Prigione Turchia

Prigione Turchia

Il governo turco è diventato il baluardo anti-immigrazione verso l’Europa. A spese di milioni di profughi siriani bloccati in questo Paese senza diritti e con poche prospettive. Ecco come vivono

«I siriani in Turchia sono protetti in modo transitorio. Li aiutiamo e garantiamo loro i servizi essenziali, ma in qualche modo li sopportiamo. Non a caso viene sempre sottolineata la temporaneità dell’accoglienza». è quanto afferma il professor Murat Erdogan, direttore del Centro di Ricerca sull’Immigrazione e sulla Politica dell’Università di Hacettepe (Ankara).

La Turchia ospita attualmente circa 2 milioni 800 mila profughi siriani. Se a questi si aggiungono quelli non registrati, il loro numero sul territorio turco supera i tre milioni. Solo a Istanbul sarebbero quasi 400 mila. Il governo turco riconosce a tutti loro una “Temporary Protection” che garantisce il diritto legale a rimanere nel Paese e l’accesso ad alcuni servizi di base. Il tutto, appunto, temporaneamente.

Questa situazione impedisce ai cittadini siriani, generalmente istruiti, di progettare un futuro in Turchia o la possibilità di ottenere un lavoro dignitoso. Per questo sognano un futuro in altri Paesi. Il professor Erdogan è convinto che la popolazione turca non abbia ben chiare la complessità della situazione, né la dimensione del problema: «A Istanbul, la gente si lamenta per le persone che chiedono l’elemosina in strada, ma nessuno si preoccupa delle loro reali condizioni di vita».

Sul territorio della Turchia sono stati allestiti 26 campi profughi. Ma i siriani che ci vivono sono solo l’8% del totale. Il vero problema sono i “profughi delle metropoli” che vivono fuori dai campi.

Bagcilar con i suoi quasi 758 mila abitanti è la municipalità più popolosa di Istanbul. Già interessata da una forte corrente migratoria dalle regioni orientali della Turchia, oggi ospita molti cittadini siriani che hanno dovuto abbandonare il Paese d’origine a causa della guerra. Qualcuno di loro è riuscito a creare micro-attività economiche: piccoli negozi di alimentari, locande, pasticcerie. La maggior parte è costretta a lavori saltuari.

Izat Bakir ha cinque figli e ad Aleppo lavorava nel settore dell’edilizia. Due anni fa è arrivato in Turchia con la moglie e i cinque figli. A Istanbul lavora in una fabbrica di fiori. «I siriani in Turchia non hanno il diritto di cittadinanza. Siamo cittadini di “serie B” e questo ci causa tutta una serie di problemi – ha detto al quotidiano indipendente Bianet -. Quando vado in un ospedale pubblico non mi accettano perché non ho la carta d’identità turca. Siamo costretti ad andare negli ospedali privati, ma sono costosi e noi non abbiamo i soldi necessari».

A fare il punto sulle condizioni dei rifugiati siriani in Turchia è stato di recente un rapporto elaborato dall’Unione dei medici turchi (Ttb) dal titolo “La guerra, l’immigrazione e la salute”. Dall’indagine emergono problemi sanitari legati alla mancanza di medicinali e di integratori, all’anemia, alle gravidanze a rischio, agli aborti, alle complicazioni neonatali, alle malattie croniche. Sono diffusi diarrea, meningite, tifo, rosolia, tubercolosi, epatite. Presenti anche infezioni che si trasmettono attraverso i rapporti sessuali (Aids). Da non sottovalutare infine i casi di violenza sessuale e la diffusione di malattie psichiche, quali la depressione, l’ansia per il futuro, il disturbo del sonno, lo stress post traumatico.

Oltre ai problemi sanitari, i rifugiati siriani in Turchia devono affrontare una serie di difficoltà legate alla vita quotidiana: la diseguaglianza sociale, la povertà, le condizioni pessime di vita e di lavoro, la violenza individuale e istituzionale, la clandestinità, l’isolamento, lo sfruttamento fisico e salariale, la mancanza di diritti essenziali. A ciò si aggiungono la non conoscenza della lingua, la differenza culturale, la discriminazione che impedisce loro di usufruire di servizi sanitari adeguati, la violenza sessuale, i traumi vissuti, la preoccupazione per il futuro, la questione delle spose bambine. I profughi che vivono nei campi potrebbero aspirare a una sistemazione abitativa autonoma, ma manca il sostegno del governo turco e delle associazioni no profit internazionali. «La guerra in Siria e tutto ciò che stanno continuando a vivere il popolo e i profughi siriani sono in contraddizione con quelli che noi abitualmente definiamo diritti umani» è la pesante conclusione di Necdet Dedeoglu, che firma l’introduzione al rapporto della Ttb.

