Molto meno di una goccia nell’oceano

ERMONDADE
«Se noi missionari ci scoraggiamo, chi altro starà vicino a queste persone?»

 

Ricordo che quando sono arrivato in missione tutto era nuovo per me, tutto era un’avventura. Anche i sentimenti erano forti: grandi emozioni per il contatto con la gente e per le attività svolte, tanta commozione per le innumerevoli situazioni di povertà ed esclusione. Dopo quasi sette anni, mi chiedo spesso dove sono finite tutte quelle emozioni. Di fronte al degrado diffuso mi sembra che tutto ciò che faccio sia molto meno della famosa goccia nell’oceano, anche perché le risposte alle attività non sempre corrispondono alle aspettative: il rischio è farsi sopraffare dalla frustrazione.

Tantissime persone muoiono a causa della scarsa o assente assistenza sanitaria. Si muore senza sapere perché. Molti giovani se ne vanno da un giorno all’altro e quanto al motivo si dice solo: «I ka sintiba kurpu» («Non si sentiva bene»). Sul fronte dell’istruzione, ad eccezione di poche scuole private accessibili a una minoranza, la maggior parte degli istituti statali non ha la minima qualità strutturale né educativa, il che causa un’enorme povertà culturale nella popolazione. Molti inoltre non hanno accesso a un’alimentazione adeguata. Vari aspetti della cultura locale, poi, opprimono o vincolano le persone e la società. È il caso di alcune tradizioni e rituali come – per fare un esempio – il Toka Tchur: una grande cerimonia di tre giorni ricca di riti, balli, cibo e bevande, per organizzare la quale una famiglia investe i risparmi di una vita. C’è chi uccide decine di mucche, maiali e capre per questo evento: chi possiede un gregge lo utilizzerà per il Toka Tchur e non per il benessere della famiglia, per l’istruzione e la salute dei figli. E sono molte le tradizioni radicate di cui è difficile far capire alla gente i limiti.  Per questo a volte mi sento debole, limitato, come qualcuno che nuoti controcorrente. Allora ricordo le parole di padre Dionisio Ferraro, incontrato quando ero venuto in visita nel 2013: «Se noi missionari ci scoraggiamo, chi altro starà vicino a queste persone?».

Forse, ora che ho i piedi ben piantati in questa terra, non è più il momento delle forti emozioni ma è il tempo di affrontare la realtà così come si presenta e di contribuire con il massimo delle mie possibilità, lottando per non cedere spazio all’apatia. È sempre dal sostegno del Signore che scaturisce ogni giorno l’impulso a fare un passo in più. Ma preziosa è anche la vicinanza di tanti fratelli, in Brasile e in Italia. Ecco perché non mi sento solo: tutti insieme siamo come quel colibrì che va e torna dal fiume con una goccia d’acqua nel becco, cercando di spegnere il grande incendio della foresta. Anche se quel gesto può sembrare una cosa inutile, lui insiste nel fare la sua parte.