Papa Francesco nell’Africa ferita

Papa Francesco nell’Africa ferita

Breve, ma intenso. Soprattutto carico di gesti simbolici. Il viaggio del pontefice in R.D. Congo e Sud Sudan mostra una volta di più la sua attenzione per emarginati e fragili, senza dimenticare le ingiustizie che provocano tante violenze e sofferenze

Un Pontefice sofferente in una terra di grande sofferenza. Il ritorno in Africa di Papa Francesco non potrebbe toccare luoghi più afflitti dalla violenza dell’uomo e, talvolta, anche della natura. Kinshasa e Goma, in Repubblica Democratica del Congo, e Juba, in Sud Sudan, dal 2 al 7 luglio. Sono le tappe di un viaggio che si ricollega idealmente a quello in Repubblica Centrafricana, dove, nel 2015, nel mezzo di un conflitto e in condizioni di sicurezza molto precarie, Papa Bergoglio volle recarsi a ogni costo a Bangui per aprire la Porta santa dell’anno della misericordia, dopo essersi fermato in Kenya e Uganda. Ora è la volta di Kinshasa, enorme e caotica capitale della R.D. Congo, con i suoi 18 milioni di abitanti, una “calamita” per moltissimi congolesi che cercano un po’ di pace e trovano spesso solo miseria. Ma soprattutto Goma, capoluogo del Nord Kivu, e luogo-simbolo di tutto l’Est del Paese, che da troppi anni è afflitto da inaudite violenze e dall’inarrestabile saccheggio delle sue risorse. Dal 1994, da quando cioè il vicino Ruanda è stato travolto dal terribile genocidio, anche questa terra non conosce pace: il flusso di oltre un milione di profughi prima e poi le ribellioni che, a partire dal 1996, hanno portato alla caduta del trentennale regime di Mobutu Sese Seko, hanno introdotto elementi di violenza e destabilizzazione che si sono diffusi in questa vasta regione come metastasi di un cancro difficile da debellare. Ancora oggi sono un’infinità i gruppi di ribelli, banditi e persino terroristi islamici che uccidono, saccheggiano, incendiano villaggi, violentano le donne, rapiscono bambini, costringono la gente a fuggire e a vivere da sfollati al limite della sopravvivenza. Sullo sfondo, però, resta anche un ramificato sistema di corruzione e sfruttamento delle persone e delle ingenti materie prime, in particolare oro, coltan e cassiterite.

«Il Santo Padre – scrivono i vescovi della Provincia ecclesiastica di Bukavu, che comprende anche le diocesi di Goma, Beni-Butembo, Uvira, Kindu e Kasongo – porta con sé lo sguardo di vicinanza di tutta l’umanità al nostro cammino incespicante verso la riconciliazione, la pace e uno sviluppo solidale». Ricordano inoltre come «diverse comunità della nostra Provincia ecclesiastica sono vittime di catastrofi naturali e di violenze umane: eruzioni del vulcano Nyiragongo a Goma, inondazioni a Uvira e Kindu, smottamenti a Bukavu, proliferazione di gruppi armati. Ci troviamo in uno stato di desolazione».
«La visita del Papa è come un abbraccio a lungo atteso – commenta padre Emmanuel Adili Mwassa, saveriano di Bukavu -, conerma quell’amore che ha per questa parte di mondo. La tappa di Goma, in particolare, ha un grande valore simbolico non solo per il mio Paese, ma per tutta l’Africa centrale. È un segno di vicinanza alla gente ferita, un incoraggiamento a non perdere la speranza. Ma penso che darà un messaggio chiaro anche ai lea­der politici, un richiamo alla responsabilità».

Papa Francesco celebrerà la Messa nel campo di Kibumba, dove incontrerà anche alcune vittime di violenza. Il luogo si trova a poca distanza da dove, il 22 febbraio del 2021, è stato ucciso l’ambasciatore italiano Luca Attanasio, insieme al carabiniere Vittorio Iacovacci e al loro autista, Mustapha Milango. Un gesto anche questo grandemente simbolico che la vedova Zakia Seddiki rilegge nello spirito che aveva animato il marito, un uomo delle istituzioni, ma anche di fede, che interpretava il suo ruolo come una missione di vicinanza a tutti, italiani e congolesi: «Papa Francesco non va in R.D. Congo da uomo politico, ma da uomo di pace», dice oggi Zakia, alla vigilia di un viaggio difficile per lo stesso Pontefice, viste le sue precarie condizioni di salute.

I vescovi dell’Est auspicano che la visita del Papa «accresca ulteriormente la nostra attenzione pastorale e socio-politica alle periferie geografiche della nostra regione, dove guerre dimenticate distruggono milioni di vite nella più grande indifferenza di tutte le nazioni. E faccia di lui il nostro porta-parola perché la voce dei senza voce venga ascoltata». Al di fuori delle regioni martoriate dell’Est, tuttavia, non si può dire che la Chiesa congolese non abbia voce. Anzi, grazie all’autorevolezza che le viene dell’essere capillarmente su tutto il territorio – dove rappresenta circa il 40% dei quasi 110 milioni di abitanti – e di operare soprattutto nel campo dell’istruzione, oltre che della sanità e della promozione sociale, quella della Chiesa cattolica è una voce accreditata anche in ambito politico. «La Conferenza episcopale del Congo – fa notare un altro saveriano, padre Luois Birabaluge – si pronuncia regolarmente sia sui problemi della società sia per denunciare le azioni dei leader politici che mostrano scarso rispetto per la dignità umana e sono poco inclini al bene comune. Tuttavia, sarebbe troppo riduttivo limitare questa azione alla gerarchia».
In effetti, un esempio recente dell’impegno che coinvolge i cattolici a tutti i livelli sono state le grandi manifestazioni pacifiche organizzate dal Comitato di coordinamento dei laici (Clc) nel 2017-2018, per chiedere un’alternanza democratica al potere, ma anche l’importantissimo ruolo svolto dalle Commissioni giustizia e pace in campagne di sensibilizzazione ed educazione civica.

