Fiji, il missionario e l’oro olimpico

Fiji, il missionario e l’oro olimpico

Dopo il successo a Tokyo 2020, il campione di rugby, Waisea Nacuqu ha chiesto al suo parroco una messa di ringraziamento. Padre Pat: “L’ho ringraziato per aver usato il talento che Dio gli ha dato come fonte di ispirazione e per dare gioia”

 

Una scarna delegazione di trenta atleti ha rappresentato le isole Fiji ai giochi olimpici di Tokyo 2021. Solo 6 le discipline a cui gli sportivi figiani hanno preso parte, ma il bottino è stato tutt’altro che misero in relazione all’esiguità della rappresentanza: un bronzo e un oro rispettivamente nel rugby a 7 femminile e in quello maschile.

La palla ovale è una disciplina in cui la piccola repubblica dell’Oceania (meno di un milione di abitanti) ha sempre dimostrato di potersela giocare anche con squadre ben più blasonate, come i leggendari All Blacks della Nuova Zelanda o gli storici Springbok del Sud Africa. Così, capita che per due edizioni di seguito (Rio de Janeiro 2016 e Tokyo 2020) i “figiani volanti” – come vengono soprannominati – si impongano con la loro velocità e il loro gioco frizzante vincendo per due volte la medaglia d’oro.

Tra i “bisonti” che sono saliti sul gradino più alto del podio, c’è anche Waisea Nacuqu, originario del piccolo villaggio di Votua. Una volta rientrato in patria, l’eroe olimpico ha chiesto espressamente che il parroco del posto, padre Pat Colgan (missionario di San Colombano), celebrasse una messa di ringraziamento in casa sua. “Conosco Waisea da molto tempo – ha raccontato il religioso alla rivista della sua congregazione -. Ecco perché quando è tornato da Tokyo mi sono permesso di ricordargli che non sono l’oro e il successo la cosa più importante; ciò che più conta è che sia riuscito a usare i talenti che Dio gli ha dato per provvedere alla sua famiglia e per dare gioia alla nostra nazione”.

Waisea è uno dei giocatori più rappresentativi del movimento rugbistico delle Fiji. Una carriera difficile la sua, segnata da delusioni, rinunce e tanta forza di volontà: “Arrivare fin qui non è stato affatto semplice per lui – spiega p. Pat -. Da adolescente fu costretto a lasciare la scuola per lavorare prima nei campi di canna da zucchero, poi come pescatore. Ma non ha mai abbandonato il sogno di vestire la maglietta della nazionale”. Una caparbietà che l’ha portato a vincere le Seven World Series (segnando anche la meta decisiva) e le Olimpiadi di Tokyo.

“L’ho ringraziato per essersi sempre fatto il segno della croce ad ogni meta – ha concluso il missionario -. E gli ho fatto i complimenti perché la sua determinazione può essere da esempio per tanti nostri connazionali. Sono davvero felice per lui e per la nostra gente. In fondo, non capita tutti i giorni che un parrocchiano, specie di un villaggio così piccolo, porti a casa una medaglia olimpica”.