Il motore nascosto dell’economia mondiale

Il motore nascosto dell’economia mondiale

Al summit di Davos, che si chiude oggi in Svizzera, Oxfam ha presentato un rapporto che stima che il lavoro non pagato delle donne equivalga a 10.8 trilioni di dollari

Economicamente inattive? Non proprio. Al summit di Davos, che si chiude oggi in Svizzera, l’organizzazione non governativa Oxfam ha presentato un rapporto che stima che il lavoro non pagato delle donne equivalga a 10.8 trilioni di dollari. Avete letto bene: tre volte il valore del settore tecnologico mondiale.

In pratica, il lavoro non retribuito svolto in stragrande maggioranza dalle persone di sesso femminile – che comprende la cura dei figli, degli anziani, della casa, dell’ambiente, delle relazioni all’interno delle comunità – non solo ha un valore umano e sociale, ma è «il vero motore nascosto dell’economia», ha affermato Amitabh Behar, il direttore esecutivo di Oxfam India, che ha presentato il rapporto Time to care e i dati raccolti in tutto il mondo al Forum economico mondiale.

In pratica, se in una famiglia c’è chi può dedicarsi al lavoro a tempo pieno, quello “classico”, che genera profitto monetario, è perché c’è qualcun altro che glielo permette, e che lavora svolgendo tutte quelle mansioni alle quali non corrisponde una ricompensa in denaro.

Ma quello che si deduce da questi dati è qualcosa di più rispetto alla rivendicazione del valore economico del lavoro femminile. «Cura» è la parola che papa Francesco usa costantemente per designare un modello economico alternativo rispetto a quello predatorio, che ha come unico scopo la massimizzazione del profitto. Nel suo messaggio a Davos il Papa scrive che è la persona, non il potere o il profitto che va messa al centro delle politiche pubbliche. Perché siamo «tutti membri dell’unica famiglia umana» e da questo deriva «il dovere morale di prenderci cura gli uni degli altri». Allo stesso modo è la cura della nostra casa comune, la Terra che abitiamo, che condurrà a uno sviluppo umano veramente integrale, in armonia con il creato.

Le donne sono tradizionalmente portatrici e depositarie di una competenza, la cura, che non ha solo un valore economico  – per nulla irrilevante, tra l’altro, come si deduce dal dato di Oxfam -, ma che rappresenta il valore fondante di un modello alternativo al quale tutti insieme, uomini e donne, possiamo ispirarci per costruire un futuro più inclusivo dei diritti di tutti.

Certo, il tempo delle donne va liberato. Perché della cura c’è anche l’altro lato della medaglia: lo sfruttamento, la mancanza di istruzione e di opportunità che priva di diritti, la dipendenza e l’ineguaglianza. Ed è proprio su quest’ultimo problema che Oxfam ha puntato i riflettori. Secondo il report, l’attuale modello economico ha creato un’ineguaglianza ormai «fuori controllo».  

Nel 2019 i 22 uomini più ricchi avevano più ricchezza di tutte le donne africane. E solo 2.153 individui nel mondo possedevano più ricchezza di 4,6 miliardi di persone. Al vertice della piramide economica, migliaia di miliardi di dollari si concentrano nelle mani di un piccolissimo gruppo di persone, prevalentemente uomini; si tratta di ricchezze che, una volta consolidate, si alimentano da sole («solo denaro e niente lavoro», sintetizza Oxfam). Alla base della piramide c’è la situazione opposta: solo lavoro e pochissimo denaro. È ormai assodato che le donne lavoratrici, pur costituendola spina dorsale nelle famiglie dei lavoratori informali, sono i soggetti più poveri tra i poveri del mondo.

Il direttore di Oxfam India ha citato il caso di una donna indiana che si chiama Buchu Devi, che spende dalle 16 alle 17 ore al giorno in lavori come trasportare l’acqua dal pozzo che dista tre chilometri da casa, cucinare, preparare i suoi bambini per la scuola e svolgere una mansione lavorativa sottopagata. Sono milioni le donne in queste condizioni, soprattutto nei Paesi più poveri. Ma un’equa redistribuzione dei compiti di cura rispetto alle attività che generano reddito è un tema scottante anche in molti Paesi europei, Italia in primis.

La bella scoperta è che liberare il tempo delle donne e redistribuire in modo più equo i compiti legati alla cura farebbe bene a tutti, anche agli uomini e all’economia, e creerebbe più uguaglianza. A sostenerlo da tempo è la sociologa canadese Jennifer Nedelsky, che propone un modello lavorativo in cui sia gli uomini che le donne dedichino una parte del loro tempo al lavoro retribuito e una parte al lavoro di cura (dei figli, degli anziani, dell’ambiente, della società).

La costruzione di un modello di sviluppo più inclusivo passa anche e necessariamente dalla questione femminile. Il sogno – che discende dal messaggio del Vangelo e delle lettere di san Paolo – è che l’umanità possa smettere di essere una piramide e diventare un corpo, in armonia con il creato.