Addio a padre Maculan «missionario a quattro ruote»

Addio a padre Maculan «missionario a quattro ruote»

Il Pime piange la morte di padre Mauro Maculan. Costretto su una sedia a rotelle da un incidente stradale avvenuto in Guinea Bissau nel 1998 da quella cattedra speciale non aveva smesso di annunciare il Vangelo. E nel 2004 era ripartito per il Brasile

 

Nella casa dei missionari anziani a Rancio di Lecco questa mattina è morto padre Mauro Maculan, missionario del Pime di origini venete che ha svolto il suo ministero in Guinea Bissau e in Brasile.

Padre Mauro era nato a il 22 marzo 1965 a Mestre (Ve). Entrato giovanissimo nel Pime a Preganziol (Tv) era stato ordinato sacerdote il 23 giugno 1990 a Treviso. Dopo i primi anni di servizio nell’animazione missionaria in Italia, nel 1993 era stato destinato alla Guinea Bissau. E proprio qui il 1 maggio 1998 fu vittima di un grave incidente d’auto: venne portato immediatamente in Italia ed operato, gli venne riscontrata la lesione di alcune vertebre e diagnosticata una meningite post operatoria che alzò la paralisi fino alla 5/6 vertebra della colonna spinale. Da allora ha vissuto sulla sedia a rotelle, ma questo non gli ha impedito di continuare a vivere il suo ministero di missionario. Al punto che nel 2004 ripartì, questa volta per il Sud del Brasile, dov’è rimasto per 6 anni.

Si definiva lui stesso un «missionario a quattro ruote» come raccontava nella testimonianza che riportiamo integralmente qui sotto, pubblicata nel 2006 sulla rivista delle Missionarie dell’Immacolata.

Il funerale di padre Mauro si terrà sabato 7 settembre alle ore 9.30 a Rancio di Lecco. Lunedì 9 settembre alle ore 15.30, a Gaggio di Marcon (VE) verrà celebrate una Messa Funebre a cui seguirà la sepoltura nel cimitero del paese.

 

Condividere la mia esperienza non è facile, perché è un mettere a nudo tante cose che passano nel cuore. Ma è anche un invito a capire ancora meglio quello che mi è successo e ripetere al Signore la mia risposta di totale donazione.
Con l’aiuto del Signore ho detto sì alla sua chiamata, perché mi sentivo realizzato nella gioia, seguendo la strada che lui mi stava preparando come sacerdote missionario.

Durante il periodo del seminario c’e stato un momento particolare che mi ha messo in difficoltà e che mi ha segnato, ma mi ha rafforzato nella fede: in breve tempo ho perso all’improvviso un cognato, il papà e uno zio, tutti motivi per arrabbiarmi con Dio, ma, nonostante il dolore, il Signore mi ha sostenuto con la sua forza e il 23 giugno 1990 sono stato consacrato sacerdote missionario. Poi sono rimasto per qualche anno in Italia, a Treviso, come animatore missionario: un’esperienza che mi ha molto formato. E infine mi è arrivata la destinazione per la missione: Guinea Bissau, in Africa. Dopo 7 mesi a Lisbona, in Portogallo, per imparare il portoghese, ho raggiunto la mia terra.

Ho trascorso quattro anni in Guinea Bissau. All’inizio ho imparato il criolo e poi mi hanno mandato in un posto difficile e lontano: le isole Bijagos. Là ho cercato di costruire un dialogo e un rapporto con la gente, anche se quasi non c’erano battezzati: era un precatecumenato molto alla lontana. Per me è stata un’esperienza molto forte, bella e difficile. Ho costruito, ho fatto di tutto, ma soprattutto sono stato prete: ho battezzato e seminato ed ora c’è chi raccoglie.

In seguito sono stato parroco di una parrocchia nella periferia di Bissau, la capitale, con oltre 10.000 abitanti: una bella comunità e una giovane Chiesa, povera, ma con una grande fede. E sul più bello, quando cominciavo a conoscere meglio quel nuovo mondo della città, il 1 maggio 1998, ho subito un grave incidente: sono uscito di strada e l’unico osso che ho rotto, sbalzato fuori dalla vecchia macchina, è stata una vertebra, che mi ha reso paraplegico.

Sono tornato in Italia e, dopo un’operazione, pian piano mi sono ripreso. Sono rimasto sei anni nella casa del Pime, a Busto Arsizio (Varese), dove ho fatto l’animatore missionario, come potevo, e ho svolto altri impegni apostolici.
Un’esperienza nuova: ho dovuto ricominciare da capo, in una situazione da diversamente abile, ma non ho perso nulla di quello che ero e sono un prete missionario anche sulla sedia a rotelle. E confesso che non me la sono mai presa con Dio, non sono mai stato arrabbiato con Lui; ho chiesto di poter camminare ancora, di eliminarmi i dolori alla schiena, non nego di aver anche pianto, ma sempre con fiducia e abbandono.

