Aladdin e le fantasie orientaliste del mondo del cinema

Aladdin e le fantasie orientaliste del mondo del cinema

A Beirut – proprio alla vigilia dell’uscita del film Disney Aladdin – una mostra ripropone le locandine delle pellicole del Novecento sul Medio Oriente. Un percorso che rivela quale ruolo abbia avuto il cinema nella diffusione degli stereotipi su questa regione del mondo

 

Alla galleria di Dar El Nimer di Beirut, fino al 25 maggio, sarà possibile visitare l’esibizione “Thief of Baghdad: Arabs in World Cinema”, che raccoglie le locandine cinematografiche di film sul Medio Oriente realizzati nel secolo scorso.

Abboudi Abou Jaoude è il proprietario dei manifesti e il curatore della mostra. Gli occhi gli si illuminano nel parlare dell’esibizione e ammette che il suo progetto è importante “perché non abbiamo memoria francamente. Non c’è niente di documentato, per questo volevamo che esistesse”, ha dichiarato al sito MiddleEastEye. Ha poi aggiunto che vuole che i visitatori vedano le variazioni degli artisti nel rappresentare questo tipo di film. “Ogni artista ha la sua distinta personalità. Ho voluto mostrare questa distinzione in ogni Paese”.

Tuttavia, camminando per la mostra, non sono le differenze a balzare all’occhio del visitatore, quanto la somiglianza delle rappresentazioni, che restituiscono un’unica concezione stereotipa di Oriente.

Quella che emerge è un’idea di Medio Oriente in cui il deserto è percorso da cattivi mezzi incappucciati dalla carnagione scura, sullo sfondo la fanno da padrone grandi cupole “a cipolla” che ricordano più quelle di Mosca che quelle del vasto mondo arabo, mentre le donne appaiono sempre disegnate con la pelle chiara, il volto coperto anche se i corpi non sempre lo sono del tutto.

E poi chiaramente abbondano tappeti che possono essere volanti o meno, scimitarre, cavalli e altra sabbia. I colori sono vivaci e brillanti, e nel messaggio introduttivo della mostra viene dichiarato che lo scopo degli artisti era quello di “sedurre il pubblico”, più che di dare una rappresentazione accurata della regione che oggi chiamiamo sempre più spesso MENA (Medio Oriente e Nord Africa).

Le trame dei film prendono spunto dalle storie della raccolta “Le mille e una notte”: Aladdin, Ali Baba e Sinbad i personaggi più gettonati. Secondo Samhita Sunya, dell’University of Virginia, poiché non esiste una sola versione originale e definitiva de “Le mille e una notte”, è facile rimodellare le storie a piacimento, mentre la duratura popolarità cinematografica è garantita grazie alle immagini spettacolari e la tradizione dei racconti di essere racconti riccamente illustrati.

Samhita Sunya ha anche dichiarato a Middle East Eye che “’Le mille e una notte’ sono storie magiche davvero meravigliose. Penso che sia importante ricordare che molti di questi racconti si verificano nel regno dell’immaginazione”. Il problema sorge infatti quando la fantasia viene confusa con la realtà. In più di qualche locandina della mostra non sembra essere così chiara la distinzione. “Questi sono i tropi che finiscono per reificare certe gerarchie profondamente razziste”.

È quindi chiaro che le raffigurazioni dell’Oriente del tempo fossero stereotipate. È forse più utile chiedersi se oggi sia cambiato qualcosa nel rappresentare il Medio Oriente nel mondo del cinema.

Secondo Greg Burris, teorico di film e cultura all’American University di Beirut, ha ammesso che I manifesti cinematografici della mostra presentano dei problemi per molti versi, però almeno nella loro riproduzioni non presentano cattiveria alla quale oggi nei media occidentali sono associati gli arabi.

Nel mondo post 11 settembre, secondo Daniel Newman, professore di arabo all’Università di Durham, abbiamo raggiunto un quarto stadio di rappresentazione del Medio Oriente, quello in cui i caratteri di “arabo” e “musulmano” si uniscono nel terrorista. Questo solo dopo essere passati attraverso gli stereotipi dell’arabo lascivo, quello de “Le mille e una notte” e infine dell’arabo ricco grazie alla vendita di petrolio.

Nelle locandine esposte alla mostra, infatti, i cattivi dei film sono più spesso russi (rispecchiando le paure della Guerra fredda per esempio) che arabi. Se l’atmosfera dei film appariva più piacevole per il contesto lontano ed esotico in cui erano ambientati, i film contemporanei sul Medio Oriente sono più duri, più violenti, meno affascinanti, e i suoi abitanti sono più terrificanti che intriganti.

“La narrativa terrorista è così dominante che elimina ogni altro aspetto” ha dichiarato Newman, secondo il quale solo ultimamente le connotazioni di “arabo” e “musulmano” abbiano preso forza agganciandosi all’elemento religioso, mentre l’appiattimento della maggior parte del mondo musulmano (che comprende vaste aree del Nord Africa e varie parti dell’Asia) non è nulla di nuovo.

È chiaro, però, che un’unica rappresentazione dell’Islam e dei musulmani può nutrire quelle ideologie tossiche e violente che poi sfociano nell’islamofobia.

L’esibizione “The Thief of Baghdad” non fa troppa esegesi, così i visitatori sono liberi di esprimere le loro personali reazioni alle immagini orientaliste. Secondo Abou Jaoude, però, il sentimento che la fa da padrone è spesso la nostalgia, che muove non solo le persone più anziane, ma anche le generazioni più giovani che amano vedere e conoscere questi aspetti della storia.

Chissà se lo stesso sentimento di nostalgia guiderà la gente a comprare i biglietti per Aladdin, il prossimo live-action della Disney che apparirà sui grandi schermi il 24 maggio. Per ora gli eventi promozionali non sembrano essersi discostati dalla narrativa dei predecessori.