In Perù il Coronavirus si diffonde in miniera

In Perù il Coronavirus si diffonde in miniera

Nel giorno in cui ricorrono i cinque anni dalla pubblicazione dell’enciclica «Laudato Sì» dal Perù una testimonianza su come anche nell’emergenza Covid19 in alcune aree del mondo calpestare il creato per lo sfruttamento delle risorse naturali richieste per la «ripartenza» dell’economia globale resti una priorità più importante della salute dei fratelli

 

Se calpesti il creato molto presto finirai anche per calpestare il tuo fratello. Quando penso all’enciclica «Laudato Sì» – di cui oggi ricorrono i cinque anni dalla pubblicazione – a me piace riassumerla così. Perché il rischio altrimenti è sempre quello di non capire. Di fermarsi a qualche generica affermazione sulla necessità di «non inquinare troppo» l’ambiente. Quando invece «Laudato Sì» è un grande testo che parla della giustizia nel mondo di oggi; un documento che ci racconta che «tutto è collegato» e che dunque non si può sognare davvero un Green New Deal senza porsi la questione della sua dimensione planetaria. Prima ancora che alle nostre città – infatti – è ai poveri delle periferie del mondo che dovremmo pensare quando ci interroghiamo sulla «casa comune» che in nome della sete di materie prime dell’economia globale stiamo loro strappando.

Proprio l’emergenza Coronavirus che stiamo vivendo in queste settimane lo sta mostrando in maniera chiara. E non solo per gli studi che stanno indagando il legame tra i livelli di presenza delle polveri sottili nell’aria che respiriamo e la diffusione dell’epidemia. La verità è che anche in questa esperienza terribili ci sono contesti in cui – come dice Papa Francesco – è la nostra economia a uccidere per mano del Covid19. Lo si vede chiaramente in una notizia arrivata ieri dal Perù, dove un documento riservato del governo ha sollevato il velo sulle miniere dove non c’è lockdown e si continua a lavorare, nonostante il Paese sia oggi tra i più colpiti al mondo dal Coronavirus.

I dati ufficiali a ieri attribuivano al Perù 111.698 casi accertati e 3244 morti da Covid19. Rapportati alla popolazione rappresentano il tasso più alto di contagi di tutta l’America Latina: 349 malati ogni 100 mila abitanti. Tanto per fare un raffronto: è un dato molto simile a quello dell’Italia. Solo che in Perù in questa situazione fino ad ora si è continuato a far lavorare normalmente i minatori, scendendo persino nei tunnel delle miniere d’oro. Solo un paio di settimane fa è arrivato almeno un protocollo per la loro sicurezza, sulla cui applicazione effettiva esistono però dubbi molto seri.

Il risultato sono alcuni numeri raccolti in maniera riservata dal Ministero dell’Energia e delle Miniere e che sono stati pubblicati dalla Red Muqui, una rete di organizzazioni attive sul fronte della difesa dei diritti delle comunità locali interessate dalle miniere. I dati nelle mani del governo di Lima hanno censito ben 821 casi di lavoratori che hanno contratto il Coronavirus in miniera. Si ammalano per continuare a scendere nel cuore della terra ed estrarre oro, ferro o rame.

Alcune situazioni sono particolarmente eloquenti. Per esempio quella del distretto di Parcoy, sede della miniera d’oro del Consorcio Minero Horizonte: tra i lavoratori che scendono nei cunicoli sono ben 320 quelli contagiati dal Covid19. E nella regione di La Libertad questo centro minerario di appena 12mila abitanti è diventato il secondo luogo più colpito dal Coronavirus subito dopo la città di Trujillo, dove vivono 900 mila persone.

Altrettanto grave appare la situazione nelle miniere di ferro di Marcona nella regione di Ica. Qui la Red Muqui denuncia in particolare quanto sta avvenendo nell’impianto di proprietà del gruppo cinese Shougang: il mancato rispetto dei protocolli di sicurezza sta mettendo a rischio l’intera comunità locale che per la sua salute può contare solo su qualche container adibito a ospedale, senza nessun respiratore.

La chiamano estrattivismo in America Latina questa corsa alle ricchezze del sottosuolo che non si ferma davanti a niente e nessuno. Una corsa che quasi sempre ha a che fare con oggetti che – senza che nemmeno ce ne accorgiamo – finiscono nelle nostre mani. Un altro volto del mondo globalizzato di oggi che il Covid19 ci rivela in tutta la sua disumanità. Indicandoci l’urgenza di quella conversione a cui la Laudato Sì ci chiama tutti.