Dove Dio ha un volto di donna

Dove Dio ha un volto di donna

IL BELLO DELLA FEDE
Lucy D’Souza Krone guarda a Dio, raffigurandolo con attributi femminili, che simboleggiano in particolare l’amore, quello di una madre per i suoi figli, e la misericordia, termine che nella radice ebraica richiama proprio il concetto di “viscere” e “grembo materno”

 

In India quasi tutti i fiumi sacri portano il nome di una divinità femminile, scesa sulla terra in forma d’acqua per purificare e dare vita. Un legame che si ritrova anche nella quotidianità dove sono le donne, specialmente nei contesti rurali, ad essere a contatto con le risorse naturali essenziali per la sopravvivenza.

All’interno di questa vasta sensibilità che unisce presenza divina, elemento femminile e natura si sviluppa il percorso artistico e spirituale di Lucy D’Souza Krone, nata a Goa nel 1949. Nel piccolo Stato indiano, centro dell’attività missionaria della Chiesa cattolica portoghese fin dal XVI secolo, la giovane frequenta le scuole cattoliche, per poi dedicarsi ai più bisognosi. Ma è l’incontro con la comunità dell’artista cristiano Jyoti Sahi, presso il villaggio di Silvepura, a indicarle la strada: servire Dio come artista, unendo alla fede l’interesse per la condizione delle donne indiane e la difesa dell’ambiente.

Per Lucy D’Souza Krone prendersi cura del mondo significa prendersi cura del regno di Dio. Da questa esigenza nascono le numerose opere dedicate alle tematiche ambientali, come i 14 dipinti che costituiscono la serie “Art for the climate”, in cui la terra ferita dall’uomo è rappresentata con le stimmate.
Assolutamente personale è la prospettiva con cui l’artista guarda a Dio, raffigurandolo con attributi femminili, che simboleggiano in particolare l’amore, quello di una madre per i suoi figli, e la misericordia, termine che nella radice ebraica richiama proprio il concetto di “viscere” e “grembo materno”.

Il dipinto “Il volto femminile di Dio”, realizzato nel 1990, riassume pienamente queste concezioni. Al centro della tela Gesù è raffigurato come il tronco di un albero di mango, con accennate alcune caratteristiche che richiamano il corpo di una donna. Le radici dell’albero rappresentano il Padre e gli antenati, mentre i rami carichi di frutti lo Spirito Santo. Il tronco è abbracciato da quattro figure, con riferimento al movimento ecologista indiano Chipko, nato negli anni Settanta per conservare le foreste nella regione himalayana. Un’azione fortemente sostenuta dalle donne e non violenta: chipko significa infatti “aggrapparsi, abbracciare” dal gesto di circondare gli alberi con le proprie braccia in segno di fratellanza e di difesa.

La scena centrale del dipinto è incorniciata da quattro figure legate dai rami del mango, che personificano altrettanti elementi naturali e attributi femminili di Dio: dal basso a destra Ruth (terra e misericordia), Maria (acqua e amore), Anna (fuoco e presenza luminosa di Dio), Maria di Betania (aria e saggezza). Costituiscono per l’artista un vero messaggio di forza e di speranza dedicato a tutte le donne indiane.