AL DI LA’ DEL MEKONG
Un anno in Cambogia, perché no?

Un anno in Cambogia, perché no?

Una legislazione favorevole, un’atmosfera aperta, un desiderio nel cuore, una libertà interiore, possono certo bastare a partire…

 

Jean-Baptiste, dopo un anno speso con noi a Pka Doung (Cambogia), insegnando inglese nella nostra scuola media, sta facendo le valigie per tornare in Francia. Dicembre 2017 –  dicembre 2018, un anno, gomito a gomito e tutto agli inizi, la missione, la scuola, io, lui, la nostra vita in comune, in questo villaggio remoto del sud-est asiatico. Classe 1993, laureato in Economia e Commercio, Jean-Baptiste è un giovane come tanti altri, ma se ne parlo è solo per gratitudine e per suscitare in altri giovani il desiderio di spendere del tempo qui da noi. Un anno in Cambogia, perché no?

Dopo la maturità, Jean-Baptiste si iscrive alla facoltà di Economia e Commercio di St. Etienne. Completato il triennio decide di andare per un anno in Gran Bretagna, a Wrexham nel nord del Wales, agevolato dal fatto che per una simile esperienza di studio all’estero lo Stato britannico avrebbe coperto la metà delle spese. Perfeziona l’Inglese e quando, un anno dopo rientra in Francia, si iscrive ad una università privata a Rouen, dove i suoi genitori si sono trasferiti da poco. Pur appoggiandosi a loro per il vitto e l’alloggio, Jean-Baptiste deve fare un prestito presso una banca e pagarsi la retta universitaria per il proseguo degli studi. Altri due anni! «I miei genitori avrebbero potuto aiutarmi – mi racconta – ma con altri figli a carico hanno preferito che mi arrangiassi con quel prestito a mio nome». Di fatto, per un anno si arrangia ma nell’approssimarsi del secondo anno decide di intraprendere un’esperienza di internship fatta di studio e lavoro per usufruire di un’altra agevolazione. L’azienda infatti, in cambio, gli avrebbe pagato la retta del secondo e ultimo anno di specialistica. Comincia presso la Logista France, dall’agosto del 2016 fino allo stesso mese del 2017. Al termine dell’internship i suoi capi decidono di assumerlo con contratto indeterminato e lui accetta. Deve pagare il debito contratto con la banca per le spese del primo anno di università a Rouen, avrebbe avuto la garanzia di un posto di lavoro, ma… a due mesi dalla firma del contratto decide di licenziarsi e partire per la Cambogia.

 

Jean-Baptiste (al centro) in Cambogia

 

Si rivolge alle Missioni Estere di Parigi (MEP) per la preparazione alla partenza che avviene pochi mesi dopo, nel dicembre del 2017. «Prima di partire, per incoraggiarmi, i miei capi mi hanno assicurato che al ritorno in Francia mi avrebbero ripreso. Anche loro hanno contribuito a fare traboccare il vaso fino a qui…». Deciso a fermarsi almeno un anno, avrebbe usufruito di un’altra agevolazione, la Caisse des français á l’étranger, attraverso la quale lo Stato francese garantisce una copertura assicurativa al volontario per qualsiasi inconveniente. Nel marzo del 2018 il nonno paterno muore. L’assicurazione avrebbe garantito il viaggio di andata e ritorno in Francia se non fosse che Jean-Baptiste si era già congedato dal nonno prima di partire, consapevole del fatto che il suo grand-père era ormai prossimo al Cielo. Il volontario internazionale in Francia, se trascorre almeno un anno di servizio all’estero, gode di uno status speciale. Non é solo agevolato dalla copertura assicurativa, ma quell’anno di servizio viene considerato come un anno di lavoro ai fini pensionistici.

Le Missioni Estere di Parigi inviano ogni anno circa 150 volontari come Jean-Baptiste, in Cina, Vietnam, Korea, Cambogia, Thailandia,… E per coloro che vi si dedicano per almeno un anno sono assicurano il biglietto aereo di andata e ritorno. Ho ospitato questi volontari dal 2005 e ho sempre incontrato persone giovani e motivate, facili ad adattarsi, veloci nell’imparare lo Khmer, easy-going people direbbero gli inglesi! Alcuni di loro rientrati in Francia hanno fatto la scelta della missione per la vita.

Il contesto favorevole, la stima e l’apertura dei suoi datori di lavoro, il favore dello Stato con la copertura assicurativa, i MEP di Parigi attivi sul fronte del volonatariato, la sua predisposizione, hanno certamente concorso alla sua scelta di partire. Ma a monte di tutto ci sta il desiderio. Il suo desiderio di vita. Concordo con il fatto che il desidiero ad un certo punto decide di me, «mi ustiona, mi sconvolge, mi rapisce, mi entusiasma, mi inquieta, mi anima, mi strazia, mi potenzia, mi porta via».[1]

Grazie a Jean-Baptiste ho riletto I tre moscettieri di Alexandre Dumas. D’Artagnan, intenzionato a partire per diventare moschettiere si congeda prima dal padre, «il signor D’artagnan padre cinse al figlio la sua propria spada,lo baciò affettuosamente sulle guance e gli diede la benedizione». Ma – continua Dumas – «gli addii con la madre furono molto più lunghi e affettuosi che col padre… Ella pianse molto, e, diciamolo a onore di d’Artagnan figlio, per quanti sforzi facesse per essere forte come doveva esserlo un futuro moschettiere, la commozione lo vinse». E nondimeno, «lo stesso giorno il giovane si mise in viaggio, munito dei tre doni paterni». Una legislazione favorevole, un’atmosfera aperta, un desiderio nel cuore, una libertà interiore, possono certo bastare a partire.

[1] M. Recalcati, Ritratti del desiderio, Milano 2012, 28.