi di istruzione, ma anche cammini potenziali di pace e di libertà.

Un giorno sbuca letteralmente fuori da una casupola un ragazzo, Seiha (Leone), di 13 anni, occhio vispo e fossette sulle guance. Col fiatone per la corsa mi dice: «Padre, voglio andare a scuola». Un po’ frastornato da questa furia, mi guardo intorno e vedo arrivare una donna, la zia. Seiha è orfano e vive con lei e la sua famiglia in una palafitta alquanto precaria. In mezzo al pattume e alle acque maleodoranti è sbocciato un fiore, lo raccolgo e lo appoggio sulla scrivania della maestra che in parrocchia segue questi casi. E così Seiha va a scuola, e quasi scompare dall’orizzonte; lo vedo di tanto in tanto in parrocchia, dove rimane una presenza sfumata. Gli anni passano, il vescovo mi destina in una nuova missione. Di Seiha, come di tanti altri, perdo le tracce.
Un giorno il cellulare sveglia il ricordo: «Padre, un giovane del lago ti sta cercando. Ha bisogno che gli firmi un documento». Lo contatto, capisco che è lui; ormai ha 21 anni. Mi dà appuntamento in una caffetteria alla moda in città. Mi parla in ottimo inglese; non usa il khmer, vuole dimostrarmi che i soldi spesi per lui sono andati a buon fine e io sto al gioco. «Padre – dice – ho bisogno di una firma per una borsa di studio in Europa; vado per un master». Leggo i documenti e vedo che alla voce “religione” scrive: cattolico. Dico: «Seiha tu sei buddhista». «Sì, padre, ma senza di voi sarei ancora in mezzo al pattume del lago». «Ti ringrazio di cuore caro Leone, ma scrivi pure “buddhista”».

Seiha oggi è in Belgio a completare il suo master. Il Leone ha fatto il suo ruggito: non ha rabbia in corpo, è in pace con se stesso e gli altri e corre libero per la savana del mondo.