È un contesto di Paese e di Chiesa molto diverso quello che Papa Francesco troverà in Sud Sudan dove farà tappa nella capitale Juba dal 5 al 7 luglio. Un Paese che fatica a intraprendere vie di pace e riconciliazione, dopo i lunghi anni di guerra con il Nord e l’ottenimento, il 9 luglio 2011, dell’agognata indipendenza; un Paese che oggi è diviso e funestato da conflitti politici e inter comunitari. La conseguenza è una popolazione allo stremo, che fatica a sopravvivere, continuamente in ostaggio di violenze e barbare e anche di eventi climatici estremi, come le recenti alluvioni che hanno spazzato via villaggi e campi.

«La speranza deve vincere sulla guerra e sulla sofferenza che sono presenti in questo Paese. E quello di Papa Francesco è anzitutto un viaggio all’insegna della speranza e dell’unità». Ne è convito il vescovo di Rumbek, Christian Carlassare, che ha organizzato un pellegrinaggio con un centinaio di giovani: otto giorni di cammino, 40 chilometri al giorno per raggiungere Juba alla vigilia dell’arrivo del Papa. Rifletteranno su pace, comunione e fraternità e sulla possibilità di una “rinascita” in tutti i sensi: personale e comunitaria. Che ha un grande valore simbolico per lo stesso vescovo, gambizzato nell’aprile del 2021. Monsignor Carlassare è potuto rientrare in Sud Sudan solo lo scorso febbraio per essere finalmente consacrato vescovo il 22 marzo. «Sappiamo che il Papa ama molto questo Paese – riflette monsignor Carlassare -, e questo viaggio ce lo conferma. In questo momento in cui la sua salute è così precaria si vede ancor di più la sua ostinata attenzione per situazioni come queste, tanto tormentate e sofferte».
“Prego perché tutti siano una sola cosa”: è il motto che accompagna il viaggio di Francesco, il primo Pontefice che si reca in Sud Sudan: unità di un Paese molto giovane, che non ha ancora maturato una coscienza nazionale, e che fatica a superare i traumi e le divisioni della guerra; e unità anche dei cristiani. Sarà infatti una visita ecumenica, in cui Papa Francesco verrà accompagnato dal primate anglicano Justin Welby e dal moderatore della Chiesa di Scozia, per essere insieme – ha precisato lo stesso Pontefice – «promotori di riconciliazione, tessitori di concordia, capaci di dire no alla perversa e inutile spirale della violenza e delle armi».

«Questo viaggio vuole confermare la pace e fare unità anche tra noi cristiani – ribadisce monsignor Eduardo Hiiboro Kussala, vescovo della diocesi di Tombura-Yambio, funestata da molte violenze -. Noi sud sudanesi, e in particolare noi fedeli cristiani, dobbiamo lavorare insieme per costruire la riconciliazione nel nostro Paese. Questo viaggio, tuttavia, ha una forza che interpella davvero tutti, anche quelli che continuano a combattere. Sanno che il Santo Padre viene qui per parlare di pace e spero che questo possa aprire i loro cuori».


Il programma in R.D. Congo e Sud Sudan

Il Papa arriverà sabato 2 luglio a Kinshasa e terrà il suo primo discorso alle autorità al Palais de la Nation. Il 3, presso l’aeroporto di Ndolo, verrà celebrata la Messa, seguita dell’incontro con i vescovi congolesi e quindi da quello con sacerdoti, consacrati e seminaristi in cattedrale. Il viaggio a Goma è previsto per lunedì 4; un viaggio di andata e ritorno in giornata, con celebrazione eucaristica nel campo di Kibumba e incontro con le vittime di violenze. Martedì 5, infine, grande incontro allo Stadio dei Martiri di Kinshasa, seguito dal volo per Juba.
«Noi tutti ci ricordiamo il gesto toccante di Francesco, il bacio dei piedi dei nostri leader politici, un umile ma compassionevole appello alla pace». È all’insegna di quel gesto, inaspettato e dirompente, avvenuto in Vaticano nel 2019, che i vescovi del Sud Sudan e i leader politici del Paese accoglieranno Papa Francesco, dal 5 al 7 luglio a Juba. Dopo l’incontro con le autorità, il 6 luglio il Pontefice si recherà in visita al campo profughi vicino alla base Onu, quindi incontrerà i religiosi in cattedrale e concluderà la giornata con una preghiera ecumenica. Il 7, Messa al John Garang Stadium, a cui è atteso circa un milione di persone.