Thailandia, la corsa a ostacoli verso le elezioni

Thailandia, la corsa a ostacoli verso le elezioni

Se il governo ha fatto capire che il potere militare uscirà comunque vincente dalle elezioni in programma tra un mese, proprio il ruolo delle forze armate sta diventando centrale nella campagna elettorale

 

Diventa sempre più di difficile lettura per via delle tante zone d’ombra il percorso elettorale verso il voto del 24 marzo in Thailandia, ennesima data proposta in un quinquennio dal colpo di stato militare del maggio 2014.

A questo punto, è difficile pensare a un altro rinvio, visto che è stata annunciata già per il prossimo maggio l’incoronazione del sovrano, il principe Maha Vajralongkorn, erede di re Bhumibol Adulyadej (Rama IX) deceduto nell’ottobre 2016. Un rinvio porterebbe quindi molto in avanti la nuova scadenza con gravi rischi, inclusa un’opposizione crescente e meno controllabile ai progetti dell’attuale ladership non eletta e legittimata solo da una costituzione scritta nelle caserme e imposta sulla popolazione.

Rinvio non prevedibile anche perché il regime in carica, composto di militari, ex militari e esponenti di gruppi conformi al percorso ventennale con cui le forze armate vorrebbero riportare pace e unità al paese, ha predisposto tutto il possibile per garantire ai generali il controllo assoluto e all’attuale premier e ex generale golpista Prayuth Chan-ocha di diventare capo del governo anche se il partito filo-militare creato per l’occasione dovesse andare incontro a una sconfitta.

L’opposizione, silenziata e sottoposta al divieto di riunione e di espressione e alle cui rappresentanze politiche solo nelle ultime settimane è stata consentita una limitata forma di propaganda elettorale, è a sua volta divisa, anche se non su linee nette, tra movimenti ispirati all’esperienza dell’ex premier Thaksin Shinawatra – ora in esilio e condannato per corruzione, dopo aver vinto le tornate elettorali dell’ultimo ventennio ma in rotta di collisione con i poteri forti del Paese (monarchia, aristocrazia e militari) – e gli indipendenti che, appoggiandosi su personalità nuove e non toccate da scandali o accuse di interessi personali nel voto, cercano uno spazio e un consenso difficili da ottenere. Il partito più antico, quello Democratico, collettore dei voti della classe media e delle élite concentrate a Bangkok, potrebbe uscire pesantemente ridimensionato, pagando così la mancanza di programmi e il costante perseguimento dello status quo.

Se il governo ha fatto capire che il potere militare uscirà comunque vincente dalle urne, proprio il ruolo delle forze armate sta diventando centrale nella campagna elettorale. Sotto la lente di ingrandimento sono la loro intoccabilità, l’elevatissimo numero di generali (cinque volte più che negli Usa), la coscrizione obbligatoria, le spese in armamenti opinabili sia perché il Paese manca di nemici (ancor più nei vicini parte della stessa associazione regionale Asean) sia per il costo imposto sul bilancio statale, quasi raddoppiato in un quinquennio. Alle critiche dei giornalisti e degli oppositori, il generale Apirat Kongsompong, comandante in capo dell’esercito ha risposto minacciando un nuovo colpo di stato militare e imponendo alle radio militari di far passare per due volte al giorno la canzone Nak Phandin (Fardello per la patria)

Ha fatto poi parzialmente marcia indietro, confermando il provvedimento solo per una volta al giorno e nelle caserme. Non un qualunque prodotto della scena musicale locale, Nak Phandin, ma composto e diffuso come inno anti-comunista all’inizio degli anni Settanta, in un tempo in cui il Paese, alleato degli americani, temeva di diventare il prossimo obiettivo del “contagio” comunista e che è associato a uno dei momenti più bui della storia recente della Thailandia. Si tratta del massacro del 6 ottobre 1976, quando paramilitari e nazionalisti vennero scatenati contro gli studenti  che chiedevano la fine – anche allora – del regime militare. Nak Pandin divenne la colonna sonora della repressione che portò a orrori ancora oggi incisi nella memoria collettiva e al massacro (secondo i dati ufficiali) di 46 studenti, in maggioranza all’interno dell’università Thammasat.

Giunta al diciannovesimo colpo di stato e al dodicesimo riuscito dal 1932, divisa, ineguale e bloccata nel suo sviluppo sociale e culturale dalle continue ingerenze militari, la Thailandia vivrà settimane intense. Molto dipenderà per il suo futuro dai risultati del voto o dalla loro accettazione delle parti in causa.