L’altra Amazzonia: le metropoli

Le sfide per le popolazioni che abitano l’Amazzonia sono molte, anche per chi vive quotidianamente la realtà urbana di questa regione.

L’Amazzonia non è fatta solo di foresta, fiumi, piccole cittadine e innumerevoli comunità che vivono al ritmo delle acque, ma anche da metropoli con tutti gli “accessori” che normalmente le caratterrizano: centri commerciali, wi-fi, traffico congestionato, inquinamento, file agli sportelli, trasporti pubblici sempre affollati e infinite periferie semi abbandonate dal potere politico… C’è chi un lavoro ce l’ha, chi se lo deve inventare, per esempio vendendo cibo per strada o sugli autobus, e chi il “lavoro” lo trova in una delle tante forme di violenza e criminalità. Anche le città dell’Amazzonia non si differenziano dal modello brasiliano, caratterizzato da forti disuguaglianze sociali, che in un sistema capital-consumistico permette a pochi la più indecente opulenza e a molti la dura vita di chi ha poco o niente. Così, è normale che per Natale ci sia stato chi ha potuto comprarsi un pandoro italiano per 300 reais (un terzo dello stipendio base di un mese) e chi, in quanto indigente, ha ricevuto dai servizi sociali comunali la stessa cifra come aiuto per affrontare il costo di un’operazione.

Le ingiustizie delle istituzioni e la corruzione della classe politica perpetuano questa vergogna che diventa autostrada per il degrado umano a causa dell’abuso di alcol e droga, della violenza contro giovani, donne e bambini, del traffico di esseri umani: tristi realtà di molte periferie. Il tasso di omicidi di giovani tra i 15 e i 24 anni è così alto che si parla di “sterminio” e la Caritas brasiliana già da anni ha lanciato una campagna di sensibilizzazione per tentare di arginare l’emergenza; per non parlare delle carceri, dove più della metà della popolazione ha meno di 28 anni e proviene in genere da famiglie povere, fragili, con una scolarità bassa o con problemi di dipendenze.

Che fare di fronte a queste sfide? Le risposte non sono facili ma la Chiesa non può non ascoltare il grido di aiuto dei suoi figli e delle sue figlie. Il Papa chiede una Chiesa missionaria, samaritana, profetica, che sappia difendere la dignità umana, discernere gli appelli dello Spirito e soprattutto essere segno di speranza per i popoli dell’Amazzonia. Quella che Francesco sogna è una Chiesa misericordiosa, la misericordia richiama la cura e la cura richiama la custodia del creato. Già con l’enciclica Laudato sì la Chiesa in Amazzonia si è messa in cammino per realizzare, anche dal punto di vista pastorale, la conversione all’«ecologia integrale», rendendosi sempre più conto che – in modo particolare qui, dove appare cosí evidente come tutto sia collegato e la visione olistica della vita dei popoli indigeni vada preservata – non si può più pensare a un’evangelizzazione che non consideri anche il nostro legame indissolubile con il creato. Per questo, con il Sinodo, il Papa chiede l’audacia di cammini nuovi per evangelizzare questa terra.

È bello, allora, vedere il progressivo impegno, a partire dalla fede, in progetti di sviluppo sostenibile, per migliorare le condizioni di vita di chi vi partecipa. Nell’arcidiocesi di Manaus è stato fatto un grande sforzo per organizzare in cooperative o associazioni quanti cercano il proprio sostentamento attraverso la raccolta di materiali riciclabili. È lo Spirito a guidare la Chiesa in questo cammino ed è sempre lo Spirito a far sentire necessaria l’unità tra evangelizzazione, movimenti sociali e azioni pastorali, così da rendere più efficace la rete di solidarietà e di comunione.