PIANETA CIBO

Patrimonio alimentare dei popoli e sfide globali per nutrire il mondo: nei padiglioni collettivi i temi di Expo2015 sono raccontati anche “da Sud”. La nostra visita guidata

Una risaia dove osservare il ciclo di crescita dell’alimento che nutre metà della popolazione mondiale. O una foresta tropicale in cui scoprire come si coltiva e si lavora il cacao. Ma anche una grande piazza per conoscere le colture (e la cultura) del Mediterraneo e perfino un pezzo di deserto, per conoscere le soluzioni grazie alle quali l’uomo riesce a sopravvivere in condizioni climatiche estreme.

Sarà tutto un inno al cibo e alle sfide epocali per “Nutrire il Pianeta” l’esposizione universale di Milano che da maggio, per sei mesi, riunirà il mondo nel capoluogo lombardo. E se orientarsi nella ciclopica kermesse di Expo2015 – 144 Paesi per un milione di mq di superficie espositiva – potrà sembrare complicato, una delle chiavi più interessanti per andare alla scoperta del “Pianeta cibo” è proprio una novità di questa edizione: i padiglioni collettivi tematici.

Oltre ai singoli spazi dedicati a ogni nazione, infatti, il sito espositivo ospita nove “cluster” (letteralmente “grappoli”), che raggruppano diversi Paesi accomunati da un prodotto o da un contesto geo-climatico. Ogni cluster comprende aree comuni – con mercati, mostre, eventi, degustazioni – e spazi espositivi individuali per i Paesi. Magari piccolissimi e con poche possibilità economiche, eppure ricchi di eccellenze e tradizioni alimentari. Tutte da scoprire, addentrandosi nelle sezioni che si succedono lungo il Decumano: la via centrale del sito espositivo, lunga oltre 1 km e mezzo.

Oltrepassato dunque il Padiglione Zero, che racconta la storia dell’uomo sulla Terra attraverso il suo rapporto con la natura e il cibo, ci si imbatte subito nel cluster del riso. Una risaia in miniatura è lo scenario in cui si incontrano le infinite varietà del più importante cereale coltivato dall’uomo: alimento base per quasi tre miliardi di persone, conservabile e adattabile, il riso rappresenta la scommessa principale per alimentare un Pianeta sempre più abitato.

Il padiglione mostra l’enorme influsso che il cereale originario della Cina ha avuto sulla cultura e la storia di molti popoli. Lo splendore del regno khmer, ad esempio, fiorito nell’attuale Cambogia – protagonista del cluster con Bangladesh, Myanmar, Laos e Sierra Leone – deve molto alla capacità di introdurre sistemi irrigui che incrementarono la produzione risicola. In un’ottica futura, la sfida è produrre con tecniche dall’impatto ambientale più leggero.

È ispirato alle piantagioni delle aree tropicali e subtropicali il cluster successivo, dedicato a cacao e cioccolato. Che permette di seguire in pochi minuti il percorso dalle fave alla tavoletta – attraverso fermentazione ed essiccatura, pulitura, tostatura, macinatura… – lungo, nella realtà, 265 giorni. Il “cibo degli dei” di maya e aztechi è prodotto, oggi, da oltre trenta Paesi in via di sviluppo, per i quali rappresenta la principale fonte di reddito. Tra questi Sao Tomé e Principe, l’arcipelago dove per la prima volta in Africa fu coltivato il cacao. E poi Camerun e Costa d’Avorio, Gabon e Ghana, ma anche la meticcia Cuba, che presenta la sua ricerca sulla produzione di ibridi resistenti alle epidemie, oltre al deposito di campioni di 256 genotipi di cacao esistenti nel Paese.

Di aroma in aroma, si arriva al cluster del caffè. Un prodotto la cui importanza nella tradizione e nel commercio globale è evidente già dai numeri, a partire dagli oltre due miliardi e mezzo di tazzine bevute quotidianamente nel mondo. La struttura del padiglione richiama i rami più alti degli alberi all’ombra dei quali crescono le immense piantagioni nelle foreste tropicali di Africa e America Centrale. L’itinerario inizia già fuori dal cluster, nello spazio verde che, tra le piante di caffè, ospita le fotografie di Sebastião Salgado. All’interno, un giro del mondo virtuale lega regioni di produzione, Borse merci che contrattano i prezzi e luoghi di torrefazione. Tra le storie raccontate dai Paesi espositori, quella delle pregiate coltivazioni guatemalteche a 1.900 metri di altitudine, o quella del porto yemenita di al-Makkha, dove arrivarono i primi chicchi detti mocha. C’è l’Etiopia, ma anche Ruanda e Burundi, Kenya e Uganda, Costa Rica ed El Salvador.

Spostandosi sul lato sinistro del Decumano, si raggiunge il cluster più colorato, quello di frutta e legumi. Particolarmente interessante per chi guarda il mondo “da Sud”, visto il ruolo dei legumi per la sicurezza alimentare: fonte di proteine e minerali, sono una coltura strategica per combattere la fame e migliorare le condizioni di salute, ma anche per prevenire le patologie del terreno. Tra orti e frutteti, i Paesi presentano tipicità più o meno note: i meloni millenari (e curativi) dell’Uzbekistan, la cucina afro-brasiliana degli aguda del Benin, le tradizioni di conservazione del cibo delle 72 etnie dello Zambia. Con Gambia, Guinea, Guinea Equatoriale e Kyrgyzstan, spicca la Repubblica Democratica del Congo, che ospita il secondo bacino forestale della Terra: da qui la sfida di migliorare la produzione agricola per non intaccare il ruolo di questo “polmone” contro il riscaldamento globale.

