Nella cascina della misericordia

Nella cascina della misericordia

Un antico casolare nella periferia di Padova diventa una comunità dove vivono insieme quattro famiglie con i loro tredici bambini. Nello spirito del Vangelo e con le porte aperte all’accoglienza. Dal nuovo libro di Gerolamo Fazzini «Famiglie missionarie a Km 0» – in uscita per le edizioni Ipl – che viene presentato domani alle 18 al Centro Pime di Milano

 

Famiglie missionarie a km 0. Nuovi modi di “abitare” la Chiesa (IPL edizioni) è il nuovo libro del giornali­sta Gerolamo Fazzini di cui anticipiamo qui sotto questa storia. Il libro offre una panoramica su «un fenomeno carsico ma in crescita, che coinvolge coppie credenti provenienti da differenti esperienze ecclesiali» e le cui parole chiave sono «condivisione, corresponsabilità, amicizia e accoglienza». Sarà presentato al Centro Pime di Milano il 17 ottobre alle ore 18.

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Per tanti anni i padovani in via Adige c’erano passati davanti scuotendo la testa. Una volta abbandonata, quell’antica casa colonica, realizzata in trachite dei Colli Euganei, s’era riempita di scritte strane e trasformata in un ricettacolo di sbandati e di traffici sospetti; al punto che i carabinieri, chiamati dai residenti della zona, dovevano regolarmente intervenire. Un bel problema, insomma.

Da settembre 2018, chi transitasse in questa zona della periferia nord-ovest di Padova non riconoscerebbe più l’immobile di un tempo: gli alberi sono stati tagliati, il terreno totalmente ripulito e la casa colonica restituita al suo splendore originario. Accanto al corpo centrale, che richiama immediatamente il passato contadino, due aggiunte moderne, incastonate con gusto: quattro appartamenti, dove vivono, insieme, altrettante famiglie. Un allegro vociare ha preso il posto del silenzio cupo di un tempo, poiché ora nella casa abitano in 21: 8 adulti e 13 bambini, che vanno dai 3 ai 14 anni. All’esterno il cancello aperto è il segno evidente che lì dentro vive gente che ha scelto di abitare con uno stile controcorrente, ispirato alla fraternità e all’apertura al mondo.

Benvenuti a Comunità Bethesda. La casa prende il nome dalla piscina di Gerusalemme, citata nel Vangelo di Giovanni (5,1-18), dove Gesù operò la guarigione di un paralitico. «Bethesda in ebraico significa “casa della misericordia” e Gesù altro non è che il volto della misericordia di Dio», spiegano le famiglie. Non è un caso che il progetto della casa, coltivato da tempo, abbia definitivamente preso forma durante il Giubileo della misericordia voluto da Papa Francesco nel 2016. Roberto Schiavon ha 41 anni e vive qui con la moglie Barbara di 40 anni e 5 figli. Racconta: «Amiamo dire che questa casa è frutto di un sogno, ma non nel senso di una generica fantasia inseguita ciecamente, bensì di uno di quei sogni di cui leggiamo nella Bibbia, nei quali Dio stesso si comunica. Poi il sogno è diventato bisogno, qualcosa di talmente affascinante da non poterne fare a meno. E l’abbiamo coltivato insieme, compiendo un cammino che ci ha fatto crescere nella condivisione, superando via via tutti gli ostacoli». Già, perché non è stato un gioco da ragazzi per le quattro famiglie riuscire a concretizzare la loro voglia di vita in comune. Spiega Damiano Pampagnin, 40 anni, marito di Elena Bernardi (39) e padre di tre figli: «Sin dall’inizio avevamo pensato di rimanere in città, di non isolarci in qualche luogo solitario, per quanto ameno. Contattata la diocesi per valutare eventuali soluzioni idonee al nostro caso, ci erano stati proposti immobili molto grandi (ex conventi) e lontani dal tessuto cittadino. Una delle nostre famiglie aveva individuato la casa dove poi avremmo messo radici, ma una serie di problemi di varia natura sembravano rendere quella via non percorribile».

La tenacia delle famiglie e l’aiuto prezioso di un amico, tuttavia, hanno avuto ragione delle difficoltà. L’amico in questione è padre Paolo Bizzeti, 72 anni, che dal 2015 opera in Turchia come vicario apostolico dell’Anatolia. Il gesuita non si è rivelato decisivo solo perché le famiglie riuscissero a contattare i proprietari dell’immobile, avviando la trattativa per l’acquisto sui giusti binari, bensì, soprattutto, «per il costante e attento accompagnamento che ha dedicato a questa nostra avventura». E non è certo un caso che sia stato proprio lui a celebrare, il 14 ottobre 2018, la solenne e gioiosa celebrazione eucaristica con la quale è stata ufficialmente inaugurata “Comunità Bethesda”.

