Gli iraniani rivogliono le zone umide

Gli iraniani rivogliono le zone umide

Oggi è la giornata mondiale delle zone umide che celebra la nascita della Convenzione di Ramsar sulla conservazione delle acque: un documento quanto mai attuale soprattutto in Iran dove è stato firmato e che oggi deve affrontare siccità e sfruttamento idrico

 

Fino a qualche decina d’anni fa, la porzione di terra condivisa tra Iran e Iraq era la regione delle lagune dove – attratti dalle condizioni favorevoli regalate dalla presenza di fiumi e zone paludose – si ritrovavano centinaia di migliaia di uccelli migratori. Zone umide come queste sono celebrate oggi in una giornata mondiale a loro dedicata che vuole ricordare l’importanza di questi ecosistemi, preziosi per i Paesi che le ospitano in quanto fonti di acqua dolce, snodi fondamentali di produzione e serbatoi di biodiversità. Purtroppo però, i cambiamenti climatici a livello globale insieme a interventi distruttivi da parte dell’uomo su scala locale stanno mettendo a rischio la sopravvivenza delle oasi d’acqua. In particolare le paludi mesopotamiche, considerate la più grande zona umida del Medio Oriente e patrimonio dell’UNESCO, oggi soffrono una siccità senza precedenti.

In Iran a risentire più visibilmente dell’aridità che continua da 15 anni sono stati soprattutto i laghi Hamoun e Urmia (quest’ultimo ristrettosi del 90% in 40 anni), vittime sia dei conflitti nella regione sia della mala gestione del territorio e oggi praticamente scomparsi. La diminuzione delle zone umide fa parte però anche di una tendenza condivisa a livello mondiale: si stima che nello scorso secolo metà delle zone umide del mondo siano andate perse per l’azione umana, il subentrare di specie estranee all’ecosistema e allo sfruttamento idrico delle risorse per agricoltura e industrie. Ultimamente i cambiamenti climatici e la drastica diminuzione delle precipitazioni hanno ulteriormente ridotto l’acqua nelle zone a difesa delle quali nel 1971 – proprio in Iran – è stata firmata la Convenzione di Ramsar. Si tratta del il primo trattato internazionale dedicato alla conservazione e allo sfruttamento controllato delle zone umide quali laghi, fiumi, falde acquifere, lagune, litorali, canali, oasi e risaie che, tra l’altro, dal 1997 sono celebrate insieme ogni 2 febbraio nel World Wetlands Day.

Delle località in cui terra e acqua coesistono e che ogni Paese contraente deve segnalare, l’Iran ne ha indicate 24 per una superficie totale di 1 milione e 400mila ettari, che rientrano nella lista delle zone umide più meritevoli di cure a livello internazionale. Nonostante il documento avrebbe dovuto tutelarle, però, non si può dire che la loro salute sia delle migliori.

Oggi, infatti, le zone umide in Iran subiscono le conseguenze di una cattiva gestione e di uno sviluppo insostenibile che ha coinvolto molte risorse idriche del Paese. A partire dalla rivoluzione del 1979, per esempio, il governo incentivò con finanziamenti ad hoc i contadini a puntare su colture a largo consumo d’acqua, come il grano. Più tardi a peggiorare l’accesso e le condizioni delle zone umide furono decine di dighe lungo i fiumi, molte delle quali realizzate per indirizzare l’acqua verso regioni strategicamente importanti. Ancora oggi, nella provincia prevalentemente agricola di Chaharmahal-Bakhtiar, le persone lamentano la costruzione di canali che deviano l’acqua del fiume Karun alle popolazioni delle regioni centrali del Paese. Anche nella provincia del Khuzestan, al confine con l’Iraq, la desertificazione e i rifiuti industriali sono diventati un problema cocente tanto che l’Organizzazione mondiale della sanità ha ritenuto d’inserire il capoluogo Ahvaz nella classifica della città più inquinate del mondo.

Delle 3800 sorgenti presenti nella provincia occidentale di Chaharmahal-Bakhtiar, oltre un terzo si sono prosciugate. Sono scomparsi laghi, mentre le tempeste di polvere sono un fenomeno sempre più frequente anche nelle regioni un tempo considerate fertili. Nell’ultimo mese, prima che pochi giorni fa la capitale Theran fosse ricoperta da uno strato di neve, il 96% della superficie terrestre del Paese era stato dichiarato in condizioni di siccità prolungata e l’Iran Meteorological Organization aveva avvisato che in alcune zone le precipitazioni erano dell’80 per cento inferiori rispetto media stagionale. E lo scenario non dovrebbe migliorare, almeno secondo lo studio condotto da due scienziati del Massachusetts Institute of Technology nel 2015 per il quale entro la fine del secolo molte città della regione potrebbero superare un punto critico per la sopravvivenza umana.

Lo scorso dicembre le preoccupazioni per la mancanza d’acqua sono state al centro delle proteste fiorite in diverse parti del Paese, ciò nonostante la siccità non sembra ancora rientrare nell’agenda politica del governo iraniano. Il presidente Rouhani ha promesso fondi per ripristinare il lago Urmia ma, lo stesso responsabile delle zone umide del Ministero dell’Ambiente iraniano due settimane fa ha dichiarato che sono stati conclusi solo il 30 per cento dei programmi per ripristinare i bacini idrici nazionali e sono stati usati appena un terzo dei fondi destinati alla rivitalizzazione di questi preziosi ecosistemi.