Superato un vivace mercato, si accede al cluster delle spezie: una vera festa dei sensi. Ci sono colori, profumi e il fascino delle terre esotiche indicate su grandi mappe simili a quelle che guidarono esploratori e mercanti alla ricerca di questi “tesori” usati, ben oltre la cucina, per scopi sanitari o rituali. Seguendo la via dell’incenso e quella del cinnamomo, ci si imbatte nelle storie di Maometto, che lungo la rete commerciale delle spezie iniziò la diffusione dell’islam, del re dei visigoti Alarico, che accettò di lasciare Roma in cambio di oro, argento e 3 mila libbre di pepe, o dei marinai di Vasco de Gama, che approdarono a Calicut nel 1489 in cerca di «cristiani e spezie».

Un fascino che non è sfumato, se nell’ultimo decennio la produzione annuale è cresciuta del 4,3%, mentre il commercio ha avuto un rialzo medio del 5,8% annuo. Tra le nazioni che fondano la propria economia sulle spezie, si incontrano Brunei e Tanzania, l’arcipelago delle Vanuatu e l’Afghanistan.

Dopo un lungo tratto di Decumano ci si sposta di nuovo sulla destra, fino al cluster di cereali e tuberi. Inutile spiegare l’importanza dei cereali per la dieta di gran parte della popolazione mondiale: non a caso la loro coltura occupa metà dei terreni seminati sulla Terra. Grano, mais, riso – certo – ma anche orzo, sorgo, segale, avena, fonio e la quinoa, “pseudo-cereale” orgoglio della Bolivia. In alcune zone tropicali e subtropicali, invece, i protagonisti sono i tuberi – patate, manioca, igname -: seconda fonte di carboidrati dopo i cereali, forniscono molti minerali e vitamine e sono l’alimento base per oltre un milione di persone nei Paesi in via di sviluppo. Qui troviamo Congo, Mozambico, Togo, Zimbabwe e Haiti, intorno a un grande forno che cuocerà pagnotte profumate per tutta la durata di Expo.

Ed eccoci ai cluster dedicati a tre importanti contesti ambientali, situati sul lato opposto dell’area espositiva, accanto al Parco della Biodiversità. Nel padiglione del Bio-Mediterraneo dieci Paesi la cui storia si intreccia intorno al Mare Nostrum – Tunisia, Algeria, Egitto, Albania, Grecia, Serbia, Montenegro, Libano, Malta, San Marino – raccontano, attraverso le proprie specificità alimentari, il comune, peculiare microcosmo formatosi da millenni di incontri e sovrapposizioni di popoli e culture. E al centro del quale si trova proprio il cibo: quella dieta, buona per la salute e per la biodiversità agricola, che l’Unesco ha proclamato patrimonio immateriale dell’umanità e i cui capisaldi sono il grano, l’olivo, l’uva. Ma anche la convivialità. Ecco perché il cluster si sviluppa attorno a una piazza, in cui pane e olio, vino e pomodori, agrumi e pesce si trasformano in piatti della tradizione mediterranea in tre cucine all’aperto.

È soprattutto il tema della sostenibilità ambientale, invece, quello al centro del cluster delle Isole: separate dalla terraferma eppure tutt’altro che aliene alle sfide globali. L’aumento delle inondazioni, la salinità e l’erosione del suolo, i mutamenti nelle precipitazioni rischiano di ridurre le superfici agricole e influire sulle attività artigianali e di pesca, intaccando la sicurezza alimentare di questi luoghi. Che, in alcuni casi, rischiano perfino di scomparire. Eppure, l’area interattiva dimostra che le isole – qui sono rappresentate quelle di Barbados, Belize, Capo Verde, Comore, Comunità caraibica, Dominica, Grenada, Guinea Bissau, Guyana, Madagascar, Maldive, Saint Lucia, Saint Vincent e Grenadine, Suriname – possono anche diventare un modello di eco-sostenibilità, grazie all’esigenza di ottimizzare e conservare le risorse.

Infine, la sfida forse più impressionante: sopravvivere nel deserto. La si incontra nel cluster delle Zone aride, dove ventiquattromila cannucce in pvc sospese nell’aria simulano una tempesta di sabbia, mentre la grande fontana al centro mostra la vita nell’oasi (a presentarla, con il prodotto principe, i datteri, è la Mauritania). Lo spazio riunisce contesti molto diversi, accomunati dalla scarsità d’acqua: una condizione che riguarda un quinto della popolazione mondiale e che proprio gli ospiti di questo padiglione hanno provato ad affrontare attraverso soluzioni innovative nella gestione delle risorse idriche. Dal Corno d’Africa alla Palestina, dal Mali al Senegal, con la sua foresta di acacie piantata per combattere la desertificazione.

È proprio la relazione dell’uomo con il Creato – intessuta con l’obiettivo strategico di nutrire la vita – la vera protagonista di tutti i padiglioni. Una relazione dalle infinite declinazioni, dettate dal contesto geografico e culturale, ma sempre creativa e fertile. Che fa tesoro del passato per puntare lo sguardo verso il domani dell’umanità. MM