Ma chi sono e che profili hanno i profughi siriani in Turchia? Possono essere divisi in quattro gruppi. Il primo è costituito dalla classe media siriana: si tratta in prevalenza di professionisti, che vivono fuori dai campi e hanno uno standard di vita medio-alto. Il secondo è composto da operai stagionali che lavorano per pochi soldi, il cui sogno è crearsi un futuro in Turchia o emigrare in Europa. Al terzo gruppo appartengono coloro che non vivono nei campi né negli appartamenti in affitto e che cercano di raggiungere l’Europa attraverso la Grecia partendo dalle città costiere lungo l’Egeo. Fanno parte infine del quarto gruppo i siriani che vivono in strada, sono senza casa e lavorano con salari molto bassi.

l governo turco sottolinea che gli immigrati siriani non possono essere accolti come rifugiati, ma come semplici “profughi temporanei”. Potrebbe quindi in qualunque momento decidere di rimpatriarli nel loro Paese d’origine o di espellerli verso un altro Paese. Senza incorrere in eventuali sanzioni legali. «I siriani presenti in Turchia non sono “rifugiati” ma “ospiti”. Ciò non significa che i turchi siano ospitali. Dietro la parola “ospite” si nasconde un grande inganno», afferma Musa Özugurlu, ex corrispondente in Siria della Radio Televisione Turca.

I mass media turchi non scrivono delle difficoltà vissute quotidianamente dai profughi siriani. Non parlano delle loro tristi condizioni di vita, dello sfruttamento sui luoghi di lavoro, delle ragazze costrette a prostituirsi, dei casi di violenza sessuale. Sembra di vivere in un reality show sulla bella vita dei siriani in Turchia. Secondo Musa Özugurlu, «questo stato di cose è il frutto della politica ondivaga del premier Erdogan, che ha favorito l’arrivo in Turchia di milioni di profughi, facendoli diventare un elemento di forza, se non di ricatto, nei rapporti con l’Europa e strumentalizzandoli per fini politici interni. La soluzione della crisi siriana sarebbe più semplice se la Turchia mettesse fine, come ora sembra voler fare, all’ambiguità nei confronti del terrorismo islamico». Kuvvet Lordoglu, professore di Economia del lavoro presso l’Università di Marmara, ha indagato la situazione lavorativa dei profughi. I dati della sua ricerca hanno evidenziato la diffusione di forme di sfruttamento della forza lavoro siriana. La maggior parte è occupata nei settori dell’edilizia e dell’agricoltura e nella stragrande maggioranza dei casi è costretta a lavorare per salari bassissimi. Tra gli occupati sono prevalenti le donne e i bambini. La professoressa Sevket Özvaris, della Facoltà di Medicina dell’Università di Hacettepe, ha curato la parte relativa alle violenze sessuali di un dossier sulle condizioni di salute delle donne siriane. Dalla sua ricerca emerge come spesso siano vittime di violenze sessuali multiple. Per aiutarle servirebbe un supporto psicologico nel rispetto della loro privacy. Purtroppo l’assistenza sanitaria è limitata e la maggior parte delle cittadine siriane non hanno accesso ai servizi sanitari.

Preoccupante è anche la condizione dei bambini e dei giovani siriani che in Turchia non hanno tutele adeguate, specialmente quelli che vivono fuori dai campi senza i genitori, sottolinea la professoressa Mehtap Türkay, della Facoltà di Medicina di Akdeniz: «Come minimo – afferma – andrebbero vaccinati e stimolati alla frequenza scolastica. La scuola dell’obbligo dura in Turchia 12 anni e dovrebbe essere garantita anche ai bambini siriani. Andrebbero in particolare protette le bambine, spesso vittime di violenza sessuale».

Ahmet Rasit, 18 anni, vive ad Afrin in un appartamento seminterrato con altri giovani siriani. Ha otto fratelli e non vede la famiglia da quando è arrivato in Turchia: «Vorrei andare in Siria per portar fuori i miei genitori e i miei fratelli, perché da noi non c’è lavoro – dice -. Ma andare dalla Turchia in Siria è costoso: bisogna pagare 500 dollari, e il percorso inverso costa il doppio. Anche nelle situazioni più drammatiche c’è chi specula sulla nostra pelle. Alcuni dei miei amici sono andati in Europa, ma si sono pentiti. Anche in Europa la vita è molta dura. Da lontano tutto appare bello, ma non è così»