Il claun “il Pimpa” – che porta i suoi spettacoli di magia nelle terre del Medio Oriente disastrate dalle guerre – è a Mosul per riaccendere il sorriso sui volti dei bambini. Ma nella distruzione quotidiana “sono i bambini a salvarmi la vita”, racconta
È nella città irachena di Mosul il clown che gira il Medio Oriente per riportare un sorriso là dove la guerra ha portato via tutto. Marco Rodari in arte “il Pimpa” è originario di Leggiuno, in provincia di Varese, ed è fondatore dell’Associazione “Per Far Sorridere il Cielo” – Claun il Pimpa – Odv che – attraverso spettacoli di magia, servizi di clown-terapia in ospedale e sostegno alimentare e medico alle famiglie in difficoltà – si prende cura dei bambini che subiscono traumi fisici e psichici a causa dei conflitti.
La prima esperienza a contatto con i bambini è stata con l’oratorio tra gli orfanotrofi della Romania e poi da lì è partito per la Giordania, Gaza, l’Iraq, la Siria per incantare i bambini con i suoi spettacoli. Insegnante di lettere d’inverno e clown d’estate, Marco partiva ogni anno per riaccendere il sorriso di quei bambini e portare la magia e la Meraviglia in quegli scenari di distruzione dove a scandire i ritmi della giornata erano i boati delle bombe. Quando l’aggravarsi degli scontri più volte non gli ha permesso di tornare dai suoi studenti prima di novembre o dicembre, Marco ha lasciato il suo mestiere e deciso di girare il mondo “armato” di un naso rosso.
“Chiunque vive una guerra porta dentro una ferita” così raccontava Marco di Shamila a TEDxVarese nel giugno 2018. Shamila – una bambina conosciuta in ospedale arrivata dopo che una bomba si era portata via la sua casa e la sua famiglia – non parlava. Ma dopo qualche trucchetto di magia ha sorriso e ha ripreso a parlare. Ora una nuova missione in Iraq, sulla quale gli abbiamo rivolto qualche domanda.
Da quanto si trova in Iraq? In quali contesti sta portando il suo spettacolo?
Mi trovo in Iraq da un mese e sto girando il Paese per quanto possibile: da Bagdad a Mosul a tante altre città settentrionali e nel Kurdistan iracheno
Mosul è stato uno dei luoghi più segnati dagli orrori del califfato. Che cosa vuol dire per lei tornare a far sorridere i bambini proprio qui?
Tornare a far sorridere i bambini in questo contesto è estremamente straordinario. Ricordo che anni fa prima, dello spettacolo, i bambini erano tristi e non parlavano. Per un clown è stata una visione difficile perché di solito prima del momento di gioia dello spettacolo i bimbi fanno confusione, chiaccherano. Quest’anno finalmente è stato possibile riportare il sorriso a Mosul proprio nel luogo dove è stato proclamato il califfato, uno delle cose più tristi generate dall’uomo negli anni 2000.
Oltre alla guerra ora c’è anche il Covid. Come hanno reagito i bambini? La pandemia ha influenzato il suo lavoro?
I bambini non hanno reazioni particolari, si adattano prima di tutti, portano le mascherine, dimostrando un grande segno di responsabilità. Qui è difficile proteggersi: mascherine, distanziamento e igiene che per noi sono gesti scontati, qui sono invece difficili da praticare. Il covid ha ulteriormente messo in difficoltà il sistema sanitario. Addirittura, per un presunto guasto tecnico, un ospedale covid è esploso causando più di 80 morti e centinaia di feriti. Lo screeening sulla popolazione è pari a zero e la campagna vaccinale è un miraggio. La pandemia ha influenzato il lavoro del clown perché, soprattutto il clown-terapeuta, ha necessità di entrare in un rapporto empatico con i bambini. Li abbiamo incontrati anche online, con dei piccoli video, per poter alleviare la loro sofferenza specialmente in ospedale.
Cosa può dirmi dei giovani? Ci sono volontari locali che seguono le sue orme e la aiutano durante gli spettacoli?
I giovani che hanno scelto di fare i clown sono il mio orgoglio più grande perché sono rari e sono un dono preziosissimo. È molto bello vedere un ragazzo che comincia a fare il clown, ragazzo che diventa un seminatore straordinario di pace in questi luoghi così difficili dove è difficile realizzarsi e trovare qualcosa di bello da fare nella vita.
Ha dei progetti in corso o in programma? Come si sta preparando all’estate?
Il progetto più grande è quello di ritornare a donare sorrisi, insegnare ai bambini piccoli giochi di prestigio, continuare a crescere insieme ai ragazzi che fanno i clown e stare vicino a tutti i giovani, alle associazioni e ai missionari che permettono al clown di arrivare in questi luoghi. Abbiamo anche un progetto a Gaza, Una “Meraviglia” di Scuola situata a Mosader, un villaggio distrutto tre volte dalla guerra nella striscia. Aiutiamo un’associazione locale a sostenere questa scuola che costituisce un luogo di meraviglia dove i bambini possono esercitare la loro fantasia.
Qual è stato il momento in cui ha capito che fare il clown era così importante per la sua vita?
Ce ne sono stati tanti. Il primo è stato quando avevo solo tre anni e mi hanno chiesto di salire su un palco per far divertire il pubblico. Poi verso i 13 e 14 anni ho capito che stavo bene in mezzo ai bambini e loro amavano quello che facevano. Una volta maggiorenne ho incontrato i bambini dell’ospedale e lì ho compreso che nonostante vivessero situazioni di sofferenza, con me avevano modo di distrarsi e divertirsi. È questo che mi ha spinto a fare il clown in Italia negli ospedali e poi in giro per il mondo.
In mezzo a tutta quella distruzione di cui è stato testimone, ci sono stati momenti di debolezza? Dove ha trovato la forza e il coraggio per andare avanti?
I momenti di debolezza sono quotidiani. Quando si vede così tanta distruzione si tocca con mano il fallimento del genere umano. E quando la situazione è insopportabile ci sono sempre dei bambini che tirano i pantaloni del clown perché vogliono giocare. Sono loro che in ogni situazione mi hanno davvero salvato la vita.