«Se vogliamo fissare una data d’inizio del progetto dobbiamo risalire a cinque anni fa – spiegano Roberto e Barbara -. Noi conoscevamo padre Paolo, anche perché frequentavamo un gruppo di famiglie che si radunava regolarmente all’Antonianum dai gesuiti; inoltre ci era nota la sua sensibilità sul tema, visto che egli aveva seguito, già in precedenza, alcune comunità di famiglie, a Bologna e nella zona di Firenze». A giugno 2014, ad un primo incontro organizzato con padre Bizzeti, si presentano ben 22 famiglie: «Un dato sintomatico, che dice un interesse diffuso. Poi, non sempre le coppie trovano il coraggio di fare subito il passo, però indubbiamente c’è un fermento in atto», chiosa Roberto.
Una delle coppie della prima ora è quella composta da Mauro Marangoni e Chiara Bolzonella, rispettivamente 40 e 39, con cui Roberto e Barbara si conoscevano già da anni. Per un periodo le due famiglie iniziano a frequentarsi regolarmente, a pregare assieme e a confrontarsi sul futuro. «Ma l’idea di comprare una villetta bifamiliare la sentivamo un po’ “stretta”». A quello di giugno seguono altri incontri estivi; si arriva così a settembre, quando le famiglie rimaste sono una decina. Il lavoro di discernimento proseguirà nei mesi successivi, fin quando, a gennaio 2015, «noi quattro famiglie ci siamo riconosciute».

Luana De Martin e Alberto Dall’Arche, 32 e 34 anni, rappresentano la coppia più giovane; con Giovanni di 6 anni e un altro figlio in arrivo. Si sono conosciuti da studenti, entrambi arrivavano da fuori Padova: si sono sposati e hanno deciso di mettere su casa in città e frequentare il gruppo di famiglie che gravita sul centro giovanile Antonianum.

Mauro e Chiara hanno vissuto un’esperienza missionaria come fidei donum in Kenya, con la diocesi di Padova, dal 2011 al 2013. A Nyahururu, un altopiano nella Rift Valley a 2.400 metri di quota, tre ore a nord di Nairobi, la missione padovana esiste da 60 anni. «Ci aveva entusiasmato, come una vera e propria grazia, la possibilità di operare lì come famiglia, con lo specifico di un servizio laicale, collocato dentro un percorso diocesano: uno stile molto vicino alle nostre radici ecclesiali che affondano nel cammino in parrocchia, con l’Agesci e l’Azione Cattolica». Nei tre anni in missione, la famiglia Marangoni ha lavorato per “Saint Martin”, un’opera creata dalla Chiesa di Padova a tutela degli ultimi e dei disabili, condividendo la vita della gente. Ai due figli, Giosué e Pietro, che hanno accompagnato la coppia alla partenza, si sono aggiunti prima Teresa, nata in Africa e Martino, venuto alla luce poco dopo il rientro. «Tornati dalla missione, per noi era chiara la volontà di non restare da soli, perché la missione ci aveva allargato gli orizzonti».

La struttura della rinnovata casa risponde in maniera chiara agli obiettivi fissati, ossia quelli di una comunità riferita a un cammino evangelico di condivisione e fraternità. Al primo piano, accanto all’ex fienile, è stata ricavata una cappellina. «Questo è il vero cuore della casa, parte tutto da qui. Il lunedì mattina iniziamo insieme la settimana alle 6.30 con le Lodi e finiamo il venerdì sera alle 22 con la Compieta o un’invocazione allo Spirito». Continua Mauro: «La piscina di Bethesda, scrive l’evangelista Giovanni, ha cinque portici, proprio come l’immobile che abbiamo risistemato. Anche noi ci siamo dati cinque pilastri: l’ascolto della Parola di Dio, la fraternità fra famiglie, il servizio alla Chiesa diocesana, la misericordia e l’accoglienza dei poveri».

La zona comune, che corrisponde alla parte più antica del fabbricato, è stata pensata già in un’ottica di accoglienza: l’ex fienile è un ampio salone che può contenere un centinaio di persone; sopra è stato ricavato un soppalco dove i bambini possono giocare fra loro. Inoltre, anche questo piano è dotato di bagno e doccia, così che possa essere utilizzato in autonomia da gruppi che lo richiedessero, ad esempio scout. Al piano terra si trova un appartamentino, arredato dell’essenziale, che ospiterà una mamma con un bambino.

Dal punto di vista ecclesiale, Comunità Bethesda si colloca nel territorio della parrocchia del Sacro Cuore di Gesù di Padova, nelle vicinanze dell’Unità pastorale Arcella, parrocchie di San Bellino, Santissima Trinità e San Filippo Neri. Con i parroci della zona si è creata da subito una bella intesa. E il via vai di ospiti non ha tardato ad avviarsi: «Vengono gruppi familiari delle parrocchie vicine per ascoltare la nostra testimonianza, a volte bambini e ragazzi che stanno facendo il percorso dell’iniziazione cristiana… In genere l’incontro si conclude con una cena insieme. Sono momenti molto belli e vediamo che la gente se ne va contenta forse perché scopre un’altra immagine di Chiesa, vicina e calda: insomma, qualcosa che attrae». Mauro e Chiara sottolineano un aspetto fondamentale: «Quando torni dalla missione nasce spontaneamente la domanda: come mettere a frutto l’esperienza fatta? Non è possibile riprodurla tale e quale dall’altra parte del mondo e, tuttavia, è importante comunicare quanto vissuto e condividerlo con altri. Noi avevamo forte questa esigenza. Papa Francesco ci esorta ad abbandonare il comodo criterio pastorale del “si è fatto sempre così”, invitandoci tutti “ad essere audaci e creativi in questo compito di ripensare gli obiettivi, le strutture, lo stile e i metodi evangelizzatori delle proprie comunità”. E così eccoci qua».