AL DI LA’ DEL MEKONG
«Muoverci dentro», al tempo del coronavirus

«Muoverci dentro», al tempo del coronavirus

Temo un aumento di cause legali contro autorità che si sono mosse in ritardo, medici considerati inadempienti, vicini che sono usciti di casa più di noi… e poi tanta rabbia che rimane inespressa


«Vola alta parola, cresci in profondità, 
…nel buio della mente –
…ti prego, … », M. Luzi

Penso alla clausura forzata in questi giorni di coronavirus, al non poter uscire e muoversi secondo una traiettoria orizzontale tipica delle cose di tutti i giorni. Si esce di casa, si va al lavoro o a scuola. Si passa di qua e di la, si compra qualcosa, si saluta un amico, si beve un caffé, si rientra a casa… Ora non più, e nondimeno rimangono un paio di traiettorie rimaste fuori dal controllo delle autorità. Fermi dove siamo, chiusi in casa, magari a occhi chiusi e cellulare spento, possiamo salire e scendere. Dentro di noi. Possiamo salire e chiedere a Dio di benedirci, intercedere per chi ha più bisogno di noi. Ma possiamo anche scendere in profondità e provare a capire chi siamo e che ci facciamo qui. «Dal profondo a te grido, o Signore…» (Sal 128).

Trovo che mettersi a scrivere aiuta a salire e scendere. La scrittura ha questo potere. Anche solo un sms, una mail, tanto più una lettera. La pagina è il luogo dove ragione e sentimento possono incontrarsi e trasformarsi reciprocamente. Dove pensieri sparsi e disarticolati, a tratti inconfessabili, incontrano e rispettano le regole della grammatica e diventano racconto, narrazione, relazione, trasfigurazione. «Scrivo – dice O. Pamuk – perché posso sopportare la realtà solo trasformandola» (1).

Salire e scendere dunque. Altezze e profondità. Sono, guarda caso, le dimensioni dell’anima. Sia pur fermi nella clausura di casa nostra e dei nostri cuori. Possiamo “muoverci dentro” salire e scendere, senza posti di blocco o divieti di sorta! «Vola alta parola, / cresci in profondità», «è un invito a tentare l’estremo della significazione, … fino al confine del visibile, ma, in questa ascensione, non separarsi dal sentire, dalla corporeità del sentire …» (2).

Di questi tempi abbiamo bisogno di persone che sappiano portare alla luce il mondo che ci abita dentro. Come un’ostetrica ci ha portati alla luce, così ci vorrebbe qualcuno di simile per la vita dell’anima, un «ostetrico della mia anima»! Etty Hillesum aveva definito così il signor Spier, suo psicoterapeuta negli anni prima della deportazione. Le aveva insegnato a pregare e aveva portato alla luce con il colloquio tutta l’interiorità di Etty. In questa non voluta riduzione degli spazi esterni, dobbiamo esplorare a dismisura gli spazi interiori. Scrive Etty: «La grande opera che [Spier] ha svolto sulla mia persona: ha dissotterrato Dio dentro di me e lo ha portato alla vita». «E adesso sarò io a continuare, scavando alla ricerca di Dio nel cuore di tutti gli uomini che incontrerò… [Spier è stato] l’ostetrico della mia anima» (3).

Sant’Agostino, nelle sue Confessioni, dice che la memoria dentro di noi è come un enorme santuario. E scrive: «Là dispongo di cielo e terra e mare insieme a tutte le sensazioni che potrei avere da essi […] Là incontro anche me stesso e mi ricordo degli atti che ho compiuto, nel tempo e nel luogo in cui li ho compiuti, dei sentimenti che ebbi compiendoli. Là stanno tutte le cose di cui serbo il ricordo, sperimentate di persona o udite da altri. […] Meravigliosa potenza della memoria […] troppo grande, Dio mio, un santuario vasto, infinito. […]» (4). Sono giorni in cui dobbiamo entrare in questo santuario, che vedo raffigurato da De Chirico nella sua opera Gli archeologi, figure ricche di secoli e di storia. Muoverci dentro e dare voce alla ricchezza interiore che ci abita. Fosse anche solo rumore… lo dobbiamo ascoltare.

Ricordare e trasformare sono verbi importanti in questo scendere e salire. Si scende per ricordare. Si sale per trasformare. Così è ancora Pamuk a suggerirci di quale trasformazione della memoria si sta parlando. Lui è uno scrittore e scrive per «trasformare l’altro, lo straniero, il nemico che abbiamo nella testa» (5), in uno simile a sé. La grande letteratura nasce dalla «nostra abilità di metterci nei panni dell’altro». «In questo modo, attraverso i buoni romanzi … gli altri diventano “noi” e noi gli “altri”» (6). Empatia e immedesimazione, contro il risentimento, queste sono le vie d’uscita. Soprattutto adesso che la pandemia trasforma tutti in potenziali untori, nemici e stranieri l’un per l’altro. Anche in casa. Temo un aumento di cause legali contro autorità che si sono mosse in ritardo, medici considerati inadempienti, vicini che sono usciti di casa più di noi… e poi tanta rabbia che rimane inespressa.

In questa clausura, per quanto ancora? Scendere e salire… Ricordare e trasformare… Perché tutti i nemici che abbiamo nella testa, riacquistino le sembianze di qualcuno simile a noi. Con la stessa fame, forse lo stesso virus, lo stesso desiderio di bene e di comunione che sentiamo potente. Se solo questo tempo ci insegnasse a non dare le colpe, a non fabbricarci nemici, capri espiatori o bersagli da colpire. Piuttosto, l’arte empatica dell’immedesimazione, allora questo tempo non sarebbe passato invano.

 

1. O. Pamuk, La valigia di mio padre, Torino 2007, 26.
2. A. Prete a questo link
3. Lettera dell’11 settembre 1942 e Diario, 24 settembre 1942.
4. Sant’Agostino, Le confessioni, Milano 1986, pp. 270-271.
5. O. Pamuk, La valigia di mio padre, 51.
6. Idem, 63 e 52.