Allan Rohan Crite: Via Crucis afroamericana

Allan Rohan Crite: Via Crucis afroamericana

Attivo nella Boston degli anni Trenta, la sua grande originalità artistica consiste nell’aver calato interamente nel contesto urbano l’iconografia cristiana

Allan Rohan Crite (1910-2007) visse per 96 anni nella città di Boston. Lavorò presso i cantieri navali – dove i suoi disegni tecnici particolareggiati aiutavano gli ingegneri a realizzare i motori a propulsione usati per attraversare gli oceani -, fu bibliotecario part time ad Harvard e collaboratore di uno studio di architettura specializzato in ambito ecclesiastico. Figlio unico di una famiglia della classe media, fin da piccolo fu incoraggiato dalla madre, poetessa, e dal padre, ingegnere, a seguire il suo talento artistico. Raramente lo si vedeva senza un taccuino e una matita in mano: a partire dagli anni Trenta cominciò a ritrarre nei suoi disegni la vita della comunità afroamericana dei quartieri di Roxbury e South End, registrando momenti legati alla quotidianità, luoghi ed edifici poi andati perduti col tempo.

Fervente cristiano episcopale, dedicò larghissima parte del suo lavoro a ritrarre la vita religiosa del quartiere, rendendo i luoghi di culto, gli oggetti della liturgia, i paramenti e gli accessori un vero vocabolario pittorico. La sua grande originalità artistica consiste nell’aver calato interamente nel contesto urbano di Boston l’iconografia cristiana: Maria e Gesù sono afroamericani ritratti mentre viaggiano sulla linea arancione della metropolitana o sul tram, mentre fanno la spesa al supermercato e chiacchierano agli angoli delle vie; Gesù porta la croce in mezzo alla vita indaffarata della gente.

Le opere, siano esse disegni e dipinti realizzati con grafite, acquerelli, pastelli, colori a olio, oppure stampe o targhe in metallo inciso, costituiscono per Crite una forma di letteratura religiosa tradotta in immagini.

Il contesto afroamericano che popola il suo intero universo artistico e spirituale prende vita dalla realtà che lo ha circondato ogni giorno, ma rappresenta anche una rottura verso una visione stereotipata sempre dalla prospettiva dell’“uomo bianco”: Crite consegna con semplicità e naturalezza se stesso e la sua comunità a un contesto umano in cui definizioni e colore delle pelle non hanno importanza. Ci sono solo creature di Dio.