AL DI LA’ DEL MEKONG

Ground Zero: la necessaria limitazione del potere

IL COMMENTO
Archiviate l’emozione e anche un po’ di retorica che cosa ci lasciano in eredità gli storici discorsi di papa Francesco all’Onu e al Congresso degli Stati Uniti?


Ground Zero, «dove il dolore è palpabile», potrebbe raccogliere le parole pronunciate da papa Francesco nei suoi discorsi al Congresso e all’Assemblea Generale delle Nazioni Unite. La visita al Memorial ha rappresentato una discesa nella ferita ancora aperta, non solo del popolo amerciano, ma del mondo intero. Perché a Ground Zero si sono infrante le pretese di un potere assoluto che il papa, nel discorso all’Assemblea Generale, ha chiesto di limitare.

Se l’immane compito della Nazioni Unite «può essere visto come lo sviluppo e la promozione della sovranità del diritto», solo attraverso una generale «limitazione del potere» si potrà passare da un insieme di «Nazioni unite dalla paura e dalla sfiducia» all’edificazione della «casa comune» che «deve continuare a sorgere su una retta comprensione della fraternità universale e sul rispetto della sacralità di ciascuna vita umana, di ciascun uomo e di ciascuna donna; dei poveri, degli anziani, dei bambini, degli ammalati, dei non nati, dei disoccupati, degli abbandonati, di quelli che vengono giudicati scartabili perché li si considera nient’altro che numeri di questa o quella statistica». Al contrario – ha continuato il papa – «una brama egoistica e illimitata di potere e di benessere materiale, conduce tanto ad abusare dei mezzi materiali disponibili quanto ad escludere i deboli e i meno abili»» e a generare una sistematica «cultura dello scarto». Nel suo discorso all’Assemblea Generale, papa Francesco ha menzionato problemi e Paesi che attendono un intervento condiviso, ha smascherato menzogne e ipocrisie di ordine ideologico e sistemico, ha raccomandato di intervenire in fretta perché, mentre noi discutiamo, «nelle guerre e nei conflitti ci sono persone, nostri fratelli e sorelle, uomini e donne, giovani e anziani, bambini e bambine che piangono, soffrono e muoiono».

All’alto profilo del suo intervento con la raccomandazione di garantire a tutti «casa, lavoro e terra», ma anche «un nome a livello spirituale», «che comprende la libertà religiosa, il diritto all’educazione e gli altri diritti civili», papa Francesco ha raccomandato il necessario pragmatismo. Perché, «limitarsi all’esercizio burocratico di redigere lunghe enumerazioni di buoni propositi – mete, obiettivi e indicatori statistici –, o credere che un’unica soluzione teorica e aprioristica darà risposta a tutte le sfide», porterà al fallimento dei piani previsti dall’“Agenda 2030 per lo Sviluppo Sostenibile”.

Aveva espresso lo stesso alto profilo trascendente anche al Congresso quando aveva indicato Mosè come modello per senatori e membri della camera dei rappresentanti. «A voi – aveva detto Francesco – viene richiesto di proteggere, con gli strumenti della legge, l’immagine e la somiglianza modellate da Dio su ogni volto umano». Come Mosè. Un paragone che ha scosso le coscienze: tutti hanno intuito che la politica è una responsabilità, quindi una vocazione.

L’attacco terroristico di cui Ground Zero è triste memoria aveva innescato un’escalation di violenza che ora possiamo considerare inutile e sterile. Di fronte al Congresso il papa si è permesso di allertare tutti contro un «semplicistico riduzionismo che vede solo bene o male, o, giusti e peccatori». Troppe guerre, infatti, sono state giustificate dall’urgenza di eliminare il dittatore di turno, il terrorista minaccioso. Spesso campagne mediatiche premeditate hanno demonizzato la realtà e creato il consenso necessario per agire, illudendoci che l’eliminazione del nemico sarebbe stata la soluzione. Il recente impegno bellico statunitense in Medio Oriente e in Libia a quale esito ha portato? Esportare la democrazia? Tutto inutile perché «imitare l’odio e la violenza dei tiranni e degli assassini è il modo migliore di prendere il loro posto». Di qui la domanda diretta che il papa ha posto al Congresso sul problema della produzione e del commercio di armi: «perché armi mortali sono vendute a coloro che pianificano di infliggere indicibili sofferenze a individui e società? (…) Come tutti sappiamo, è semplicemente per denaro: denaro che è intriso di sangue, spesso del sangue innocente (…) è nostro dovere affrontare il problema e fermare il commercio di armi». C’è una pena capitale che agisce dentro i propri confini, dentro i propri corpi, e una pena che viene esportata in forme e strumenti che assomigliano ad un’implicita quanto sicura condanna a morte. Gli Stati Uniti sono i primi esportatori di armi al mondo. Con la Russia, sono responsabili del 60 per cento delle armi in circolazione a livello mondiale. Citando Thomas Merton, sempre al Congresso, ha messo in guardia gli Stati Uniti contro la propria stessa violenza. «Libero per natura, immagine di Dio» eppure – scrive Merton – ero «prigioniero della mia stessa violenza e del mio egoismo, a immagine del mondo in cui ero nato. Quel mondo era il ritratto dell’Inferno, pieno di uomini come me, che amano Dio, eppure lo odiano (…)».

Dalla preghiera a Ground Zero si può invece ripartire. Con il necessario «riconoscimento di una legge morale inscritta nella stessa natura umana, che comprende la distinzione naturale tra uomo e donna e il rispetto assoluto della vita» e con l’attuazione dei pilastri dello sviluppo umano integrale «abitazione propria, lavoro dignitoso e debitamente remunerato, alimentazione adeguata e acqua potabile; libertà religiosa e, più in generale, libertà dello spirito ed educazione».

Senza tali premesse «l’ideale di “salvare le future generazioni dal flagello della guerra” (Carta delle Nazioni Unite, Preambolo) e di “promuovere il progresso sociale e un più elevato livello di vita all’interno di una più ampia libertà” (ibid.) corre il rischio di diventare un miraggio (…) parole vuote che servono come scusa per qualsiasi abuso e corruzione, o per promuovere una colonizzazione ideologica mediante l’imposizione di modelli e stili di vita anomali estranei all’identità dei popoli (…). A tal fine bisogna assicurare il dominio incontrastato del diritto e l’infaticabile ricorso al negoziato, ai buoni uffici e all’arbitrato, come proposto dalla Carta delle Nazioni Unite, vera norma giuridica fondamentale».

La ricchezza di tali storici discorsi è fatta di parole, ma anche di gesti semplici come la preghiera e la benedizione impartita alla folla, particolarmente ai bambini che lo attendevano all’esterno del palazzo del Congresso. In quel momento erano evidenti, visibili a tutto il mondo, le lacrime di John Boehner, speaker repubblicano della Camera dei Rappresentanti. O la rosa bianca posata da Francesco su alcuni dei nomi delle vittime incisi sul parapetto che circonda Ground Zero e protegge dal cadere, ancora, nel baratro lasciato dalla strage dell’11 settembre.