La difficile quarantena della donne in Iraq

La difficile quarantena della donne in Iraq

Nel Paese l’isolamento sociale, anche se imposto per motivi di salute, è considerato disonorevole per una donna dalle famiglie più conservatrici che impediscono alle parenti di sottoporsi a tampone

 

Le donne in Iraq hanno un problema e si chiama quarantena. A riferirlo è l’Alta commissione per i diritti umani nel Paese che in un recente rapporto ha sottolineato le difficoltà che – oltre a quelle che toccano chiunque in queste settimane abbia a che fare con la pandemia – il mondo femminile sta affrontando per via del Coronavirus.

Le donne che sono state trovate positive al Covid-19 e che si sono ammalate, infatti, in molti casi non hanno potuto stare in isolamento o farsi curare in ospedale perché ogni misura sanitaria è impedita dalla famiglia. In particolare la quarantena che impone il distanziamento sociale e lascia le donne isolate – fuori casa e senza un parente-accompagnatore – è considerata talmente «disonorevole» che per evitare il problema molte donne sono costrette a non dichiarare alle autorità sanitarie i propri sintomi. 

Le cronache e i social media raccontano di famiglie che negano alle parenti la possibilità di sottoporsi a tampone e di uomini che arrivano addirittura a impedire fisicamente agli operatori sanitari di mettere in quarantena obbligatorie moglie e figlie. Sempre per opporsi alla misura nelle scorse settimane ci sono state persino proteste fuori dagli ospedali.

Questo atteggiamento ovviamente influenza i numeri dei contagiati nei quali non rientrano le tante che per queste ragioni non fanno il test o ritardano il ricorso all’assistenza medica ben oltre la comparsa dei primi sintomi. In Iraq oggi i dati ufficiali parlano di 1.602 positivi al Covid-19 su una popolazione di oltre 38 milioni di persone ma le cifre sembrano ben lontane dalla situazione reale.

Anche se le donne sono le più colpite, lo stigma sociale legato alla quarantena e alla malattia riguarda l’intero Paese. Il pregiudizio è ancorato a credenze culturali e religiose secondo cui la malattia sarebbe un disonore di chi l’ha contratta: perciò tante famiglie hanno persino rifiutato che le salme dei propri cari, defunti per cause diverse al Coronavirus, venissero poste nella stessa camera mortuaria delle vittime di Covid-19.

«È una situazione molto difficile per la nostra società» ha spiegato al New York Times un medico del distretto sanitario di Najaf, nel sud dell’Iraq, che ha raccontato anche come gli uomini che va a visitare gli chiedano di non parcheggiare la macchina davanti alla loro casa per non guastare la buona reputazione della famiglia.

Mentre per superare lo stigma e contrastare questa tendenza sui social è nato l’hashtag in arabo “epidemia di ignoranza”, il Ministero della salute iracheno ha deciso di sottoporre la popolazione a test a campione. Da un lato questo sistema – messo in pratica dal personale medico con l’aiuto delle forze dell’ordine – permetterà di avere un quadro più accurato del contagio, dall’altro però rischia di complicare ulteriormente le cose visto che chi solo viene visto sottoporsi a un tampone rischia una pubblica condanna.