Desaparecidos

Desaparecidos

LA PAROLA
Sono decine di migliaia le persone scomparse nel nulla in Messico dal 2006 a oggi. Una forma di violenza messa in atto da grandi gruppi criminali con pesanti complicità da parte dello Stato. Cinque domande e risposte su questo dramma con Federico Mastrogiovanni

 

Risponde FEDERICO MASTROGIOVANNI,
giornalista, autore del libro «Ni vivos ni muertos. La sparizione forzata in Messico come strategia del terrore»

 

Quante persone sono scomparse?

La cifra ufficiale citata dal governo – contenuta in un rapporto del 2012 – parla di 27.000 persone scomparse a partire dal 2006. Si tratta di un dato che le organizzazioni per la difesa dei diritti umani ritengono ampiamente sottostimato, pur essendo già altissimo. E va aggiunto che dopo il 2012 il fenomeno è ulteriormente cresciuto: Amnesty International Messico parla di altri 12.000 casi di desaparecidos registratisi da quando è diventato presidente Enrique Peña Nieto, nel dicembre 2012. Quanto invece alla distribuzione sul territorio messicano, gli Stati in cui questo dramma si ripete più spesso sono quelli di Tamaulipas, Nuevo Leon, Coahuila (tutti e tre nel nord est del Golfo del Messico) e poi Vera Cruz, Michoacan, Guerrero e lo stesso Estado de Mexico, quello della capitale.

Che differenza c’è con l’Argentina?

Intanto bisogna ricordare che il fenomeno delle sparizioni di persone cominciò proprio nel Guerrero, in Messico, alla fine degli anni Sessanta, nella cosiddetta “guerra sporca”. La differenza sta nel fatto che allora (come poi in Argentina e in altri Paesi latinoamericani) era un fenomeno dai contorni ben definiti: c’era una giunta militare che utilizzava questo metodo per far scomparire i “nemici”, sostanzialmente legati alla militanza politica di sinistra. Oggi invece, almeno apparentemente, non è più così: non c’è un’unica regia che decide, non c’è un profilo definito delle vittime, può capitare che scompaiano anche persone non legate a movimenti. Il risultato è un clima di terrore generalizzato: chiunque può diventare vittima.

Dietro ai sequestri c’è il narcotraffico?

Non solo. Credo che descrivendo il fenomeno così si operi una distinzione comoda tra “buoni” e “cattivi”, che non corrisponde alla realtà di oggi in Messico. Intanto il narcotraffico è solo uno dei rami delle attività dei gruppi criminali messicani: ci sono anche la tratta delle persone, il commercio di organi, il racket, la prostituzione, il traffico illegale di armi, il lavoro in schiavitù… Si tratta ormai di aziende multinazionali del crimine, in un sistema mafioso pesantemente infiltrato all’interno dello Stato. Non si riesce a far sparire migliaia di persone senza complicità negli apparati della sicurezza. Ci sono omissioni evidenti nelle indagini per rintracciare le persone scomparse; ma sono emersi anche aiuti diretti da parte di forze di polizia, almeno in alcuni casi di rapimenti.

Quali interessi sono in gioco?

Il Messico è un Paese ricchissimo di risorse: oro, argento, ferro. E il territorio controllato dai Los Zetas – uno dei grandi gruppi criminali – è una delle maggiori riserve mondiali di shale gas, la nuova frontiera dell’estrazione petrolifera. L’ipotesi che formulo nel libro – basata anche su racconti di persone che in altri contesti lavorano in multinazionali petrolifere – è che il fenomeno dei desaparecidos sia funzionale alla destabilizzazione di determinati territori. Perché il passo successivo è la militarizzazione che va sempre a difendere gli interessi economici ai danni delle comunità locali. Intanto Peña Nieto ha portato a termine la riforma energetica, che ha cancellato la nazionalizzazione delle risorse del 1938. E adesso è la volta dell’acqua.

Chi difende le vittime?

A difendere le famiglie dei desaparecidos e chiedere giustizia oggi sono solo la Chiesa e le organizzazioni per la difesa dei diritti umani, anche quelle in buona parte legate a realtà cattoliche come ad esempio i gesuiti. A nessuno in Messico viene in mente di rivolgersi direttamente allo Stato per chiedere giustizia: non è un riferimento per nessuno, anzi a volte è proprio da lì che viene il pericolo. E lo si è visto anche nella vicenda dei 43 studenti scomparsi l’anno scorso nel Guerrero; neanche l’indignazione suscitata da quella storia ha portato a un’indagine seria sull’accaduto. Il problema è che con questo stesso Messico oggi gli Stati Uniti, l’Europa e il mondo intero continuano a tessere rapporti commerciali come se niente fosse.

 

IL LIBRO

Federico Mastrogiovanni è un giornalista italiano che vive e lavora in Messico da molti anni e al tema dei desaparecidos ha dedicato il libro Ni vivos ni muertos. La sparizione forzata in Messico come strategia del terrore pubblicato in Italia dall’editrice DeriveApprodi (pp. 176, euro 17). Il libro è un’inchiesta che raccoglie le storie di molte delle persone scomparse, aiutando a capire le dimensioni del fenomeno e la rete impressionante di complicità che lo caratterizza. La tesi di Mastrogiovanni è che la destabilizzazione creata con migliaia di desaparecidos sia funzionale al controllo di aree del Messico ricche di risorse naturali, energetiche e minerarie.