A volte mi fanno arrabbiare le persone che ti trattano da “poverino…”, o che dicono: “Hai la possibilità di offrire la tua sofferenza”. Per piacere, lasciate che sia io a fare questo passo, io che sto vivendo in una nuova e non facile situazione fisica. Cosa sai tu che stai bene cosa io sto vivendo dentro; se vuoi essermi amico stammi accanto, ma con il cuore, la preghiera, l’incoraggiamento, con il silenzio… Non dirmi “poverino”.

Lascia che con Dio abbia un mio rapporto unico e speciale, fatto di silenzi, di preghiera e intercessione per tante situazioni dolorose di altre persone o famiglie, nonostante sia difficile a volte dire “offro per te”.
Resto sempre sorpreso quando ci sono persone che mi ringraziano e che mi dicono che, guardando quello che sono e quello che tento di fare, ridimensionano molto i loro problemi e ritrovano la forza e la serenità per ripartire, per ricominciare e non lasciarsi andare. Mi rendo conto che è Dio che parla ai loro cuori attraverso di me. È un modo di cui Dio si serve di me senza che me ne renda conto.

E sia in Italia, sia in Brasile, spesso mi hanno chiamato a parlare della mia esperienza alla gente, in alcuni gruppi, o celebrando la Messa dove c’erano presenti persone con problemi simili ai miei, per capire, comprendere, condividere e cercare di dare “speranza e coraggio” nell’affrontare la vita di tutti i giorni, questo continuo ricominciare.
Da subito ho chiesto ai superiori di poter ripartire per la Guinea Bissau ma, per i grandi problemi del Paese e per quelli collegati alla mia situazione fisica, i superiori mi hanno aperto la porta del Brasile sud, dove ci sono buoni ospedali e una realtà dove posso ancora essere missionario in terra di missione: “missionario a quattro ruote”.

Il 23 novembre 2004 sono partito di nuovo. Partire è testimoniare nella debolezza: questo, come dice San Paolo, è il far capire che non sono io che converto, perché sono bravo, bello e buono, ma se avviene è perché è Dio che passa attraverso le mie quattro ruote, attraverso la mia debolezza e l’aver bisogno degli altri.

Qui in Brasile ho trovato tanta gente buona e disponibile, tanta gente che ti chiede di andare nelle cappelle per celebrare la messa. E con grande gioia sono da quasi un anno coadiutore della nuova parrocchia di São Rafael, nella periferia di Ibiporá, nel Paraná. Qui ci sono circa 15.000 abitanti, più 6 comunità, con varie chiese di altre denominazioni cristiane, e una realtà di baraccopoli con i problemi della droga, violenza, prostituzione… ma con tanta gente che ha voglia di fare e di testimoniare la propria fede. Ora abito nella casa del PIME da dove, con la carrozzella elettrica, percorro il chilometro che mi separa dalla chiesa con le sue piccole strutture parrocchiali. Sulla carrozzella sono riuscito a far mettere le luci così sono pienamente autonomo sia di giorno che di sera, senza chiedere sempre che mi vengano a prendere, tanto più che qui di automobili ce ne sono ben poche, perché la gente vive con salari molto bassi e molte famiglie sono aiutate dalla carità fatta dalla comunità stessa. Noi missionari stiamo formando le strutture portanti della comunità ecclesiale: come il consiglio pastorale, il consiglio economico, il gruppo giovani, i chierichetti e tutto quel che manca.

Una cosa che ho ben imparato è che dobbiamo donare, aiutare, farci prossimi, ma dobbiamo anche imparare a saper ricevere, accettare che gli altri ci aiutino, ci vogliano bene. Vorrei chiamarla l’umiltà nell’amore: sto comprendendo maggiormente e sulla mia pelle cosa vuol dire amare.
Un’altra cosa importante da dire è che se tornassi indietro rifarei tutto quello che ho fatto; rifarei tutto, perché sto vivendo e godendo, anche a 4 ruote, quel centuplo che Dio ci ha assicurato. Ora sono qui e devo radicare il mio cuore qui.

E mi nasce spontaneo dal cuore il dire grazie ad una infinità di persone, partendo dalla mia famiglia, la parrocchia di origine, i tanti amici e le tante persone che mi hanno sostenuto e continuano a sostenermi in modi diversi.
Rivedendo la mia vita, quel che posso dire è: “Grazie, Signore, aiutami ad essere missionario e compagno di viaggio qui a São Rafael, qui in Brasile e aiutami a portare la mia croce con le sue difficoltà. Aiutami ad essere un missionario a quattro ruote…”.

padre Mauro Maculan